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VERSO IL FUTURO

Vino italiano, il “sogno americano” continua, nonostante la pandemia

Nel 2020 l’export ha tenuto, e in avvio di 2021, pur in un quadro complesso, arrivano sentiment positivi per le grandi denominazioni d’Italia
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Il vino in Usa nell'illustrazione di Kasey The Golden

Qualche sensazione positiva, nonostante tutto, con due certezze: che se da un lato la pandemia non allenta la sua morsa in gran parte del mondo, con tutto ciò che ne consegue, dall’altro l’Italia del vino può continuare a far forza sul suo più grande alleato, il suo mercato più importante, ovvero gli Stati Uniti d’America. Che non solo sembrano aver retto, nel complesso, nel 2020 (le stime di chiusura dell’Osservatorio Vinitaly Wine Monitor parlano di un -2%, a 1,7 miliardi di euro, in attesa degli ultimi dati ufficiali) ma che, dai primissimi sentiment raccolti dai alcuni dei Consorzi delle più importanti denominazioni del vino d’Italia (dal Brunello di Montalcino al Barolo, dalla Valpolicella al Chianti Classico, dalla Doc Sicilia alla Barbera d’Asti, dal Prosecco Doc al Pinot Grigio delle Venezie), regalano elementi di speranza per un 2021 di certo non semplice ma, forse, meno duro del 2020. Non solo per il fatto che il Belpaese, almeno per ora, è rimasto indenne dai nuovi dazi introdotti dagli Usa sui già penalizzati vini di Francia e di Germania sia nella disputa Boeing-Airbus sia che nella querelle sulla Digital Tax, e perchè si spera che, tra restrizioni e vaccini, la seconda parte dell’anno veda un ritorno a qualcosa di simile alla normalità. Ma anche perchè con la nuova presidenza Usa di Joe Biden si confida in una pur complessa distensione dei rapporti tra Usa e Ue, che aiuti la ripresa dell’economia nel suo complesso, e soprattutto perchè, in particolare per alcune denominazioni, la chiusura di 2020 e le primissime battute di 2021 rivelano un quadro positivo e quasi insperato solo pochi mesi fa. La voce più positiva è quella del presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino, Fabrizio Bindocci: “grazie all’aspettativa che si è creata dietro l’eccellente annata 2016, unita alla Riserva 2015, due delle migliori annate di sempre secondo la critica internazionale, gli importatori stanno premendo per velocizzare la spedizione dei vini, per essere presenti sin da subito sul mercato statunitense. Tutti noi produttori ci stiamo lavorando”.
Anche il Chianti Classico ripone grandi speranze sul mercato Usa, come spiega a WineNews il presidente del Consorzio, Giovanni Manetti:“per noi gli Stati Uniti rappresentano il 34% del mercato, in sostanza una bottiglia di Chianti Classico su 3 finisce Oltreoceano. E nel 2020, nonostante le chiusure di bar e ristoranti che, a macchia di leopardo, hanno colpito tutto il Paese per mesi e mesi, il Chianti Classico ha tenuto bene. Alla fine, l’anno si è chiuso in sostanziale equilibrio rispetto ai numeri del 2019, e questo non era affatto scontato. I wine lover Usa, in questo periodo, hanno dimostrato che, tra le tante cose di cui possono fare a meno, non c’è il Chianti Classico, visto che i consumi persi fuori casa sono stati riequilibrati dagli acquisti in enoteca e online. Un buon viatico anche per questo inizio di 2021, che ci attendiamo irto di difficoltà almeno nella sua prima metà, nella speranza, nella seconda parte dell’anno, di ricominciare a vedere realmente la luce”.
“Abbiamo un sentiment abbastanza positivo - commenta, a WineNews, il presidente del Consorzio del Barolo e del Barbaresco, Matteo Ascheri - anche se le notizie legate alla pandemia ci tengono sempre sulla corda. Gli ordini arrivano, non possiamo lamentarci, anche se la situazione è davvero particolare. Gli Usa si stanno muovendo nonostante tutto, e anche il Canada sta reagendo bene, così come la Germania, che per noi regge grazie alle vendite dirette ai privati. Il mercato più in crisi, forse, è l’Inghilterra, non tanto per la Brexit in sé, quanto per la situazione complessiva. Comunque di 2016 nelle cantine di Barolo non ce ne è più, la 2017 sta partendo, i primi ordini arrivano, c’è attenzione per un’annata troppo presto sottovalutata, che sta crescendo nell’interesse degli operatori”.
Sempre dal Piemonte arriva la visione positiva, sul fronte Usa, di Filippo Mobrici, al vertice del Consorzio della Barbera d’Asti e Vini del Monferrato: “per noi gli Stati Uniti non si sono mai fermati, l’export in Usa ha tenuto così come in Canada, e arrivano segnali positivi, come l’interesse che cresce non solo intorno alla Barbera d’Asti, Ma anche attorno a denominazioni più piccole come Grignolino e Ruchè. Chiaramente sono numeri più piccoli, ma sono segnali importanti. Il cambio di presidenza poi ha portato un po’ di nuovo entusiasmo, speriamo che con il presidente Biden si chiuda del tutto il discorso sui dazi. Le nostre diverse denominazioni, comunque, nel complesso, hanno tenuto, a livello di fascette nel 2020 siamo a +0,4% su 66 milioni di bottiglie. Viste le premesse è un risultato quasi insperato, e ripartiamo da qui”.
Trasmettono una certa tranquillità le parole di Christian Marchesini, presidente del Consorzio della Valpolicella: “le cose hanno tenuto, l’export 2020 si è chiuso in linea con il 2020 nel complesso per le nostre denominazioni. Negli Usa c’è stato un piccolo calo ma non preoccupante, e compensato in parte dalle buon performance sui mercati a Monopolio come Canada e Scandinavia, dove la Valpolicella è molto forte. Sul 2021 ancora non ci sono dati particolari, ma le richieste arrivano, l’interesse è forte soprattutto su vini come il Ripasso. Ovviamente c’è grande attenzione a quello che succede, ma nel complesso possiamo essere soddisfatti”.
“Difficile prevedere cosa succederà nel 2021, ma nel 2020 il mercato degli Stati Uniti si è comportato bene, sostenendo la crescita del Pinot Grigio delle Venezie - commenta il presidente della Doc delle Venezie, Albino Armani - che ha chiuso l’anno, nel complesso, al +4,7%, a quota 1,751 milioni di ettolitri imbottigliati e venduti. Una performance in controtendenza rispetto al calo di molte denominazioni, grazie proprio alla tenuta Oltreoceano: gli Usa sono il nostro primo mercato, assorbono il 44% dell’imbottigliato, le fortune del Pinot Grigio dipendono, nel bene e nel male, dagli Stati Uniti. Il bicchiere è mezzo pieno, gli ordini continuano ad arrivare e, a differenza dello scorso anno, abbiamo già iniziato ad imbottigliare l’annata 2020, segno che la domande continua ad essere sostenuta anche in questo inizio 2021. Da qua a dire che andrà tutto bene, o che abbiamo già venduto tutto, ce ne passa. Di certo, la chiusura di anno, con il +16% degli imbottigliamenti, è un ottimo viatico per una denominazione come la nostra, perché non va mai dimenticato che il 75% dei fatturati arrivano da quattro mercati: Usa, Canada, Gran Bretagna e Germania”.
Sentiment positivo, non solo sul fronte Usa, anche nelle parole di Luca Giavi, dg Consorzio del Prosecco Doc, che proprio in queste ore ha comunicato il superamento dei 500 milioni di bottiglie certificate nel 2020, in crescita del 2,8% sul 2019: “stiamo controllando i dati definitivi, ma, nel complesso, è andata bene, alla fine dovremmo aver registrato una piccola crescita nell’export anche in Usa, che per il Prosecco è un mercato sempre più importante. C’è fiducia in un anno diverso, nei vaccini che stanno arrivando, anche se è naturale che si vive un po’ alla giornata, è impossibile fare programmazione. Quindi è chiaro che c’è un po’ di preoccupazione, in generale, ma anche ottimisemo. Il mercato del Prosecco comunque è vivace, grazie anche al suo posizionamento di prezzo che io definisco “democratico”, è un vino accessibile che garantisce qualità ad un costo accessibile alla gran parte dei consumatori, e questo è un aspetto molto importante”.
“I dati ancora non possono dire molto - conclude Antonio Rallo, alla guida del Consorzio della Doc Sicilia - ma non mancano elementi che fanno guardare in positivo. L’anno scorso, tra fine 2019 e inizio 2020, abbiamo tutti esportato molto di più del normale in Usa, perchè c’è stato un sovrastoccaggio per la paura dei dazi, che ha premiato all’inizio ma che poi ha rallentato le cose durante l’anno, insieme, ovviamente, alla pandemia. Distributori e importatori, però, pur in quadro difficile e con la ristorazione molto penalizzata, hanno consumato gli stock, e questo fa presagire che quando il mercato ripartirà, ci sarà spazio da riconquistare ed una maggiore regolarità in termini di flussi”.

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