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EDITORIALE

Scrivi Marche e leggi Verdicchio

L’Italia enoica, storicamente, soffre di una certa sudditanza nei confronti dei “cugini” francesi in fatto soprattutto di vini bianchi. Eppure nel Bel Paese esistono varietà a bacca bianca dalle caratteristiche uniche. Probabilmente quella dalle potenzialità più esuberanti è il Verdicchio Bianco, la varietà regina delle Marche (ma il Trebbiano di Lugana e il Trebbiano di Soave sono identici nel DNA al Verdicchio). Di primo acchito, il Verdicchio è capace di dare vini freschi e di pronta beva, ma anche molto strutturati e capaci di notevole longevità. Come dire, eclettismo e duttilità. Da qui, il suo utilizzo anche per la produzione di spumanti sia Metodi Classico, che Charmat e vini passiti. Il suo nome deriva forse ed in analogia con altre varietà (Verdello, Verdena, etc.) dal colore verde delle sue uve (dal latino viridis) ed i riflessi verdognoli del suo vino. Il Verdicchio è considerata varietà autoctona delle Marche, ed è attestato fin dal XVI nel “De naturali vinorum historia” di Andrea Bacci, mentre entra alla fine del XIX secolo, nel libro “L’Ampelografia Italiana” e nel Registro Nazionale delle Varietà nel 1970. Il Verdicchio, in realtà, è diffuso anche fuori dalle Marche, per esempio in Umbria e in Abruzzo, ma, in generale, non riesce ad esprimersi con uguale personalità. Adatto alle più diverse tecniche di allevamento e di vinificazione, il Verdicchio ha avuto grande fortuna commerciale negli anni Sessanta del Novecento, in una versione molto semplice. Tuttavia, con una maggior cura in vigna e in cantina, cresciuta specialmente nel recente passato, il Verdicchio è oggi uno dei vini di riferimento dell’Italia bianchista.

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