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SPUNTATURE

Chiari (e scuri) delle bollicine bresciane

Amarone, Franciacorta e Prosecco guidano la classifica delle prime 15 Denominazioni a valore più vendute nel 2017 (dati dell'Osservatorio Signorvino). Un risultato lusinghiero per la denominazione bresciana che non solo conferma un trend ormai non più tale, quello del consumo delle bollicine, ma anche un successo di un determinato modo di intendere gli spumanti. Dunque, la Franciacorta “tira”. È però un fatto che ci sia anche richiesta di Franciacorta a basso prezzo. Ed è curioso notare, come alcuni produttori franciacortini si adeguino senza farsi troppe domande. Antico vizio italico quello di pensare a breve o corto, se non cortissimo respiro. Lasciando stare le polemiche di mercato, che spesso accompagnano l’ignoranza del consumatore, troppo spesso incapace di distinguere un Franciacorta da un metodo Charmat, è proprio sul metodo produttivo che dobbiamo stare. Senza entrare nei dettagli tecnici, va da sé che il Franciacorta è un vino che costa e costa proprio per essere prodotto. Tutto sommato nemmeno tanto se confrontato con la produzione francese (altra questione è invece il paragone con i Cava spagnoli), ma, di sicuro, se vogliamo bere una buona bottiglia di Franciacorta, bisogna spendere diciamo dai 25 euro in su. Insomma, resta al fondo un problema per tutta la denominazione: dopo aver spiegato che è un luogo ben preciso e quindi può stare con i vini più importanti d'Italia, resta però da convincere che, al di là dello storytelling di routine, costa di più perché è prodotto con un metodo di vinificazione caro, che non può essere "scontato" cioè sacrificato sull'altare del "meglio vendere a poco subito che fra un po' di tempo ad una cifra più alta".

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