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IL VELINO

In Giappone il consumo di vino è ancora molto piccolo, a 2 litri pro capite all’anno (che vuol dire 254 milioni di litri), per una quota del mercato di alcolici di appena l’un per cento. Ma se la birra, che domina con il 30% del totale, in 5 anni, dal 2004 al 2009, è scesa da 4 a 3 milioni di litri, il vino, nel suo complesso, vede un trend positivo, e le possibilità di crescita, a lungo termine ci sono, sia nel mercato dell’horeca, che, soprattutto in quello domestico, che sta crescendo, come in Italia, a causa delle leggi sull’alcol, vietato se si deve guidare, e della situazione economica, che spinge i consumatori ad ottimizzare il portafoglio e ad acquistare le bottiglie nella grande distribuzione o nelle enoteche per risparmiare sui ricariche dei ristoranti. Ecco il sentiment, raccolto da winenews.it, dei maggiori importatori di vino italiano in Giappone (Jet, Avico e Grande Sam), che Eataly Tokyo hanno incontrato l’eccellenza enologica italiana delle cantine della tappa giapponese del “Vinitaly World Tour” (10-11 dicembre, www.vinitalytour.com), nel seminario di formazione organizzato dalla nuova formula di Verona Fiere (casa-madre di Vinitaly, di scena dal 7 all’11 aprile a Verona, evento di riferimento mondiale del settore), la cui missione è avere un ruolo sempre più completo nel servizio alle imprese vinicole. Un mercato complesso, come tutti i mercati stranieri, quello del Giappone, dove, però, la cucina italiana è ben radicata, con 12.000 ristoranti tricolore che possono aprire la via della tavola per i produttori italiani, e dove la “middle class”, a differenza della Cina, per esempio, è un asset sociale ormai storicamente consolidato e con una buona capacità di s pesa, tanto che la fascia di prezzo delle bottiglie che va per la maggiore è quella che oscilla dai 1.000 ai 2.500 yen, ovvero dagli 11 ai 27 euro. “E dove il vino italiano è la punta di diamante del Belpaese - spiega l’ambasciatore italiano in Giappone Vincenzo Petrone - perché racconta dei borghi, dei territori e del life style italiano che tanto piace ai giapponesi”. Vino italiano che, secondo Federico Balmas, direttore dell’Istituto per il commercio con l’estero di Tokyo, va più forte nella fascia di prezzo “sopra ai 2.700-3.000 yen, anche perchè noi possiamo e dobbiamo puntare solo sulla qualità, e non sul prezzo”. Anche perché sui vini di prezzo, per esempio, il mercato lo sta conquistando il Cile, che ha praticamente raddoppiato i volumi in 5 anni, seguito dalla Spagna, che, anche se rimangono ancora distanti dalla Francia, che pur avendo perso grandi quote ha ancora quasi la metà del mercato enoico, e dall’Italia, al secondo posto, stanno crescendo sugli scaffali giapponesi. Anche perché il percorso della bottiglia dalla cantina italiana al negozio o al ristorante in Giappone, non è proprio “indolore”: se parte da 3 euro franco cantina, per esempio tra costi di spedizione, accisa sugli alcolici, iva, costi di distribuzione e ricavo dell’importatore/distributore, arriva a 20-21 euro allo scaffale. Fondamentale, per un produttore, trovare il giusto importatore, ma anche il giusto grossista, passaggio intermedio non obbligato, ma diffusissimo, prima di arrivare nella cantina del ristorante o nell’enoteca: “uno di grandi dimensioni - spiega Toshihiko Agake, presidente di Avico - assicura una distribuzione più ampia in tutto il Giappone, ma è difficile che sia specializzato in vino italiano, che sappia comprendere e spiegare al cliente cosa beve. Al contrario, uno più piccolo, garantisce meno diffusione, ma una maggiore competenza”. “Anche perché è fondamentale - aggiunge Osamu Hayashi, alla guida di Grande Sam, che importa e vende direttamente vini italiani - che non solo il produttore, ma anche chi importa e distribuisce il vino, vada di persona a fare la promozione e la comunicazione, a raccontare il proprio prodotto”. Un momento fondamentale, questo, per il vino italiano in Giappone, che dopo due anni di profonda crisi economica, inizia a vedere quale segnale di ripresa, di cui anche la nostra enologia potrebbe beneficiare. “Anche se non ci si può aspettare che i livelli di consumo di vino arrivino a livelli altissimi - precisa Yasuyuki Morikawa, marketing manager di Jet (Japan Europe Trade) - per un mercato che comunque, nel 2009 ha smosso 14 milioni di casse da 9 litri di soli vini fermi, per un valore di quasi 600 milioni di euro)”. “I consumatori giapponesi dal vino, ma anche dal cibo italiano, cercano originalità, tipicità, cose che qui non si hanno - spiega Shigeru Hayashi, che per tanti anni ha lavorato nel vino in Italia, primo sommelier Ais giapponese e oggi amministratore delegato e socio di Eataly Tokyo - anche se non è semplice spiegare le differenze, perché vino e cibo non sono come auto e modo. Ma dobbiamo provarci, mettendo insieme le forze di produttori, importatori e distribuzione”.

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