La valorizzazione dei vitigni autoctoni come risposta alla globalizzazione e alla sempre più penetrante concorrenza internazionale. E’ questa la scommessa di Gianni Zonin che, dal Vinitaly di Verona (dal 10 al 14 aprile), si candida ad emblema del “vigneto Italia”: sono già 1050 gli ettari coltivati a vitigni autoctoni nelle sue tenute, il 58% dell’intera superficie aziendale. Ma non solo: saliranno al 68% entro il 2010. Un programma massiccio di investimenti anche in termini di risorse umane, mezzi finanziari, ricerca e tecnologia. Le ragioni che spingono il più importante gruppo vitivinicolo nazionale e uno dei maggiori in Europa a marcare così decisamente una scelta sono riconducibili a tre fattori: commerciale, culturale e tecnico-scientifico. Spiega Gianni Zonin, presidente della casa vinicola Zonin e delle 11 tenute di famiglia: “Siamo di fronte ad un’offensiva massiccia da parte dei Paesi emergenti e anche ad un mutamento del gusto e delle abitudini di consumo del vino: la risposta che l’Italia è chiamata a dare ad un mercato che così rapidamente si evolve è di puntare decisamente sulla valorizzazione delle sue specificità enologiche. Una volta raggiunto il primato qualitativo, oltre che quantitativo, il Paese vitivinicolo di maggior peso ha il dovere di cogliere l’opportunità di proporre le sue migliori identità vitivinicole”.
Un’affermazione che, nelle tenute della famiglia Zonin, è già diventata piano d’azione e scelta strategica, e che conferma, ancora una volta, la grande dinamicità del gruppo Zonin e il suo assoluto protagonismo nel panorama enologico mondiale. Del resto, come afferma Franco Giacosa, enologo di fama internazionale che ha la responsabilità tecnica di tutta la produzione della famiglia Zonin: “Le scelte in campo e in cantina vanno fatte con largo anticipo. Il nostro è un settore legato ai ritmi della natura, perciò per noi programmare è indispensabile e significa compiere una continua ricerca, un incessante lavoro sulla qualità. E per noi gli autoctoni sono un fattore di qualità assoluta”.
La dimostrazione arriva dalle più recenti produzioni delle tenute Zonin: il Nero d’Avola Deliella della tenuta siciliana del Feudo Principi di Butera ha impressionato la critica per la sua potenza e la complessità del gusto; l’Insolia ha dato esiti davvero entusiasmanti, la Barbera Bunèjs del Castello del Poggio ha impresso una nuova immagine a uno dei vitigni “principi” del Piemonte, incontrando ampio consenso da parte dei consumatori; Aglianico, Primitivo e Negroamaro sono i must della Masseria Conti Martini-Carissimo in Puglia. A fianco di queste nuove etichette delle tenute Zonin, c’è una consolidata tradizione di vinificazione di vitigni autoctoni che hanno segnato il progresso qualitativo delle produzioni di queste cantine e il loro crescente successo. A cominciare da “Il Giangio”, prodotto a Gambellara, che esalta la locale Garganega, per proseguire con il Refosco dal Peduncolo Rosso e il Tocai che vengono dalla Tenuta Ca’ Bolani in Friuli; ci sono poi dalla Toscana il Chianti Classico Le Ellere e la Riserva di Castello d’Albola, insieme alla Vernaccia di San Gimignano della Tenuta di Monte Oliveto e de “Il Palagio”; c’è la Bonarda della Tenuta Il Bosco in Oltrepò Pavese, e il Grignolino e il Dolcetto del Castello del Poggio. E’ un bouquet che esalta le specificità nazionali quello composto dalle produzioni della famiglia Zonin, con una massima sintesi qualitativa nella linea Gianni Zonin Vineyards, in cui gli autoctoni sono i protagonisti assoluti. Una linea di valorizzazione dei vitigni italiani che ha varcato anche l’oceano, tant’è che nella Tenuta di Barboursville in Virginia proprio il Nebbiolo è diventato un protagonista del più esclusivo mercato statunitense.
A buon diritto dunque le tenute della famiglia Zonin si candidano a rappresentare ed essere il “vigneto Italia”. “E’ una scelta strategica - commenta Gianni Zonin - che abbiamo compiuto molti anni fa: quella di puntare all’acquisizione di grandi estensioni di vigna per impostare un programma qualitativo che oggi dà importanti risultati. Ma non ci riteniamo soddisfatti: nella nuova Tenuta Marchesi di Montemassi in Maremma, terroir che puntiamo a valorizzare al massimo, nella Masseria Conti Martini-Carissimo in Puglia, nelle nostre tenute in Toscana, in Friuli, in Sicilia, in Piemonte e in Veneto abbiamo impostato un programma vitivinicolo, con massiccio impiego di risorse finanziarie, umane e tecniche, che ci assicura il controllo di tutta la filiera e che ha come indirizzo proprio quello di esaltare le peculiarità degli autoctoni”. Una scelta che insiste su tutti i 1.800 ettari di vigneti, e per i quali è stato impostato un approfondito programma di ricerca viti-enologica. Come si diceva le ragioni che hanno spinto le tenute della famiglia Zonin a puntare sulla valorizzazione degli autoctoni hanno tre fondamenti: commerciale, culturale e tecnico-scientifico. Il primo aspetto è del tutto evidente: a fronte di una concorrenza dei Paesi emergenti che puntano ovviamente sui vitigni internazionali, è indispensabile costruire un’identità forte per la produzione italiana. Ma questo significa anche intercettare le nuove tendenze del gusto. Un segnale importante arriva proprio dagli Usa, dove non si ricercano più vini di grande concentrazione e struttura, spesso sovrastati nel bouquet dai sentori del legno, ma piuttosto si chiede eleganza, personalità, capacità del vino di essere ottimo compagno di buona tavola. Esattamente ciò che il “vigneto Italia” può offrire. E questo segnale che arriva da Oltreoceano ha trovato immediata eco sia in Europa sia in Italia, dove peraltro si assiste anche ad una leggera ripresa dei bianchi, soprattutto se autoctoni. Ma c’è anche una motivazione culturale, che una grande azienda vitivinicola, composta da 11 tenute, ha sentito l’esigenza di interpretare: questa esigenza è la salvaguardia delle identità colturali nazionali e il desiderio, in tempi di globalizzazione, di affermare una via italiana al vino di qualità. Ciò è in perfetta sintonia (come testimonia ad esempio la crescente domanda di turismo rurale) con il forte bisogno di ruralità e di valorizzazione della civiltà contadina che si sta facendo largo assieme all’esigenza di garanzie di salubrità e tracciabilità che il consumatore chiede anche al vino. Puntare sugli autoctoni significa interpretare al meglio queste tendenza. E, infine, c’è il fattore tecnico-scientifico, che significa difesa del germoplasma nazionale, di una nazione che può contare su oltre 300 varietà di vitigno ancora coltivate. E, a questo proposito, il complesso delle tenute della famiglia Zonin è il più importante laboratorio produttivo nazionale. Spiega l’enologo Franco Giacosa: “Questo nostro impegno nella valorizzazione degli autoctoni sta nelle cifre delle nostre aziende, ma anche nella convinzione che è da questi vitigni che si può trarre il massimo della qualità. Questo non significa che abbiamo voltato le spalle agli internazionali, anzi i nostri Merlot, Cabernet, Syrah, Sauvignon, Chardonnay sono di altissimo livello, ma significa avere impostato le produzioni su un doppio binario. Del resto il nostro programma è e rimane: far bere al meglio il maggior numero di consumatori.”.
E allora vediamo le cifre del “vigneto Italia” Zonin. Su 3.700 ettari di terreni posseduti quelli coltivati a vigneto sono 1.800. Le varietà coltivate sono in totale 44, compresi gli internazionali, ma gli autoctoni più significativi sono la maggioranza di queste varietà. In particolare si tratta di: Aglianico, Barbera, Bonarda, Croatina, Brachetto, Canaiolo, Cortese, Dolcetto, Fiano, Freisa, Garganega, Grignolino, Insolia, Malvasia del Chianti, Malvasia Nera di Lecce, Montepulciano, Moscato, Muller Thurgau, Nebbiolo, Negroamaro, Nero d’Avola, Picolit, Primitivo di Manduria, Prosecco, Refosco dal Peduncolo Rosso, Sangiovese, Tocai, Traminer Aromatico, Uva Rara, Verduzzo, Vermentino e Vernaccia di San Gimignano. Complessivamente la superficie coltivata ad autoctoni nelle tenute della famiglia Zonin è di 1.050 ettari, pari al 58% dei vigneti, ma la quota degli autoctoni è destinata ad aumentare molto: investimenti arriveranno in Sicilia sul Nero d’Avola, in Puglia su Primitivo e Fiano, in Toscana su Sangiovese e Vermentino, in Piemonte sulla Barbera (al posto dello Chardonnay), in Oltrepò Pavese si stanno studiando impianti di Uva Rara, Vespolina e Moradella, ed in Friuli, al posto di vigneti di Cabernet, saranno messi a dimora nuovi impianti di Refosco dal Peduncolo Rosso. Entro il 2010, le tenute della famiglia Zonin prevedono di arrivare a 2000 ettari vitati, di cui il 68% ad autoctoni. E per giungere a questo risultato sono stati impostati intensi programmi di ricerca in collaborazione con diverse Università italiane: in Friuli si sta sperimentando il Pignolo, in Piemonte il Ruchè, in Puglia il Sussumaniello, ed in Oltrepò Pavese l’Uva della Cascina. Inoltre, su una selezione di varietà autoctone coltivate, si sta cercando di individuare, in vigneti esterni ed in azienda, i biotipi che presentano delle caratteristiche qualitative superiori (grappolo piccolo e spargolo, acino piccolo, sviluppo vegetativo…).
In questo imponente “vigneto Italia” è possibile fare anche una classifica dei vitigni più coltivati: in testa c’è il Sangiovese con 230 ettari, seguono il Refosco dal Peduncolo Rosso con 60 ettari, la Garganega e la Bonarda con 50 ettari, Nero d’Avola, Primitivo, Tocai e Barbera occupano ciascuno 45 ettari di vigneto, Vernaccia e Grignolino 30 ettari ciascuno. E’ davvero una hit parade dell’Italia in vigna, che solo le tenute della famiglia Zonin possono stilare con orgoglio e passione.
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