Il vino, eccellenza made in Italy che miete successi in tutto il mondo, prospera anche grazie al lavoro di migliaia di stranieri, in tutti i rami della sua produzione, produttori essi stessi, o occupati nel suo indotto: rappresentano una risorsa vitale per la sua economia. A dirlo, i numeri: secondo l’inchiesta “Versa il melting pot nel bicchiere” di www.winenews.it, uno dei siti più cliccati dagli amanti del buon bere, alla vigilia di Vinitaly, la rassegna internazionale di riferimento del settore (Verona, 6/9 aprile; www.vinitaly.com), nei Comuni-campione dell’indagine, tra i più importanti e famosi dell’Italia del vino, gli stranieri arrivano spesso a costituire il 10% della popolazione totale (con punte anche del 14%), dato più alto della media italiana, in cui l’incidenza percentuale degli stranieri sulla popolazione complessiva si attesta al 7,4% (rilevazione Istat al 1 gennaio 2013).
La presenza degli stranieri nei Comuni dell’Italia del vino è fotografata da una percentuale che registra come nei principali distretti del vino italiano vivono persone provenienti da tutti i Continenti, che hanno deciso di trasferirvi vite, affetti, costumi ed abitudini, per lavorare in tutte le professioni, tra chi lavora in vigna, chi fa il manager, la segretaria, il responsabile commerciale, l’enologo, e, naturalmente chi fa il vigneron, perché ha deciso di investire nel vino, accanto a chi, altro grande bacino di occupazione per i lavoratori che arrivano da oltre confine, lavora nel turismo, dai ristoranti agli alberghi, dalle enoteche ai negozi.
Una percentuale che, negli anni, si è sempre rilevata più alta della media nazionale: “nel 2008 - spiega Alessandro Regoli, direttore www.winenews.it - è nata l’idea di realizzare un’inchiesta per analizzare il “melting pot” nei territori del vino italiano. Abbiamo iniziato in Toscana, per poi estendere l’indagine nel 2011 a tutti i principali territori del vino d’Italia, in collaborazione con Città del Vino, ed aggiornarla negli anni, fino agli oltre 50 Comuni attualmente indagati”.
Il “melting pot” in Italia
Gli stranieri residenti in Italia al 1 gennaio 2013, secondo le ultime rilevazioni Istat, sono 4.387.721, 334.000 in più sul 2012 (+8,2%), e la quota di cittadini stranieri sul totale dei residenti (oltre 59 milioni e mezzo, con gli stranieri che acquisiscono la cittadinanza italiana in aumento) continua a crescere, passando dal 6,8% del 1 gennaio 2012 al 7,4% del 1 gennaio 2013 (romeni, albanesi, marrocchini, cinesi e ucraini sono le prime 5 nazionalità). Per effetto dell’immigrazione dall’estero (321.000), in calo, ma, in parte, anche delle nascite di bambini stranieri (80.000), che si stabilizzano, e ormai costituiscono il 15% del totale dei nati da residenti in Italia. Ultimi tra i Paesi più ricchi della Ue, anche noi abbiamo ormai di fatto un tessuto sociale non più riconducibile esclusivamente all’essere italiano e nonostante le resistenze e le numerose problematiche che purtroppo permangono ci avviamo verso una società sempre più multietnica, multiculturale e multivaloriale.
Nel mondo del lavoro, dei 22 milioni e 420.000 occupati 2013, 2 milioni e 368.501 sono stranieri, stando alle ultime rilevazioni Istat disponibili, del III trimestre 2013, anno ancora di crisi: tra il 2012 e il 2013 l’occupazione italiana cala di 500.000 unità, con il tasso di occupazione che si attesta al 55,3% (-1,0%), quella straniera aumenta in misura contenuta (+22.000 unità), ma il tasso di occupazione scende dal 60,6% del 2012 all’attuale 58,1%.
Secondo i dati dell’Unar-Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, seppure dimezzate sul 2012, nel 2013 la percentuale di denunce per le discriminazioni subite sul posto di lavoro è scesa dal 35 al 16%, una cifra comunque molto alta, ma inferiore a quella che descrive la situazione nel mondo dei mass media, dove si registrano il 26,2% delle discriminazioni denunciate, e a quella della vita pubblica, dove avvengono il 21,1% degli episodi. E, se il 71,9% dei casi di discriminazione avviene al momento dell’accesso al lavoro, il primo motivo non è quello legato alla razza o all’etnia (al secondo posto con un allarmante 37,7%), ma l’età, motivo scatenante del 47,8% dei casi di discriminazione. A seguire, ci sono motivi di genere (6,5%), disabilità (5,6%), orientamento sessuale e religione (1,6%).
Il 17 gennaio 2014 la Commissione Ue, tra l’altro, ha adottato la relazione sullo stato di attuazione della direttiva sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza (n. 2000/43) e della direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (n. 2000/78), che consta che tutti i 28 Stati membri hanno recepito le direttive e hanno sviluppato una certa competenza nella materia.
Il “melting pot” in agricoltura
Secondo gli ultimi dati disponibili relativi ad uno stesso anno, nel 2012 sono 849.000 gli occupati agricoli (in lieve calo dello 0,2% sul 2011, più contenuto di quello di altri settori; fonte: Rapporto Annuale Istat 2013). I coltivatori diretti, coloni, mezzadri e imprenditori agricoli professionali ammontano a circa 460.000 unità (stando al Rapporto sulla Coesione Sociale - Anno 2013 di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Istat e Inps). E così come cresce il loro peso nell’economia e nella società italiana in generale, l’impiego di stranieri in agricoltura - settore che, con l’agroalimentare muove un giro d’affari di oltre 250 miliardi di euro, pari al 17% del Pil italiano - continua ad aumentare (ma a crescere contemporaneamente sono anche i disoccupati e gli inattivi, più che nel passato): poco meno di 269.000 nel 2012 (+15% sul 2011, secondo l’Annuario dell’Agricoltura Italiana 2012 dell’Inea; sono questi dati di non facile reperibilità, sempre al centro della discussione, per problemi purtroppo noti che vanno dal sommerso all’irregolarità, che si aggiungono a condizioni diffuse di grave sfruttamento: sono 115.000 gli stranieri ufficialmente registrati per Istat-Inps; per il Rapporto Immigrazione 2013 Caritas Migrantes, riporta Coldiretti, sono 320.000 gli immigrati, provenienti da ben 168 diverse nazioni, impegnati regolarmente nelle campagne italiane; secondo il rapporto Flai Cgil sulle agromafie curato dall’osservatorio Placido Rizzoto i lavoratori a rischio sfruttamento in Italia sono 400.000, su 1 milione e 200.000 addetti all’agricoltura per Coldiretti, di cui un quarto stranieri, ed il 43% di lavoro sommerso per l’Istat, ndr).
Dal 2007 ad oggi, secondo Coldiretti su dati Inea-Infocamere, sono cresciute dell’11% le aziende agricole passate in mani estere negli anni della crisi (in controtendenza all’andamento generale, l’agricoltura è il settore che è stato più in grado di attirare stranieri) - ed oggi si contano 17.286 imprenditori agricoli stranieri in Italia (svizzeri, 16%, tedeschi, 15% e francesi, 8%, ma anche rumeni, statunitensi, inglesi, belgi, albanesi, tunisini, venezuelani), perlopiù in Toscana (14%), Sicilia (13%) e Veneto (7%).
Il contributo dei lavoratori stranieri si rivela decisivo per le nostre denominazioni di qualità: i lavoratori immigrati svolgono una funzione qualificata nella produzione agricola ed agroalimentare, e parallelamente contribuiscono a compensare il tasso di invecchiamento degli imprenditori agricoli ed arrestare il processo di spopolamento delle aree rurali. Sempre più stranieri si stanno specializzando, molto spesso, colmando il vuoto di professionalità lasciato da altri. Tanto che, sempre di più, si avverte la necessità di accompagnarne la crescita anche con la formazione.
Il “melting pot” nel vino
Il vino? Non fa eccezione. Anzi, in un settore che conta in Italia 380.000 imprese vitivinicole produttrici (il 23% della filiera agricola) e impiega 1,2 milioni di persone con l’indotto primario per una produzione che supera il milione di etichette (elaborazione dati Servizio stampa Veronafiere/Vinitaly) e un fatturato annuo di 12 miliardi di euro (dati Agrinsieme), la presenza degli stranieri è fondamentale. E si fa sentire: analizzando la presenza straniera in oltre 50 tra i più importanti Comuni dell’Italia del vino, campione dell’inchiesta WineNews - un mix di piccole e grandi realtà, in cui l’economia del vino la fa da padrone ma, va detto, anche dove non è l’unica, ed è il caso delle città che sono anche “capitali” di terroir enologici, da Modena a Bolzano, da La Spezia a Sondrio, da Aosta a Jesi ed Orvieto - si scopre una percentuale molto spesso superiore al 7,4% di incidenza degli stranieri sulla popolazione italiana (rilevazione Istat al 1 gennaio 2013). Una percentuale che arriva anche fino al doppio (14%), in Toscana, tra i vigneti di Brunello a Montalcino e di Morellino a Scansano, tra i filari dei vini trentini a San Michele all’Adige, ed altoatesini a Bolzano, e nella “patria” del Lambrusco a Modena; che si assesta intorno al 12%, da Barolo a Barbaresco a Guarene, in un’altra importante regione del vino italiano come il Piemonte, ma anche in Friuli, a Casarza della Delizia e, ancora in Toscana, a Suvereto; passando per il 10%, in media, che si registra in Comuni come Castelvetro di Modena, i trentini Lavis e Mezzocorona, a Jesi, dove nasce il Verdicchio marchigiano, e a Valdobbiadene, cuore del Prosecco, a Manzano nei Colli Orientali del Friuli e a La Spezia nelle Cinque Terre; che va dall’8 al 9%, in grandi terroir come Bolgheri, a Castagneto Carducci, nel Chianti Classico a San Casciano in Val di Pesa, e del Sagrantino a Montefalco, passando per quelli del Nobile a Montepulciano, della Vernaccia a San Gimignano, in Valtellina a Sondrio e delle bollicine di Franciacorta ad Erbusco, ma anche a Bardolino ed Orvieto, Morro d’Alba e ad Aosta, fino ad Appiano sulla Strada del Vino ancora in Alto Adige; una percentuale che, infine, è di poco superiore alla media nazionale in Veneto, tra i vigneti dell’Amarone della Valpolicella a Negrar e del Soave a Soave, e, nelle Marche, ad Offida, dove nasce il Rosso Piceno.
Fonte: elaborazione www.winenews.it sui dati Istat della popolazione italiana e straniera residente al 1 gennaio 2013
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