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INCHIESTA WINENEWS - ANCHE I VIGNETI SOFFRONO PER LA CRISI: CALA IL VALORE SE NON E’ DIRETTAMENTE COLLEGATO A LOGICHE DI MERCATO. DA NORD A SUD, CON POCHE ECCEZIONI, CONTA LA “FORZA” COMMERCIALE DEL VINO E MENO IL BLASONE O MARCHIO DI UN TERRITORIO

Italia
Anche i vigneti soffrono la crisi

Valore dei vigneti in calo su tutto il territorio nazionale. A “decidere” del loro prezzo sempre di più la “forza” sul mercato del vino prodotto su quelle terre e molto meno ogni tipo di valutazione non direttamente collegata alle logiche di mercato. Le dinamiche del prezzo della terra da vigneto sono strettamente collegate al successo commerciale conseguito dal vino in essa prodotto. Questo trend però, dopo un’accelerazione speculativa impressa al mercato nel suo momento migliore, ha subito, nel recente passato, una decisa battuta d’arresto e molte denominazioni e/o tipologie soffrono una diminuzione della loro capacità di penetrazione nei mercati. Una difficoltà che, inevitabilmente, finisce per riverberarsi anche sul valore dei vigneti, indipendentemente dalla loro consistenza storica e/o mediatica. L’analisi emerge da un’inchiesta di WineNews, che ha sondato tanti addetti ai lavori del mondo del vino italiano, cercando di fissare l’entità di questa tendenza.
Già Assoenologi indicava, per l’anno 2009, un calo tra il 5 e il 20%, ritoccato al ribasso, -30%, in un’indagine di inizio 2010. Il ridimensionamento del valore dei vigneti sta interessando un po’ tutte le regioni, con qualche eccezione, pur non raggiungendo quotazioni stellari come quelle di qualche anno fa, da considerarsi ormai un ricordo. Resistono bene, per esempio, i valori dei vigneti dell’Emilia Romagna (50-70.000 euro ad ettaro), grazie al Lambrusco e quelli della Franciacorta (100-150.000 euro ad ettaro), grazie alle bollicine. In crescita i vigneti del Prosecco: 250-300.000 euro ad ettaro nelle zone più vocate di Cartizze e Valdobbiadene, evidentemente più bassi (nell’ordine dei 70-80.000 euro ad ettaro) per quelli nella piana friulana recentemente inglobati nella denominazione. Quotazioni tra i 10.000 e i 20.000 euro per i vigneti pugliesi; stesso range per quelli siciliani, con un leggero incremento per quelli coltivati alle pendici dell’Etna (30-35.000 euro ad ettaro). Un po’ più preziosi i vigneti campani, specialmente quelli irpini, con quotazioni che si avvicinano ai 40.000 euro ad ettaro.
Tra le denominazioni simbolo, se nel Barolo si era arrivati a parlare di 500.000 euro ad ettaro per i vigneti posti nei cru più importanti, oggi la stima più plausibile viaggia fra i 350.000 e i 400.000 euro (-30%) ad ettaro. Stima al ribasso anche per i vigneti del Brunello di Montalcino, che avevano raggiunto anche la quotazione di 400.000 euro ad ettaro, e che attualmente viaggerebbero, invece, nell’ordine dei 300.000 euro (-25%).
Il valore “immateriale” del vigneto, costituito dal suo valore estetico, dalla fama del territorio, dal blasone del marchio della denominazione, dalla storia e dalla tradizione delle tipologia prodotta in quelle terre, sembra quello maggiormente colpito. E il “campanello d’allarme” suona specialmente quando si guarda al valore dei diritti di reimpianto, un po’ la rappresentazione reale di questo valore aggiunto, decisamente in sofferenza (un paio di casi per tutti: i diritti a Brunello viaggiavano sui 200.000 euro nel 2009, quest’anno sono trattati sui 100.000 (-50%); medesima dinamica per quelli a Chianti Classico passati da 50.000 euro a 35.000 (-30%).
Peraltro, a proposito del “peso” dei diritti di reimpianto, va ricordato che la loro futura scomparsa (2013), come stabilito dall’Ocm vino, determinerà un ulteriore scossa verso il basso dei prezzi dei vigneti. Ma già da ora è possibile disegnare uno scenario in cui i vigneti ad Igt perderanno ulteriormente valore solo per questa variazione legislativa. Altra sorte toccherà, invece, ai vigneti a denominazione. Con una sofferenza maggiore per il valore delle denominazioni minori, mentre quelle più importanti, a meno di clamorosi riassestamenti complessivi, grazie al mantenimento degli albi dei vigneti chiusi, riusciranno a stabilizzare il valore di quei diritti.
Analogamente, la capitalizzazione degli immobili, originata da investimenti più che trentennali, cioè quelli operati dalle aziende consolidate e/o più importanti, al di là delle impennate o delle cadute di valore necessariamente comprese in un ciclo economico a lungo termine come quello agricolo, possono ancora garantire una buona tenuta.

Focus - Ecco l’inchiesta WineNews - E il valore del vigneto va giù: da Nord a Sud, con pochissime eccezioni, conta la “forza” sul mercato del vino e meno il blasone o il marchio di un territorio
Avete mai provato a guardare un vigneto spogliato da ogni elemento estetico e/o evocativo, per coglierne il suo aspetto, e la sua funzione, esclusivamente economica?
Il quadro è naturalmente più asettico, ma non per questo meno interessante. Il vigneto, infatti, si trasforma in un fattore della produzione e, attraverso questa che, ai fini imprenditoriali è la funzione più importante, acquista il suo reale ed effettivo valore.
In quest’ottica, complice una crisi senza precedenti anche per il comparto vitivinicolo, pare evidente che l’effettivo valore di un vigneto, sia in generale, in una fase calante, almeno guardando alle quotazioni eccezionali raggiunte nel recente passato. Ce lo dicono le stime di Assoenologi che per l’anno 2009 indicavano un calo tra il 5 e il 20%, ritoccato al ribasso in un’indagine di inizio 2010 che fissava il calo nell’ordine del 30%. Stime che si avvicinano, purtroppo, a quanto rilevato da un’inchiesta di WineNews che ha cercato di fissare l’entità di questa tendenza.
Il fenomeno appare, peraltro, abbastanza ovvio, anche se come vedremo, declinato in modo non omogeneo e con alcune eccezioni. Le dinamiche del prezzo della terra da vigneto, infatti, sono strettamente collegate al successo commerciale conseguito dal vino in essa prodotto, un successo maturato a partire dai primi anni novanta. Questo trend però ha subito una decisa battuta d’arresto, almeno nell’ultimo triennio, e molte denominazioni e/o tipologie hanno sofferto una diminuzione della loro capacità di penetrazione nei mercati, che, inevitabilmente, ha finito per riverberarsi anche sul valore dei vigneti. Oggi, purtroppo, siamo in una fase in cui, dopo l’accelerazione speculativa impressa al mercato nel suo momento migliore, il mondo del vino sta dibattendosi in una spirale di sovrapproduzione il cui effetto principale è quello di un abbassamento dei prezzi di vendita del prodotto finito, che, a cascata, influenza l’intera filiera.
Il ridimensionamento del valore dei vigneti sta interessando un po’ tutte le Regioni, con qualche eccezione, pur non raggiungendo quotazioni stellari come quelle di qualche anno fa, da considerarsi ormai un ricordo. Resistono bene, per esempio, i valori dei vigneti dell’Emilia Romagna (50-70 mila euro ad ettaro), grazie al Lambrusco e quelli della Franciacorta (100-150 mila euro ad ettaro), grazie alle bollicine. In crescita i vigneti del Prosecco: 250-300 mila euro ad ettaro nelle zone più vocate di Cartizze e Valdobbiadene, evidentemente più bassi (nell’ordine dei 70-80 mila euro ad ettaro) per quelli nella piana friulana recentemente inglobati nella denominazione. Quotazioni tra i 10 e i 20 mila euro per i vigneti pugliesi; stesso range per quelli siciliani, con un leggero incremento per quelli coltivati alle pendici dell’Etna (30-35 mila euro ad ettaro). Un po’ più preziosi i vigneti campani, specialmente quelli irpini, con quotazioni che si avvicinano ai 40 mila euro ad ettaro. Fra le denominazioni simbolo, se nel Barolo si era arrivati a parlare di 500 mila euro ad ettaro per i vigneti posti nei cru più importanti, oggi la stima più plausibile viaggia fra i 350 e i 400 (-30%) mila euro ad ettaro. Stima al ribasso anche per i vigneti del Brunello di Montalcino, che avevano raggiunto anche la quotazione di 400 mila euro ad ettaro, e che attualmente viaggerebbero, invece, nell’ordine dei 300 mila euro (-25%).
Si tratta però di quotazioni tendenzialmente astratte perché un vero e proprio mercato “puro” del vigneto, “staccato” dalle proprietà immobili o dall’azienda nel suo complesso (marchio, macchinari, posizionamento sul mercato e così via...), pare essere del tutto marginale o addirittura inesistente. In più, l’effetto della crisi sta infondendo una sorta di “prudenza” anche nelle realtà produttive più forti, che preferiscono non spingersi in acquisizioni ulteriori, specie in un periodo dove magari i profitti sono un po’ più in sofferenza. Non secondaria, inoltre, una certa stabilizzazione dell’intero comparto, la cui spinta propulsiva sembra essersi esaurita, insomma il vino non è più quella sorta di eldorado dal profitto facile, percepito come tale, probabilmente con un eccesso di ottimismo, o quanto meno con una visione progettuale a breve termine.
Stabilire il reale valore di un vigneto, cioè il suo valore industriale, all’ingrosso, comprende tre ordini di valutazioni: il prezzo del terreno seminativo (che varia secondo le zone in una range, in generale, tra i 10.000 mila e i 50.000 euro), il prezzo dei diritti di impianto (anch’esso variabile da zona a zona e a seconda della tipologia: Igt, Doc, Docg, dai poco più di 5000 euro per diritti di vigneti a Igt ai 100-150 mila euro per quelli delle denominazioni più importanti, sempre in generale) e i costi per la realizzazione del vigneto stesso (che cambiano a seconda dell’orografia del terreno del sesto d’impianto, etc: un vigneto in alta collina, con superficie rocciosa potrà costare anche 50.000 euro, mentre un vigneto in pianura su terreni soffici potrebbe costare soltanto 15 mila euro). L’estrema variabilità di questi elementi, evidentemente, determina una conseguente variabilità del valore industriale del vigneto. Ma a determinare il differenziale più importante, concorre il valore “immateriale” del vigneto costituito dalla fama del territorio, dal blasone del marchio della denominazione, dalla storia e dalla tradizione delle tipologia prodotta in quelle terre. Ecco, forse, in questa fase è proprio questo valore, decisamente aleatorio, che sta ridimensionandosi notevolmente. E il “campanello d’allarme” suona specialmente quando si guarda al valore dei diritti di reimpianto, un po’ la rappresentazione reale di questo valore aggiunto, che sembrano l’elemento più in sofferenza (un paio di casi per tutti: i diritti a Brunello viaggiavano sui 200 mila euro lo scorso anno, quest’anno sono trattati sui 100 mila (-50%); medesima dinamica per quelli a Chianti Classico passati da 50.000 euro a 35.000 (-30%)). Peraltro, a proposito del “peso” dei diritti di reimpianto, va ricordato che la loro futura scomparsa (2013), come stabilito dall’Ocm vino, determinerà un ulteriore scossa verso il basso dei prezzi dei vigneti. Già da ora è possibile disegnare uno scenario in cui i vigneti ad Igt, per esempio, perderanno ulteriormente valore solo per questa variazione legislativa. Altra sorte toccherà invece ai vigneti a denominazione. Con una sofferenza maggiore per il valore delle denominazioni minori, mentre quelle più importanti, a meno di clamorosi riassestamenti complessivi, grazie al mantenimento degli albi dei vigneti chiusi, riusciranno a stabilizzare il valore di quei diritti.
Analogamente, la capitalizzazione degli immobili, originata da investimenti più che trentennali, cioè quelli operati dalle aziende consolidate e/o più importanti, al di là delle impennate o delle cadute di valore evidentemente comprese in un ciclo economico a lungo termine come quello agricolo, possono ancora garantire una buona tenuta.
Ma, chiaramente, a “decidere” del valore di un vigneto sarà sempre di più la “forza” sul mercato del vino da esso ottenuto e molto meno ogni tipo di valutazione non direttamente collegata alle logiche di mercato, a partire dalla consistenza storica, vera o presunta, di un territorio e dalla sua più o meno consolidata visibilità mediatica.

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