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SPERIMENTAZIONE

Bollinger, la risposta al riscaldamento globale si chiama Petit Meslier e Arbanne

Anche in Champagne, come a Bordeaux, le vecchie varietà garantiscono resistenza e maturazioni più lente, preservando le acidità
BOLLINGER, CAMBIAMENTI CLIMATICI, CHAMPAGNE, Mondo
Bollinger, le vecchie varietà di Champagne per combattere il climate change

Per combattere la sfida del cambiamento climatico in vigna, corre la ricerca sulle varietà resistenti, vitigni nati da incroci, in laboratorio, che promettono di rispondere alle esigenze future dei vignaioli. Ci vorrà del tempo, però, e intanto sono in molti a guardare all’immenso patrimonio varietale esistente, e spesso dimenticato, per trovare risposte ancora più rapide e, con ogni probabilità, sostenibili. Deve averla pensata così anche una delle principali griffe dello Champagne, Bollinger, che ha come obiettivo quello di preservare le acidità dei propri vini base, aspetto fondamentale per la produzione delle celebri bollicine: una sfida sempre più difficile, che si può vincere, secondo lo chef de cave di Bollinger, Denis Bunner, puntando su due varietà finite da tempo nel dimenticatoio dell’ampelografia dello Champagne, il Petit Meslier e l’Arbanne che, maturando più lentamente, riescono a tenere un pH sotto il 3.0. Potrebbe rivelarsi la risposta giusta ad un’esigenza comune in Champagne, dove, negli ultimi 30 anni, come ha ricordato lo stesso Denis Bunner al magazine britannico “The Drinks Busness”, “il riscaldamento globale ha fatto scendere i livelli medi di acidità dei nostri vini ad una media di 1,3 g/l, e continua a scendere, per questo l’uso di queste vecchie varietà, che abbiamo ripiantato sette anni fa, potrebbe rivelarsi interessante”.
Ovviamente, non basta la sperimentazione di Bollinger, perché cresca il peso specifico di queste due nuove (per quanto vecchie, ndr) varietà, Arbane e Petit Meslier, ci vuole un piano globale, orchestrato dall’Inra - Institute National De Recherche Agronomique e sposato dal Comité Champagne, ma di certo il recupero di vitigni resistenti alle malattie fungine, e capaci di rispondere al meglio alle sollecitazioni del meteo, è un aspetto che sta già prendendo piede. Come dimostra, ad esempio, la scelta dei produttori di Bordeaux, riuniti nel Syndicat Viticole des AOC Bordeaux & Bordeaux Supérieur, che hanno “pescato”, per combattere gli effetti del cambiamento climatico, sette nuove varietà, di cui quattro a bacca nera, Marselan, Touriga Nacional, Castets e Arinarnoa (nata dall’incrocio tra Tannat e Cabernet Sauvignon), e tre a bacca bianca, Alvarinho, Petit Manseng e Liliorila (incrocio tra Baroque e Chardonnay creato negli anni Cinquanta): già ammesse dalle associazioni bordolesi, si aspetta ancora il via libera definitivo dell’Inao. E poi, più in piccolo, c’è l’esperienza di Planeta, che in Sicilia ha riscoperto e rilanciato anche da un punto di vista produttivo, una varietà assai popolare in epoca Romana, il Nocera, che nelle intenzioni dell’azienda siciliana potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel futuro enologico dell’isola.

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