Del successo del bag in box nel mercato del vino, si sente parlare da anni, senza che la previsione, alla fine, si sia mai realizzata. Adesso, a rilanciare il tema, dalle colonne di “La Repubblica - Affari & Finanza” (www.repubblica.it), in un articolo firmato da Paola Jadeluca, è Karl Storchmann, economista guru del vino, docente di economia alla New York University, e direttore del “Jounal of Wine Economics”, il magazine dell’Aawe - American Association of Wine Economists, osservatorio privilegiato per osservare e prevedere temi e tendenze del vino, supportato, nella sua previsione, da una folta schiera di analisti e giornalisti, italiani ed americani. “Vedo un gigantesco trend per i “boxed wine”“, si sbilancia Storchmann, nonostante, ad oggi, l’unico Paese in cui il vino “in scatola” ha riscosso un certo successo è l’Australia, Paese di vini a basso costo per antonomasia, dove il 50% delle vendite è proprio legata ai “boxed wine”.
Il problema, infatti, è sfondare quel muro invisibile che separa il bag in box dal vino di qualità, ma una crepa c’è già, come spiega Paola Jadeluca nel suo articolo: “In questa terra, ancora oggi patria delle nuove tendenze, stando a quanto segnalato dal Dr. Vinis di Wine Spectator, la categoria di vini premium che cresce più rapidamente sono proprio quelli in bag in box. Tutto merito dei coraggiosi produttori che per primi hanno osato “inscatolare” i loro “cru”.
Tra i pionieri Wine Cube , uno store-brand del Bag in box, e Black Box hanno lanciato nel 2003 un vino premium, conveniente e che poteva stare in scaffale, caratterizzato da alta qualità verietale e con tanto di data dell’anno di raccolta.. Una rivoluzione per il settore. Dove ormai non è raro trovare prodotti che viaggiano al prezzo di 115-20 euro al litro. La differenza è che 3 litri dentro un bag-in-box, seppure premium, alla fine hanno un prezzo concorrenziale rispetto ai vini premium in bottiglia. Un fattore non indifferente nello scenario dei consumi profondamente mutato dopo lo tsunami finanziario mondiale. E proprio dagli Usa è partita la nuova ondata dello “chic & cheap”, economico ma chic allo stesso tempo. Proprio quello che rappresenta oggi il bag in box, tanto che anche le riviste specializzate hanno iniziato a emettere i primi rating, con tanto d’annata e formato del BIb. Alla fine del 2013, un’equipe di degustatori di Forbes, coordinati da Katy Kelly Bell, che per il prestigioso magazine firma una seguitissima rubrica, ha stilato una classifica dei migliori vini sotto i 10 euro al litro: sono tutti in bag in box, tre rossi e tre bianchi.
Vini naturali e vini bio, in effetti, si legge nell’articolo di “La Repubblica - Affari & Finanza”, sono quelli che per primi hanno tratto vantaggio da questo tipo di confezione, che aiuta a preservare vini, tanto più quelli naturali con bassa o nulla presenza di solfiti e altri componenti chimici. In Italia, in effetti, il vino bag-in-box si trova sovente nei negozi naturali. E anche il Bib venduto da Eataly è un vino naturale. Stenta, invece, a decollare il mercato tra gli altri produttori. Come mai? Intanto bisogna fare i conti con quella che viene definita la “sindrome del Tavernello”, il vino più famoso d’Italia che ha conquistato il mondo nel brick. Un contenitore che, tuttavia, è ben diverso dal Bag-in-box.
Ma questa sindrome pesa perché si innesta su altri fattori tipici della nostra cultura, molto legata alla tradizione: “Il vino è indissolubilmente legato al concetto di bottiglia, non dimentichiamo che storicamente cambia anche il formato della bottiglia a seconda delle caratteristiche morfologiche di ogni vino”, racconta Armando Branchini, vice presidente della Fondazione Altagamma. Spiega Branchini: “abbiamo la bordolese, l’alsaziana, la borgognotta, e via di seguito. In un paese come l’Italia che ha fatto la storia del vino non è facile mettere da parte questi principi che fanno parte della produzione che del consumo consapevole. Ma non solo. Il consumo di vino, come di altri beni e prodotti, ha anche una sua coerenza con il modo in cui si vive e si abita. Nel nostro paese molti appartamenti hanno una cantina, a differenza della Francia. Questo spiega perché i frigo-cantinetta da anni hanno esistono in gran parte delle abitazioni dei francesi, mentre da noi hanno iniziato a prendere piede ora. Lo stesso per il bag-in-box, chi ha una cantina preferisce magari comprare lo sfuso e imbottigliarselo da sé, lasciandolo conservare nella propria cantina.
“Il bag-in-box rivoluzionerà il futuro, come il “container” ha rivoluzionato il commercio mondiale”, sostiene Mike Veseth, autore di Whte wine Economist, uno dei blog più seguiti nel mondo anglosassone. L’invenzione di un formato standard di shipping adatto a navi, treni e camion ha reso il mondo più piccolo e l’economia più grande, come scrive Marc Levinson. Ora si tratta di capire quale potrà essere l’impatto del bag-in-box. “Il vino è un bene “di esperienza, lo devi consumare prima di sapere se è buono oppure no, per questo la gente si affida a elementi che possano in qualche modo testimoniare della qualità”, racconta Karl Storchmann. E tra gli elementi che finora hanno testimoniano della qualità di un vino c’è, appunto, proprio la bottiglia.
Ma il punto è proprio questo. Il passaggio decisivo avverrà quando il bag-in-box si identificherà con un brand, come una borsa Birkin. Negli Usa stanno già avanti: il magazine Brand Package ha nominato i vini high-end in BiB, una delle dieci innovazioni di packaging del decennio. Come ogni innovazione, ha bisogno del suo tempo per diventare “mass market”. “Succederà come il latte”, sostiene Armando Branchini. E spiega: “la plastica è stata una rivoluzione dal punto di vista della logistica e della raccolta dei rifiutii, ma una rivoluzione che ha preso piede solo quando le grandi centrali del latte, come la Granarolo e le altre centrali dell’Emilia hanno deciso di adottare il brick. E lo stesso è stato per le acque minerali”.
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