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L'ESPRESSO - FOOD&WINE

I nuovi wine lovers amano la natura ... Amanti del buon bere tradizionalisti, credevate di aver visto tutto? Preparatevi alla bottiglia di carta. L’obiettivo è dare una mano all’ambiente. Tra tappi di vetro, sughero riciclato, bottiglie alleggerite, cantine “off grip” ed etichette con “carbon footprint”, l’universo dell’enologia dalla vigna all’enoteca ha un codice ecologico. Se l’anno nuovo porta sempre molte novità, quelle del mondo del vino potrebbero essere sconvolgenti per i wine lover. A cominciare dai sudditi di sua maestà, che dal gennaio 2012 vedranno sugli scaffali dei supermercati bottiglie di carta. Insomma, sono tempi duri per gli enofili puristi: dopo aver visto l’era dei tappi sintetici e di quelli - ancora meno romantici - a vite, dopo le bottiglie di champagne alleggerite e lo spumante analcolico, ecco l’annuncio nel Regno Unito del lancio di bottiglie completamente di carta. Se pensavate che la carta fosse roba da etichette, dovrete ricredervi. D’altro canto, una notizia che spaventa gli enoappassionati rende invece felici gli ambientalisti, specie in una nazione in cui le autorità sono preoccupate perchè non ci sono più spazi da adibire a discariche. Allora l’alternativa di contenitori biodegradabili diventa fondamentale. La nuova bottiglia-non bottiglia nel composter si degrada in poche settimane. Inoltre pesa 55 grammi (rispetto ai 500 della versione classica), cosa che abbatterà i costi di spedizione. E che dire dell’emissione di anidride carbonica del processo produttivo? Il nuovo contenitore non arriva al 10 per cento della bottiglia di vetro. L’inventore della “GreenBottle”, Martin Myerscough, si dice fiducioso sull’apprezzamento del pubblico. In primo luogo perchè non è stata cambiata la forma del recipiente, anche se sarebbe stato più facile (vino in tetra Pack docet) e quindi i clienti riconosceranno in qualche modo il prodotto. Ma il suo ottimismo si basa soprattutto sul suo precedente successo, quello delle bottiglie del latte (in Uk ogni anno sono usate solo per il latte 15 milioni di bottiglie di plastica, vera bestia nera dello smaltimento rifiuti). La sua alternativa di carta è stata accolta con grande favore dal mercato. Ma non ha fatto i conti col tradizionalismo degli amanti del vino. Già Adam Lechmere, della rivista-faro Decanter, sul Guardian esprime perplessità, sottolineando come il rapporto col vino riguardi sentimenti arcani e prescinda dalla coscienza ecologica. E allo stesso modo si mostra scettico Roberto Perrone che sul Corriere della Sera dice che di certo la novità “aiuterà l’ecosistema ma non le cene romantiche”.
Solo il futuro dirà se la strana bottiglia potrà conquistare la simpatia dei consumatori. Ma intanto è innegabile una predisposizione sempre più eco-friendly del mondo dell’enologia. Quella di compiere scelte di consumo consapevole è un’esigenza sempre più sentita dagli amanti del buon bere, ai quali le aziende rispondono mettendo in campo nuovi strumenti per una vitivinicoltura sostenibile. Esigenza che smentisce in qualche modo la netta affermazione di Lechmere secondo cui “Ai consumatori non importa tanto se il vino rispetta l’ambiente o no”. Forse, semplicemente, l’enofilo non è disposto a rinunciare alla qualità per fare una “buona azione”. Ma se l’alternativa verde è realmente valida e la qualità non ne risente, mostra di apprezzarla. O quanto meno di non rifiutarla. Per esempio, iniziano a diffondersi i tappi di vetro. Che secondo alcuni imprenditori vitivinicoli garantiscono al vino una vita perfetta. Senza ricorrere alla prosaicità del tappo sintetico. “La massiccia e crescente richiesta di tappi di sughero, legata all’incremento esponenziale della produzione di vino in bottiglia in tutto il mondo sta mettendo in seria difficoltà i sugherifici imponendo di anticipare la raccolta della preziosa corteccia dalle sugherete, quando le piante non hanno ancora raggiunto l’età e lo spessore indispensabile”. Ecco il perchè della scelta dell’ecologico tappo da parte dell’azienda agricola Brezza, a Barolo. L’innovativo tappo vino-Lok è stato messo a punto dalla multinazionale tedesca Alcoa Deutschland sfruttando l’intuizione di un medico, viticoltore per hobby, che si è ispirato alle confezioni utilizzate anticamente nelle farmacie. E, nonostante i costi (un tappo di vetro equivale a uno di sughero d’alta qualità e richiede una specifica macchina tappatrice), aumentano le aziende vinicole che lo scelgono. Ma si va oltre le bottiglie di carta e i tappi di vetro. Stanno infatti arrivando sul mercato bottiglie le cui etichette riportano il calcolo di tutte le emissioni di anidride carbonica dovute alla produzione e alla commercializzazione del vino stesso. La prima azienda in Italia a scegliere questa strada è la Salcheto di Montepulciano, che ha di recente ottenuto la certificazione CSQA con attestato 24378, il primo caso in cui per la Carbon Footprint realizzata secondo lo standard ISO 14064 (ossia l’inventario delle emissioni) si applica al vino. L’analisi, vero e proprio apripista per l’intero settore, ha prodotto un indice di 2,02 kg. di CO2eq per ogni bottiglia da 750ml, comprendendo non solo il lavoro in vigna e in cantina ma anche le emissioni dovute al reperimento delle materie prime (vetro in primis) e del trasporto verso il consumatore finale. “E’ un traguardo di grande importanza per il mondo del vino - spiega Michele Manelli, presidente della Salcheto - perchè l’analisi dell’impatto ambientale misurata in termini di emissioni di CO2 è uno strumento essenziale che consente di migliorare le proprie performance e comunicarlo in maniera chiara”. Inoltre dalla prossima vendemmia Salcheto sarà la prima cantina “Off Grid” al mondo. Cioè completamente scollegata dalle reti di distribuzione energetica. Il risultato è stato raggiunto abbinando in modo integrato il risparmio energetico allo sfruttamento delle energie rinnovabili presenti in campagna, non solo fotovoltaico ma anche geotermico e biomasse. È chiaro che sono numerosi i modi in cui cantine e appassionati dimostrano sensibilità nei confronti della natura. Il network di informazione enologica Winenews ha anche stilato un decalogo in cui sono riassunte le nuove tendenze che coniugano passione per il vino ed ecologia. Passando dalla teoria alla pratica, Umani Ronchi, uno dei nomi più importanti delle Marche - 230 ettari vitati nel territorio del Rosso Conero e del Verdicchio - è un esempio di come il rispetto per l’ambiente e il territorio possa trasformarsi in realtà, attraverso un ben pianificato work in progress. Qui fondamentale è la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti, vetro, plastica e cartone. Uno degli obiettivi di prossima realizzazione è l’autosufficienza energetica del punto vendita aziendale: a questo scopo è prevista a breve l’installazione di pannelli fotovoltaici - il modo più semplice e meno inquinante per ricavare energia dal sole - finalizzati alla produzione di energia elettrica e di acqua calda. Per quanto riguarda la produzione, Umani Ronchi è da sempre sensibile ad una produzione eco-compatibile delle proprie uve: “Fin dagli anni Ottanta - spiega Michele Bernetti che con il padre Massimo guida la cantina - abbiamo cominciato ad adottare nelle Marche tecniche di agricoltura a basso impatto ambientale. Un impegno che continua tuttora: abbiamo recentemente acquistato un nuovo macchinario per il trattamento dei vigneti, che grazie a tecnologie innovative riesce a risparmiare ben il 50% dell’acqua rispetto alle macchine tradizionali”. Nella nuova tenuta di Montipagano, in Abruzzo, 30 ettari e un potenziale di 200.000 bottiglie annue, grazie alle sue eccezionali condizioni climatiche e ambientali, è stata invece subito richiesta la conversione al regime biologico. Una via non facile, legata finora almeno in Italia a piccoli produttori: Umani Ronchi (circa 3,8 milioni di bottiglie, con 18 referenze, export pari al 75% della produzione) è stata la prima vera grande azienda vitivinicola italiana che ha scelto di puntare sul biologico certificato, dettando così la strada agli altri big del Belpaese. Anche a Montefalco è in atto una “Green Revolution”, secondo un progetto, partito nel 2010, che sarà completato nel 2015. Sono coinvolte sette aziende leader del territorio, il cui obiettivo è la definizione di un protocollo di autodiagnosi aziendale che permetta di monitorare la qualità e l’impatto delle operazioni produttive, in modo rigoroso e misurabile. Caprai, l’azienda guidata da Marco Caprai, che ha rilanciato il Sagrantino di Montefalco nel mondo e fa parte di Symbola, la Fondazione per le Qualità Italiane presieduta da Ermete Realacci, è capofila del progetto, ed ha già dedicato parte dei suoi vigneti alla ricerca sugli effetti del riscaldamento del pianeta sulla viticoltura, puntando alla riduzione delle emissioni di carbonio. A seguire questa importante sperimentazione anche alcune delle realtà viti-enologica più importanti della zona, quali Adanti, Antano, Antonelli, Perticaia, Scacciadiavoli, Tabarrini ed il “Cratia”, l’ente formativo di Confagricoltura Umbria. Ma siccome il wine lover non accetta compromessi, le cantine devono risparmiare ma l’ambiente e il vino non devono perdere in qualità. Per questo è nato il progetto “Magis”, che vede insieme mondo della ricerca (dalle Università di Milano, Piacenza, Torino e Firenze), organizzazioni di filiera (da Assoenologi a Unione Italiana Vini) e oltre 70 produttori tra i più importanti d’Italia: da Antinori ad Argiolas, da Donnafugata a Frescobaldi, da Giv a Leone de Castris, da Marchesi di Barolo a Mastroberardino, da Mezzacorona a Fratelli Muratori, da Planeta a Ruffino, da Santa Margherita a Settesoli, da Tasca d’Almerita a Umani Ronchi, da Zenato a Zonin. “Magis” anticipa le linee direttive dell’Europa, nel segno di prodotti sempre più sicuri dal punto di vista della salute e sempre più attenti all’impatto ambientale, col fine di elaborare un protocollo applicabile a diverse realtà produttive. Funziona confrontando i risultati, in vigna e nel bicchiere, dei prodotti attenuti con il sistema “Magis”, a cui le cantine aderenti dedicano una parte di vigna e di produzione, con quelli ottenuti secondo i metodi “tradizionali” dell’azienda. Il protocollo, che analizza dati ambientali, tecniche colturali e produttive, ha garantito un minor impatto ambientale, riducendo mezzi tecnici, trattamenti ed energie impiegate in vigna e in cantina, e maggiore sicurezza per il consumatore con le analisi dei residui e con lo sviluppo della prima mappa di rischio micotossine nazionale. Con una qualità dei prodotti inalterata o migliorata, “certificata” da Assoenologi. E c’è anche una piattaforma web, che garantisce alle cantine l’accesso a informazioni in tempo reale per gestire al meglio il processo produttivo.

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