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Il Venerdi Di Repubblica

Il galateo al ristorante: fatto a fette ... C’era un ristorante famoso a Milano, in galleria, il cui proprietario si aggirava fra i tavoli immacolati in un impeccabile completo blu, a doppio petto (aveva anche i capelli bianchi, che conferivano distinzione): era vietato l’ingresso agli uomini senza cravatta.
Quando? Nella preistoria, ovviamente. Ricordo anche un club, sempre nella preistoria, nel quale non erano ammesse le signore in pantaloni. L’altra sera rimuginavo questi ricordi quando, seduto a un tavolino nel ristorante di un Grand Hotel, in Liguria, osservavo gli avventori, a mano a mano che entravano e prendevano posto.
Ha colpito la mia attenzione un uomo di mezza età, in jeans, con una camicia biancastra fuori dei calzoni: faceva un certo effetto, con le falde svolazzanti. Era con lui una giovane donna, in un abito nero che poteva essere da sera: le esili spalline lasciavano nude le spalle. Poco dopo e comparsa una signora con un breve gonnellino variopinto, di lana, che, essendo cortissimo, metteva in mostra le calze di lana anch’esse, a cerchi: ogni cerchio aveva un colore diverso.
Notevoli erano due uomini attempati, vestiti da ciclisti: indossavano giacche a vento, e tenevano in mano un berretto di tela, con visiera, i meglio vestiti erano i camerieri. C’era un solo avventore con la giacca, e lo dico con imbarazzo: ero io.
Una serata in un ristorante è forse più istruttiva di un trattato, per descrivere le trasformazioni (consentitemi i termini pomposi) culturali e sociologiche del nostro tempo. L’osservazione si arricchisce se si seguono con lo sguardo gli avventuri, dopo che hanno preso posto e si confrontano coi cibi.
La giovane donna in abito nero impugnava il coltello in modo curioso, mentre leggiadramente conversava col suo accompagnatore: lo teneva non fra il pollice e l’indice, ma nel palmo della mano, come si impugna un pugnale per assestare il colpo nel petto della vittima. L’uomo accanto a lei, per nulla preoccupato, lottava con coltello e forchetta per estrarre una cozza (o muscolo che dir si voglia) dal guscio. L’operazione, difficile, lo spazientì: alla fine, con gesto risoluto, riuscì a infilare la cozza fra le labbra, con la punta del coltello.
Ed ecco un altro ricordo: ho letto che Mussolini, a un banchetto, notò l’imbarazzo di un giovane ufficiale nel maneggio delle posate, e con molta umanità, alzati da tavola, gli disse, paterno: “Anch’io avevo difficoltà, poi ho imparato”.

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