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GIUSEPPE MARTELLI, DIRETTORE GENERALE DEGLI ENOLOGO ITALIANI, A WINENEWS: “LA CULTURA DEL VINO NELL’INNOVAZIONE DELLA TRADIZIONE PER VINCERE LE SFIDE DEI MERCATI MONDIALI”

Italia
Il direttore di Assoenologi, Giuseppe Martelli

Gli enologi italiani hanno da poco celebrato il loro congresso. L’evento ha avuto come filo conduttore l’idea di “produrre per vendere nella logica dell’evoluzione della tradizione e della scoperta di nuovi mercati”. WineNews intervista il direttore, Giuseppe Martelli, sugli argomenti di maggior impatto nel settore vitivinicolo nazionale …
L’industria vinicola rappresenta un settore economico importante in Italia. Vi sentite supportati dalle istituzioni?
È un comparto importantissimo. Basti pensare che il suo business è di oltre 9 miliardi di euro, di cui più di 3 miliardi dati dall’esportazione. Forse pochi sanno che in alcuni Paesi come Stati Uniti, Canada e Giappone il 40% delle nostre esportazioni agroalimentari è dato dal vino. In certi casi ci sentiamo supportati dalle istituzioni in altri meno. Avremmo bisogno di meno burocrazia, di meno leggi e più chiare, di maggiori “scelte coraggiose” e di una più coordinata azione di promozione sui mercati internazionali.
Quali sono i maggiori problemi a cui il settore e quindi anche la vostra categoria deve far fronte?
Sicuramente uno dei principali problemi è la frammentazione della superficie vitata e delle imprese. Oggi la media azienda/vigneto in Italia è di 2 ettari, contro i 7 della Francia e gli oltre 300 di Paesi tipo Australia e Cile. Pensi poi che le aziende abilitate a commercializzare vino confezionato, sono 30.000; l’80% di esse però commercializza più del 75% del prodotto all’interno dei confini regionali. Un altro problema è sicuramente costituito dal ricarico, spesso esagerato, applicato al vino dalla ristorazione, tanto che recentemente abbiamo dedicato alla questione un congresso nazionale che si è concluso con una risoluzione molto significativa “Per certi esercizi la cantina rende più della cucina”.
La vinificazione, da scienza artigianale, da anni si sta aprendo a nuove meccanizzazioni ed innovazioni tecnologiche. Quanto contano le nuove tecnologie nel vostro settore? Che cosa sta cambiando a questo proposito nella produzione?
Moltissimo. Forse pochi sanno che tra la metà e la fine dell’Ottocento, la vite e quindi il vino, rischiarono di scomparire dall’Europa per l’avvento dall’America di tre parassiti: l’odio, la fillossera e la peronospora. La vitienologia europea uscì da questo trauma consapevole che il suo futuro era legato alla ricerca, alla conoscenza dei fenomeni, ad una tecnologia capace di sopperire ad eventuali nuove calamità. Nel 1876 nasceva così a Conegliano la prima Scuola di viticoltura e di enologia d’Europa, con lo scopo di assicurare uomini specializzati, in grado di seguire e far proseguire su basi scientifiche il settore vitivinicolo. Vini migliori significarono mercati più facili, crescita delle richieste e per i produttori produzioni più remunerative. Nacquero le prime cantine sociali, dirette da enotecnici, oggi enologi, con lo scopo di vinificare e curare i prodotti di quei viticoltori che per mancanza di attrezzature e di conoscenze spesso vedevano vanificate intere annate. Nacque la fermentazione in bianco, quella a temperatura controllata, si diede sempre più importanza alle analisi enochimiche, ai controlli microbiologici, all’igiene della cantina. Anche il modo di vendere e di acquistare stava cambiando. Per praticità, igiene e razionalità alla damigiana andò sempre più sostituendosi la bottiglia, anche per i vini comuni quelli di “tutti i giorni”. In cantina una metamorfosi di questo genere implicò una più rispondente organizzazione, l’adozione di tecnologie più avanzate, che furono via via migliorate e potenziate fino ad arrivare a quelle dei giorni nostri. Questo non per accelerare i processi o per spendere meno, visto che le tecnologia costano e anche tanto, ma per migliorare la qualità nella convinzione che esaltanti profumi ed eccellenti sapori, nell’uva e nel vino sono sempre potenzialmente esistiti, ma spesso diluiti da tecniche inadeguate o conservazioni inopportune.
Investire nella tecnologia più avanzata concorre ad ottenere vini di alta qualità?
Certamente, per i motivi che ho detto prima. Credo che anche i più scettici si siano convinti che la tradizione da sola non migliora la qualità e che il vino, come qualsiasi altro prodotto biologico-alimentare senza tecnologia solo casualmente può essere di qualità. E quando si parla di tecnologia si parla di tecnici, nel nostro settore di enologi e di enotecnica, ovvero di coloro che come direttori di cantina, responsabili di produzione o consulenti in piccole e grandi aziende hanno, con gli imprenditori, il merito di quella che è stata definita “la primavera del vino italiano”.
Oggi gli enologi sono diventati protagonisti nelle cantine. Qual è il giusto atteggiamento di un enologo rispetto al suo cliente?
Quello di qualsiasi professionista serio, preparato, finalizzato al progresso della struttura in cui opera, visto che l’enologo è colui che dal vigneto alla cantina sovrintende alle diverse operazioni indirizzando nel modo più opportuno i complessi processi che stanno alla base della produzione, dell’affinamento e della conservazione del vino, al fine di ottenere il massimo della qualità, sia pure rapportata alle diverse fasce di mercato e alla materia prima di partenza.
Oltre ai vini di moda si può dire che in Italia ci sono anche tecnologie di moda? Quali? E quali conseguenze?
Forse pochi sanno che la nostra tecnologia di cantina è la più diffusa al mondo, le macchine italiane sono preferite proprio dai cosiddetti Paesi emergenti, quelli che oggi ci fanno più paura e che da sempre e subito puntano al meglio. Dall’Australia al Cile, dagli Stati Uniti alla Cina, troviamo tecnologie italiane. Questo da un lato rimarca la continua ricerca e la grande competenza che ci siamo saputi conquistare nel mondo, da un altro che nel nostro Paese, a differenza di altri, la tecnologia è costantemente in evoluzione. Del resto anche i più scettici si sono convinti che la tradizione da sola non risolve i problemi, non migliora la qualità, non sana i bilanci e che il vino, come qualsiasi altro prodotto biologico-alimentare, senza tecnologia può essere solo casualmente di qualità. E quando in qualsiasi settore si parla di tecnologia si parla di tecnici; nel nostro, di enologi e di enotecnici.
Il vino italiano di qualità sta vivendo un momento di grazia negli Stati Uniti. L’Italian Wine & Food ha annunciato che, per la prima volta nella storia, l’Italia ha superato il miliardo di dollari nelle esportazioni vinicole verso gli Stati Uniti. E nel resto del mondo come sta andando il vino italiano?
Molto bene, rimangono al palo Germania e Regno Unito. Ma andiamo con ordine. Allora in termini generali, secondo le proiezioni di Assoenologi (i dati ufficiali sono fermi a fine ottobre) il 2006 ha fatto registrare una crescita complessiva del 6,5% in valore, pari a quasi 3,1 miliardi di euro: record mai raggiunto prima dal settore vitivinicoli italiano. Per quanto attiene le quantità le nostre previsioni danno un incremento del 12,5% rispetto al 2005 con un volume complessivo di 17 milioni di ettolitri di vino esportati su 50 milioni di produzione. Andando ad analizzare i diversi mercati, come dicevo prima, i tradizionali Paesi consumatori dell’Unione Europea mostrano ancora una stasi. La Germania flette del 2% in valore a fronte però di una contemporanea crescita dei volumi (+12%) da addebitare all’incremento del prodotto sfuso. Il Regno Unito cala del 5,3% nei volumi mentre i valori crescono dell’1,5% superando la soglia dei 350 milioni di euro. A fonte di queste negatività, sempre come dicevo prima, il vino italiano fa però registrare una serie di eccellenti performance che riguardano quasi tutti gli altri mercati europei. Infatti, la Danimarca aumenta del 7% in valore consolidando i volumi. I Paesi Bassi danno +6% in quantità e +9,3% in valore. Il Belgio che, come è risaputo, è un mercato strettamente francese, fa registrare una crescita del vino italiano di tutta considerazione: +15% in valore ed il 27% in quantità. Passando ai Paesi di recente adesione all’Unione Europea interessanti risultano le performance della Repubblica Ceca +22% in valore e + 26% in volume. Sui medesimi livelli l’Ungheria in cui il vino italiano rimane il più venduto con un incremento da capogiro visto che si parla del +250% in volume e di +85% in valore. Di minor tono ma di livello sempre assai interessante anche la Polonia che in cui le vendite del vino italiano sono incrementate del 30% si in valore che in volume.
Ottimi risultati quindi, anche se, come spesso Lei rimarca ci sono aziende con il “vento in poppa” ed altre in “profondo rosso”, ovvero vini che tirano ed altro che difficilmente vengono collocati. Ma al di la di questo, vista la sua dettagliata e precisa analisi che ci ha fatto sui diversi mercati, ci può dire come vanno le cose in Cina ed India che, secondo il parere di molti economisti sono destinati a guidare l’economia mondiale?
Diciamo che tutti i Paesi asiatici ci stanno dando molte soddisfazioni, ovviamente i mercati vanno in alcuni casi costruiti ed in altri conquistati, ma il vino italiano piace e le nostre vendite in questa parte del mondo crescono. In Cina, nel 2006, abbiamo incrementato i volumi del 130%, mentre i valori sono passati da 3,6 a 8 milioni di euro con un incremento del 121%. In India le ultime nostre previsioni ci dicono che abbiamo esportato vino italiano per 1,3 milioni di euro con un incremento del 75% in valore rispetto al 2005 e del 74% in volume. Ma credo valga la pena ricordare anche i passi da gigante fatti a Taiwan, visto che le nostre bottiglie sono state incrementate in un anno del 14% in valore e di quasi l’11% in quantità. Per non parlare del Giappone che, dopo 5 anni di flessione, ritorna a sorridere al vino italiano con un’impennata molto vicina al 7% sia in volume che in valore. Ma mi permetta di dare un dato che credo pochi sanno: il vino italiano sta conquistando anche i mercati arabi. Gli Emirati Arabi Uniti sono infatti diventati il primo nostro mercato nell’area medio orientale con vendite che, nel 2006, hanno quasi raggiunto i 3 milioni di euro con un balzo del 35% rispetto al 2005 ed una crescita quantitativa del 13,5%.
Quali sono le nuove sfide che in questo momento pone il settore enologico?
Quello vitivinicolo è un settore di grande fascino, ma dinamico e sempre più legato all’innovazione e alle scelte di mercato. E’ un comparto di forte competizione che sicuramente aumenterà ancora nei prossimi anni. Lei vuole sapere chi vincerà questo confronto? Personalmente credo che avranno più possibilità coloro che, forti di una adeguata massa critica di prodotto, sapranno calibrare qualità, prezzo ed immagine. Una cosa comunque è, certa fino a ieri era il produttore che indirizzava le scelte, oggi è sempre di più il mercato sulla base del rapporto qualità/prezzo per i vini di fascia media e qualità/prezzo/immagine per quelli di alto livello.

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