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Le più grandi saline d’Italia e d’Europa nelle mani della multinazionale francese Salins spa

Dalla Puglia via un altro pezzo del patrimonio agroalimentare italiano. L’allarme del Ceves: “salviamo il sale italiano”

Le più grandi saline marine d’Europa, quelle di Margherita di Savoia, in Puglia, 500 ettari di vasche all’interno di 4.000 ettari di riserva naturale, sono passate in mano alla multinazionale francese Salins spa, leader europea e co-leader mondiale nella commercializzazione di sale industriale, sale stradale e sale alimentare per 16,7 milioni di euro. Fa discutere il passaggio in mani straniere di un altro pezzo dell’agroalimentare italiano, forse meno prestigioso e meno tutelato, ma comunque storico, con la filiera del sale che, ora, rischia di fare la fine di quella dello zucchero, come denuncia Ceves, il centro studi attivo nelle ricerche tecniche-scientifiche-economiche sul sale italiano. Del resto, che il sale italiano non goda di grosse tutele o considerazione è dimostrato anche dal fatto che il sale purissimo, bianco, grosso a fiocchi o a chicchi made in Italy ha un prezzo medio al consumo di 2-3 euro al chilo, nei migliori casi, mentre tutti i sali di importazione partono da 5 euro e fino a 40 euro al chilo.
“Come Ceves - spiega Giampietro Comolli, a capo del centro studi sul sale italiano - chiediamo un’etichetta parlante sulle confezioni, un trattamento normativo uniforme fra sale nazionale e estero, oltre a vedere se è possibile identificare, tracciare e certificare altri siti produttivi nazionali meritevoli del riconoscimento Dop o Igp o di Presidio, come già avviene per due sole parti ristrette delle saline di Trapani e di Cervia. Come Ceves abbiamo valutato tutte le saline attive in Italia e si potrebbero riconoscere, con un grande valore aggiunto anche per il territorio locale come parchi, ambiente, paesaggio, terme, musei e altre attività agricole, almeno altri 10 siti meritevoli di una Igp all’interno anche di più grandi saline marine e minerarie. L’auspicio è che si intervenga prima possibile per salvare il sale italiano prima che finisca , anche svenduto, in mani straniere (800.000 tonnellate all’anno di estrazione potenziali di Atisale-Salapia sale spa su un totale nazionale di 2,2 milioni di tonnellate è una bella fetta) che non garantirebbero - sottolinea Comolli - gli attuali posti di lavoro, il valore aggiunto territoriale, una libera concorrenza, la certezza dell’origine italiana del sale nelle confezioni commercializzate con marchio italiano, ma di contenuto assai dubbio e proveniente da chissà quale luogo magari anche più inquinato e meno controllato di quello delle coste italiane, del mar Mediterraneo”.

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