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LA RIFLESSIONE

Valpolicella, successo sui mercati, ma attenzione al futuro: il monito di Emilio Pedron

“Abbiamo raggiunto risultati economici invidiabili, ma non siamo nel salotto buono del vino italiano”, sottolinea il manager e ad Bertani Domains
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Valpolicella, gran successo sui mercati, ma attenzione al futuro: parla Emilio Pedron

I vini della Valpolicella, Amarone in testa, sono tra i vini italiani di maggior successo. Lo dicono i numeri lusinghieri del fatturato “di territorio”, di 600 milioni del 2018, del valore fondiario costante dei vigneti, sui 5-600.000 euro ad ettaro, tra i più alti d’Italia, e quelli della produzione lorda vendibile per ettaro, sui 25-30.000 euro per ettaro, tra i più alti in Europa e, infine, dell’elevato prezzo delle uve, costante dal 1997 con un calo solo nel 2004-2005.
Eppure in Valpolicella serpeggia un poco di inquietudine per il futuro - e non per le note vicende legate alla contrapposizione tra il Consorzio della Valpolicella e le Famiglie Storiche - per certi versi benefica, come uno scricchiolio che avverte dell’apertura di una crepa che, se sistemata subito, non creerà problemi. Una crepa che si chiama “reputazione inadeguata” per stare nel salotto buono del vino italiano, quello riconosciuto eccellente a livello planetario.

“Oggi le cose vanno bene, siamo una delle zone più ricche e interessanti d’Italia, ma qualcuno in più che si preoccupa che il futuro possa non essere più positivo come il passato c’è - ha osservato nella sua analisi Emilio Pedron, past president del Consorzio, oggi amministratore delegato Bertani Domains, ma soprattutto manager di visione - c’è un po’ di vino sfuso invenduto, ma siamo stati abituati, troppo bene, a venderlo prima che uscisse. Per un vino, l’Amarone, che per disciplinare esce dopo tre anni, tenere in cantina un’annata in più dovrebbe essere fisiologico. Non sono queste le ragioni per cui preoccuparsi. Piuttosto - ha sottolineato Pedron - dovremmo chiederci cosa abbiamo fatto di sbagliato perché l’Amarone non figuri nella classifica dei vini di prestigio citati spontaneamente da un panel importante di consumatori presentata da Wine Monitor a Vinitaly 2019. Oppure perché l’Amarone, nell’indagine di Wine Spectator, presentata sempre a Vinitaly, sui vini preferiti dai wine lover negli Stati Uniti, compaia solo al quarto posto dopo Brunello (33%), Barolo (26%) e Chianti (11%) e con il 9%, cioè neanche un terzo dei primi due. E, ancora, perché fra le Regioni citate, il Veneto non appaia, mentre ci sono Toscana, Piemonte e Sicilia. Evidentemente non abbiamo lavorato bene sull’accrescimento del suo prestigio”.
“La Valpolicella si trova a un “bivio esistenziale” - ha sottolineato Daniele Accordini, direttore della Cantina di Negrar e vice presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella, presentando la tavola rotonda organizzata per festeggiare i 60 anni del Comitato Festa Vini classici della Valpolicella di Pedemonte (Verona) il 29 aprile scorso. Il Comitato, nato nel 1959, ha accompagnato in anni difficili la nascita della Doc Valpolicella, arrivata nel 1968, e ora, dopo la sua evoluzione da denominazione povera a Docg ricca e prestigiosa anche in ambito internazionale, discutere del suo futuro in questa sede ha un importante valore simbolico”.
Nel 1997 la produzione di Amarone era a 2,4 milioni di bottiglie vendute, nel 2000 era aumentata a 8,2 e nel 2018 a 14 milioni. Il Ripasso nel 2000 era pressochè inesistente, e nel 2018 è arrivato a 27 milioni di bottiglie, e il Valpolicella a 17 milioni di bottiglie, per un totale, nel 2018, di 60 milioni di bottiglie. In 18 anni 10 milioni di bottiglie sono stati “convertiti” da Valpolicella ad Amarone e 20 milioni di bottiglie da Valpolicella in Ripasso, triplicando il fatturato stimato dai 200 milioni del 2003 ai 600 milioni del 2018.
“Sono numeri di un successo, recente e impetuoso - ha proseguito Pedron - che è stato più cavalcato che governato. Se la Valpolicella fosse una società per azioni triplicare il fatturato sarebbe da primato. Cosa non abbiamo fatto di giusto allora? I soci fondatori di questa società, cioè noi azionisti-produttori, ci siamo portati a casa tutti i dividendi. Siamo diventati più ricchi, abbiamo fatto vigneti e cantine più belli, ma non abbiamo pensato al capitale sociale che è la denominazione Valpolicella. Questa è stata la più grave lacuna di questi 20 anni. Il successo ci ha fatto dimenticare i rischi possibili. Già nel 2004, quando ero presidente del Consorzio, nel convegno di apertura dell’Anteprima Amarone ci eravamo chiesti se fossimo stati ”più bravi o più fortunati”. Nel 2005 avevamo discusso sulle ragioni del successo e sui rischi per il futuro. Ben 15 anni fa ci siamo fatti le stesse domande che ci poniamo oggi e quindi vuol dire che le risposte ipotizzate non sono state interessanti perché le cose andavano così bene che nessuno le ha tenute in considerazione. Nel 2011 abbiamo concluso una bellissima zonazione con Attilio Scienza, anche questa è rimasta lettera morta perché le cose andavano molto bene. Nel 2012 abbiamo organizzato l’Osservatorio Internazionale dei prezzi al consumo di Amarone, Valpolicella e Ripasso, e un anno dopo lo abbiamo dismesso, perché tanto le cose andavano così bene che non interessava. Nonostante la preoccupazione di qualcuno di noi operatori. Questi sono fatti. Credo che oggi la strada obbligata per l’Amarone in particolare e per tutti i vini della Valpolicella sia quella di aumentare il proprio prestigio a livello internazionale. Come? Ricercando una maggiore unicità nello stile del prodotto, puntando di meno sull’appassimento e di più sul territorio. Peraltro abolirei la parola “appassimento” per sostituirla con “messa a riposo delle uve”. In sintesi meno metodo, replicabile da altri, e più tipicità. Rincorrendo meno il mercato e lavorando di più per far apprezzare il carattere autentico del nostro vino, fondamento della nostra produzione che un po’ abbiamo perso. Difendendo il prezzo di vendita: non c’è vino né territorio di prestigio che non abbia un prezzo elevato. Meglio produrre di meno a un prezzo più alto a parità di guadagno. Altra necessità nei territori “giovani” come il nostro è far crescere in noi produttori la cultura, la responsabilità solidale e concorde della denominazione che, ribadisco, è il nostro capitale sociale. Infine è necessario diffondere e comunicare queste azioni negli ambiti giusti. In conclusione con l’Amarone e la Valpolicella abbiamo raggiunto il mercato, una solidità economica invidiabile ed invidiata da molte regioni d’Italia, ma non siamo nel salotto buono del vino italiano: entrarci deve essere l’obiettivo dell’Amarone per il futuro. Capisco che questo rappresenti un sacrificio, bisogna cambiare delle abitudini e molti saranno in disaccordo. Ritengo che la rincorsa al mercato dia dei frutti di breve durata, nel nostro caso già consumata in questi 20 anni. Dovremmo provare a far sì che il mercato venga da noi, questo rappresenterebbe il vero salto importante, solo allora saremo ricchi davvero, di cultura, saperi e anche portafogli”.

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