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National Geographic

Vendemmiare stanca ... Le foto di vendemmie lontane inteneriscono, ma il rischio più insidioso è cadere nell’elogio zuccheroso del tempo andato. Una retorica vuota ha descritto per decenni una realtà inesistente, frutto di una idealizzazione.
Un mondo pieno di oggetti di dubbio gusto: botti alte quanto un palazzo, portacandele con relativo moccolo, inquietanti oggetti in ferro battuto, teste di Bacco con annessi pampini, e simili. E naturalmente vendemmiatori rubizzi, già alticci alle sette del mattino, contadine monumentali con tanto di fazzolettone a quadri sulla testa, l’apparente leggerezza di un lavoro che nei fatti è duro, a tratti durissimo.
Una vendemmia vera poteva essere un’occasione spensierata, certo, ma più spesso era un appuntamento difficile, pieno di tensione. Tensione per il rischio incombente delle piogge, o peggio della grandine; per la possibilità che le uve non raggiungessero un buon grado alcolico potenziale, e che non potessero quindi spuntare un buon prezzo al mercato. Che il vino fosse buono o cattivo, poteva infatti essere marginale: contava la gradazione alcolica, il grado alcolico era pane. Sono passati alcuni decenni, ma è come se fossero passati mille anni.
Assistiamo a mutamenti radicali, non solo da un punto di vista fisico e climatico (le vendemmie si fanno, mediamente, in periodi anticipati rispetto al passato), ma sociologico. Oggi il vino ha più a che fare con l’imprenditoria rampante, o con il gossip, che con il mondo contadino: fanno vino manager di successo, cantanti in disarmo, attori, tennisti, piloti di formula uno, presentatori televisivi, odontotecnici, proprietari di sale del bingo, eccetera. Ormai metà degli italiani produce vino, e l’altra metà ne scrive. E tutti, nessuno escluso, ne parlano. Ma nonostante questa deriva modaiola, non conviene farsi tentare dall’elogio del tempo che fu. Il vino degli antenati, in media, non era buono come quello che si fa oggi; con buona pace del cultore dei cosiddetti vini estremi, una nuova e pericolosa figura di snob che si delizia con vini ricchi di difetti, ritenuti “simil-contadini”: vini acescenti, precocemente ossidati, pieni di puzze e puzzette assortite. Così lo snob rimarca la sua superiorità sugli appassionati comuni, che a suo dire mandano giù qualunque liquido riporti in etichetta l’indicazione “Chardonnay” o “Cabernet’ Ecco, a ben guardare, l’unico rimpianto che è giusto nutrire: quello per l’epoca in cui, dura o allegra che fosse la vendemmia, il mondo del vino non era stato definitivamente risucchiato da quello della moda e dello snobismo di massa.

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