
Dalla montagna alla montagna, con nel mezzo però un viaggio iniziato 10.000 anni fa, la cui meta non è ancora definita se non per ipotesi: nata nelle alte montagne del Caucaso, dopo aver peregrinato in tutto il mondo per millenni per pianure e colline, incontrando culture diverse e venendone contaminata, confrontandosi, comunicando, sopportando incontri non piacevoli con guerre, malattie come la peronospora, ideologie che ti sostengono e altre che cercano di abbatterti, politiche economiche che ti bloccano o che ti danno l’ossigeno per continuare il viaggio, la vite vuol tornare in montagna. Come Ulisse che nelle sue avventura passò momenti drammatici, ma, alla fine, ritorna nella sua Itaca, partita dall’Ararat, anche la vite sentirà sempre più il richiamo della montagna, che, in fondo, l’ha generata. Lo sostiene Sergio Sgarbi, docente universitario, consulente dell’Ecosoc-Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, giornalista economico, di enologia e storia del vino, citando come esempi i vigneti di alta quota della Svizzera, della Valle d’Aosta o di Cortina, i più alti d’Europa, denominati “Cortina 1350”. Effetto anche di un fattore storicamente da sempre determinante per la produzione enologica come il clima, e della tendenza al surriscaldamento della terra i cui effetti si fanno sentire sui cicli della natura e sulle coltivazioni: restando in tema, dall’anticipo della vendemmia alla distribuzione sul territorio dei vigneti che tengono ad espandersi verso l’alto con la presenza della vite, appunto, sopra i 1.200 metri di altezza.
Parlare del viaggio della vigna e del vino nei secoli e dei suoi aspetti culturali nei diversi Paesi del mondo, partendo dalle prime civiltà, come quelle dei sumeri, e poi a seguire quella degli egizi, dei greci, dei romani e così via fino ai giorni nostri, vuol dire parlare di agraria, di enologia, di religione, di economia, di politica, di cultura, ed in genere di antropologia. E anche di clima e, oggi, degli effetti del climate change. Secondo alcune tematiche che, per certi aspetti e come spesso nella storia succede, sembrano ripetersi.
Dai ritrovamenti delle foglie e dei vinaccioli fossilizzati, i fitoarcheologi ipotizzano che l’origine della vite risalga a più di 2 milioni di anni fa. Ma, le prime testimonianze scritte sulla vite risalgono alla “Bibbia”. Nel racconto della “Genesi”, infatti, Dio volle salvare Noè, perché uomo giusto, e la sua famiglia (Gn 6). Per questo Dio suggerì a Noè di costruire un’Arca per sfuggire al diluvio universale e far così sopravvivere la specie umana e gli animali. Il diluvio universale si sarebbe verificato, secondo Luis Charpentier, al temine dell’ultima glaciazione, cioè circa 10.000 anni fa, secondo altri, 7.000-8.000 anni fa. Quando il diluvio finì, “l’Arca si posò sull’Ararat” (Gn 8,4). Uscito dall’Arca, Noè, che era “coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna” e “avendo bevuto del vino, si ubriacò” (Gn 9, 20-21).
“Il mondo scientifico è d’accordo nello stabilire che il centro dello sviluppo della vite da vino sia avvenuto nelle regioni del Caucaso - sottolinea Sgarbi - dove, a partire da 8-10.000 anni fa, si verificò la selezione della vite passando da vitis silvestris a vitis vinifera. Si tratta di un territorio dove la vite si coltivava in montagne che superavano i 2.000 metri di altezza. Lo sviluppo della viticoltura in questa regione - spiega lo studioso - è legato a questioni sociali, economiche e religiose. Il vino, quindi, ebbe nel Caucaso, per la prima volta, una grande importanza simbolica ed economica”. Per Sgarbi “E’ interessante notare che nella “Genesi” l’agricoltura inizia con la messa a dimora della vigna. Ed è affascinante pensare che la storia dell’agricoltura, dopo l’anno zero del diluvio universale, inizi ex novo con il vino e con una solenne ubriacatura. Il fatto che Noè abbia piantato la vigna e non i semi dell’uva - prosegue lo studioso - ci fa supporre che egli avesse coltivato la vigna anche prima del diluvio universale dato che, come sostiene Winkler, le viti nate dai vinaccioli sono inferiori alle viti-madri dal punto di vista della robustezza, della produttività e della qualità dei frutti. Per questo, la propagazione della vite, in genere, si fa per talea. Da quanto detto, è chiaro che la coltivazione dell’uva risale all’epoca prediluviana”.
Il monte Ararat, dove si posò l’Arca, si trova in Armenia, oggi nella Turchia orientale vicino al confine dell’Armenia. E’ il più alto monte della Turchia (5165 metri) e ha la cima sempre innevata con presenza di ghiaccio. “Dall’Ararat del Piccolo Caucaso la vite si diffuse in altri territori dove non si conosceva la vite - spiega Sgarbi - i diffuse a Nord, verso il Grande Caucaso; a Sud, verso la Mesopotamia; a Ovest, verso l’Anatolia e Grecia e a Sud-Ovest, verso i Paesi della sponda orientale del Mediterraneo (Fenicia, Siria, Libano, Palestina) ed Egitto”. E poi, nell’Italia latina e, quindi, fuori dall’Europa, nel Nuovo Mondo dopo la scoperta dell’America, in Sud Africa, in Australia, in Nuova Zelanda e, ultimamente, anche in Cina.
E, dopo aver fatto il giro del mondo, nel futuro della vite, almeno dal punto di vista geografico, sembra esserci un ritorno alle origini, alle montagne, dovuto, secondo studi e ricerche, al progressivo innalzamento della temperatura, un processo, peraltro, già iniziato. Dal World Economic Forum, all’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change), dall’Onu alla Consultative Group on International Agricultural Research (Cgiar), solo per fare alcuni esempi, tutti sono unanimemente d’accordo che il progressivo aumento dell’effetto serra provocherà una crescita, entro il 2050, della temperatura della terra da 1,5 a 2 gradi centigradi. Ed immaginarsi il mondo enoico a quest’epoca, vuol dire pensare a vini più corposi, alcolici, pieni e meno profumati, cui porteranno le alte temperature e le conseguenti piogge scarse, e a diverse latitudini ideali - con il loro progressivo innalzamento - ed esposizione dei vigneti, dove non si potranno più compiere le stesse pratiche tra i filari, con il risultato che le zone di produzione più importanti potrebbero uscirne profondamente mutate.
Focus - “Pillole” di storia enologica da il “Viaggio della vigna e del vino nei secoli e suoi aspetti culturali” di Sergio Sgarbi
Il diluvio universale
La vite è considerata una delle più antiche piante della terra. Dai ritrovamenti delle foglie e dei vinaccioli fossilizzati, i fitoarcheologi ipotizzano che l’origine della vite risalga a più di 2 milioni di anni fa. Sembra che l’antenato della maggior parte dei vitigni da vino si sia evoluto gradualmente a partire dalle viti selvatiche in seguito alle forti variazioni climatiche avvenute nei millenni nel nostro pianeta e alla selezione umana. Comunque, le prime testimonianze scritte sulla vite risalgono alla “Bibbia” ed al racconto della “Genesi”, in cui Dio volle salvare Noè, perché uomo giusto, e la sua famiglia (Gn 6), suggerendogli di costruire un’Arca per sfuggire al diluvio universale - che, secondo Luis Charpentier si sarebbe verificato circa 10.000 anni fa (7.000-8.000 anni fa secondo altri) - e far sopravvivere la specie umana e gli animali. Passato il diluvio, “l’Arca si posò sull’Ararat” (Gn 8,4) e Noè, che era “coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna” e “avendo bevuto del vino, si ubriacò” (Gn 9, 20-21). Il fatto che Noè abbia piantato la vigna e non i semi dell’uva ci fa supporre che egli avesse coltivato la vigna anche prima del diluvio universale e che la coltivazione dell’uva risale all’epoca prediluviana.
Del diluvio universale si parla anche in altri documenti appartenenti a culture diverse da quella ebraica. Il più noto è riportato nelle tavolette di argilla, scoperte nel 1853, che descrivono “L’epopea di Gilgamesh”. Essa fa parte della mitologia sumera scritta probabilmente intorno al 2000 a.C. Essa raccoglie tutti gli scritti che hanno come oggetto le mitiche imprese del re sumero di Uruk ed è da considerarsi il più importante dei testi mitologici babilonesi e assiri.
Il monte Ararat
Sembra che l’Arca si trovi ancora sull’Ararat. Alcuni viaggiatori, tra cui Marco Polo ( “Il Milione”, 1269), testimoniarono in tal senso. A partire dal 1870, con la prima traduzione dell’“Epopea di Gilgamesh”, il diluvio universale e l’Arca, incominciano ad essere considerati come fatti meno mitologici e più realmente accaduti, in considerazione anche del fatto che Schiliemann, il grande archeologo tedesco, aveva da poco scoperto Troia dimostrando che quello che si considerava un mito, invece, era una realtà storica. Ora il ritrovamento di un testo mitologico, estraneo alla Bibbia, quello dell’”Epopea di Gilgamesh” che descriveva un evento simile a quello del diluvio, cominciò a far pensare che anche in questo caso dietro il mito si nascondesse una realtà storica. Per cui, sopratutto a partire dal XIX secolo alcuni esploratori si sono avventurati sul monte alla ricerca dell’Arca. Alcune spedizioni hanno trovato dei reperti identificabili come un pezzo di Arca. Tra questi, nel 1876 James Bryce, storico, esploratore e professore all’Università di Oxford e l’italiano ing. Angelo Palego. Altre spedizioni non hanno avuto esito positivo, come quella del 1980 dell’ astronauta James Irwin. Tuttavia, fotografie aeree e satellitari hanno messo in evidenza ciò che si decise di chiamare l’“anomalia dell’Ararat” che mostra, non lontano dal vertice della montagna, una macchia nera e sfocata sulla neve ed il ghiaccio che ha l’aspetto di una barca. Per ora, però, resta ancora l’interrogativo sull’esistenza dell’Arca sull’Ararat. Attorno all’Arca si è quindi creato un mito o, meglio, un clima esoterico.
Nascita e diffusione del vino
Il mondo scientifico è d’accordo nello stabilire che il centro dello sviluppo della vite da vino sia avvenuto nelle regioni del Caucaso, dove, a partire da 8-10.000 anni fa, si verificò la selezione della vite passando da vitis silvestris a vitis vinifera. Si tratta di un territorio dove la vite si coltivava in montagne che superano i 2.000 metri di altezza. Lo sviluppo della viticoltura in questa regione è legato a questioni sociali, economiche e religiose. Quindi, il vino ebbe nel Caucaso. per la prima volta, una grande importanza simbolica ed economica. Dall’Ararat del Piccolo Caucaso la vite si diffuse in altri territori dove non si conosceva la vite. Si diffuse a nord, verso il Grande Caucaso; a sud, verso la Mesopotamia; a ovest, verso l’Anatolia e la Grecia e a sud-ovest, verso i paesi della sponda orientale del Mediterraneo (Fenicia, Siria, Libano, Palestina) ed Egitto.
Mesopotamia
Dopo il Caucaso, la Mesopotamia fu la prima ad essere interessata dalla vite. I reperti archeologici ivi trovati - come le tavolette di Ur che risalgono a circa 2400 anni a.C. - ci indicano che i sumeri, localizzati nelle pianure tra il Tigri e l’Eufrate, nel terzo millennio a.C. coltivavano la vite e producevano vino, soprattutto nella parte montagnosa del nord. La coltivazione della vite in Mesopotamia continua poi con chi aveva sostituito l’impero sumero, cioè gli assiri, all’inizio del II millennio a.C. e poi i babilonesi, intorno al 600 a.C. E’ comunque da rilevare che nella Mesopotamia la birra aveva la maggiore rilevanza economica, mentre il vino era riservato ai sacerdoti, ai governanti ed, in genere, all’élite al potere.
Egitto
Anche l’Egitto ci ha lasciato molta archeologia del vino: splendide iconografie relative alla viticoltura in pitture tombali, papiri e statue. All’inizio del III millennio il vino compare come bevanda usata dai re e dai sacerdoti. La pratica egiziana era quella di conservare il vino in giare sigillate con attaccato un cartellino su cui, tra il resto, si scriveva la provenienza e l’annata. Durante il III e la prima metà del II millennio la proprietà dei vigneti era dei re. Le pitture tombali di Tebe del II millennio indicano le procedure di vinificazione. Le pitture indicano che la vite era coltivata a pergolato. Una tomba di Tebe del 1450 a.C. descrive una vendemmia. Si usava il torchio, come dimostrano le pitture murarie. La fermentazione avveniva nelle anfore che poi venivano sigillate. Come in Mesopotamia, la birra era la bevanda alcolica principale dell’Egitto antico.
Mediterraneo Orientale
Nel 3.000 a.C., ma è probabile prima, la vite fu introdotto nelle regioni del Mediterraneo Orientale, Le popolazioni che vivevano in tali regioni, soprattutto in Palestina, in Siria e nel Libano, avevano una grande propensione a coltivare la vite, in particolare gli israeliti che, seguendo il “Vecchio Testamento, simboleggiavano la loro terra, Israele, con la vigna. Isaia diceva che “la vigna è la casa di Israele” (Is 5,7) ed anche: “La vigna deliziosa: Cantate di lei! Io il Signore, ne sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che venga danneggiata, ne ho cura notte e giorno” (Is 27,2-3). Nel “Vecchio Testamento” c’è anche molta poesia come nei Proverbi: “Date il vino a chi ha l’amarezza nel cuore” (Prv 31,6) o nel Cantico dei Cantici”: “Si, le tue tenerezze sono più dolci del vino” (Ct 1,2).
In seguito, nello stesso territorio dove risiedevano gli israeliti, si affermò sempre più il cattolicesimo. Il vino e la vigna nella religione cristiana diventano simboli importantissimi. C’è l’uso simbolico che Cristo fa della vite e del rapporto tra i suoi seguaci e Dio. La vigna si identifica con Gesù e i tralci con i suoi seguaci. Nel Vangelo di Giovanni il rapporto tra Dio, Gesù e i suoi seguaci è chiarito così: “Io sono la vera vite e il Padre mio il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché, porti più frutto. Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,1-5). Nell’eucaristia, il vino diventa il sangue di Cristo e il pane il suo corpo. Il vino assume anche nei miracoli di Gesù un posto particolare. Infatti, il primo miracolo di Cristo è stato proprio quello di trasformare l’acqua in vino alle nozze di Cana di Galilea. Tale trasformazione fece trasalire il maestro di tavola, un sommellier ante litteram, tanto che disse al padrone di casa: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono” (Gv 2,10). Questo simbolismo della vigna e del vino trova la sua espressione nella pittura, nei mosaici e nella scultura, in tutto il mondo cattolico, da quello antico orientale a quello romano, medioevale e moderno. La religione cattolica, che nel tempo diventa la più importante del mondo, ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione territoriale della vite, specie dopo che Costantino riconosce il cattolicesimo come la religione ufficiale dell’Impero.
Il vino nella cultura della Grecia antica
Nella Grecia antica, dove il vino ha assunto un ruolo importantissimo, la vite fu introdotta 1.500 anni a.C. dai Micenei. Tuttavia, la vera cultura del vino nasce intorno al VII secolo a.C. La letteratura greca ci indica una diffusa civiltà del vino. L’“Odissea”, scritta dal greco Omero, verosimilmente intorno all’VIII secolo a.C., contiene molteplici riferimenti al vino. Nell’“Odissea”, Nausicaa quando invitò Ulisse al palazzo del padre Alcinoo, quest’ultimo, ancora prima d conoscerlo, ordinò al coppiere Pontonoo di “mischiare il vino nel cratere e distribuirlo a tutti”. Quindi, ai tempi di Omero il vino era offerto all’ospite prima ancora di sapere chi fosse e quale fosse il motivo del suo viaggio. L’accoglienza, allora, era molto diversa da quella praticata oggi caratterizzata, sempre più, da scarsi elementi relazionali. Ai quei tempi, il vino si mischiava con l’acqua perché era molto alcolico e dolce. Questo nettare concentrato era addizionato nel cratere da un terzo fino a quattro quinti di acqua, in proporzioni stabilite dal coppiere, figura di rilievo indispensabile in ogni simposio. Il vino era molto concentrato per meglio conservarlo nel tempo. Il vino è nuovamente protagonista quando Ulisse è stato fatto prigioniero in una grotta dal Ciclope Polifemo. Con il vino Ulisse riesce ad ubriacare Polifemo. In tal modo, Ulisse e compagni hanno la possibilità di accecarlo con un palo rovente e così fuggire dalla prigionia. Senza vino l’“Odissea” sarebbe finita presto e male.
Anche sullo scudo di Achille, il grande guerriero acheo, troviamo sbalzati l’uva e una vendemmia, come ci riferisce sempre Omero nell’“Iliade”. In Omero vi sono rari cenni a Dionisio perché il vero culto dionisiaco è posteriore. Si sviluppa in Attica verso la metà del VI secolo a.C. Col diffondersi in Attica del mito di Dionisio il vino diventa un elemento fondamentale per la scuola di Socrate e di Platone. Per Platone (V-IV sec. a.C.) i giovani fino a 18 anni non dovevano bere vino in quanto sosteneva che “non bisogna versare nuovo fuoco sul fuoco del loro corpo e dell’anima loro”. Al contrario, i più anziani possono consolarsi con il vino perché è “rimedio alla dura vecchiaia e il cuore si farà più morbido dimenticando l’angoscia”. Tuttavia, per Platone è legittimo l’uso del vino fino all’ubriacatura al solo fine di scoprire la vera indole umana, le principali inclinazioni e il proprio istinto. In questo modo si può capire la propria natura. Platone, in sostanza, accetta la dis-misura perché sosteneva che per capire la misura della ragione bisogna superarla. Platone nel “Simposio” descrive l’uso del vino nel banchetto propedeutico, questo, alla discussione per la ricerca della verità. Questa è conoscibile agli uomini riuniti a banchetto attraverso due vie. La prima, attraverso il vino che con l’ebbrezza ci libera dalle inibizioni e consente così di percepire la verità delle cose. La seconda via è quella dell’uomo che ha una natura pura, personificata da Socrate, il quale può comunicare direttamente con il divino e quindi conoscere la verità tanto lontana dagli uomini comuni. Il pensiero platonico segna lo zenith dell’oinosofia dell’intera tradizione occidentale.
In Grecia, e in seguito anche in Italia, il vino divenne bevanda di massa; mentre in Egitto, in Mesopotamia, e negli altri Paesi orientali del Mediterraneo il vino era riservato alla corte reale, ai sacerdoti e agli alti funzionari. Dall’VIII sec. a.C. in poi l’ulteriore diffusione della viticoltura è dovuta alla Grecia con la fondazione di nuove colonie in Italia del sud. A partire dal 750 a.C. la viticoltura si sviluppò molto in queste colonie; per questo, l’Italia meridionale fu chiamata Enotria. In Italia, la viticoltura fu introdotta non solo dai greci ma anche dagli etruschi, popoli provenienti probabilmente dall’Asia Minore, i quali si erano stanziati, fra il IX e l’VIII sec. a.C., nell’Italia centrale tra il Tevere e l’Arno, praticamente l’attuale Toscana che ai quei tempi si chiamava Etruria. E’ probabile che gli etruschi incominciarono a coltivare la vite in Etruria già nel VIII secolo a. C.. Sembra, comunque, che sia stata l’Enotria, in seguito chiamata Magna Grecia, a dare impulso alla viticoltura italiana.
L’Italia dell’Epoca Romana
Nell’Italia latina, l’importanza della viticoltura è testimoniata dai moltissimi scritti e trattati sull’agricoltura che partono dal II sec. a.C. in poi. Si tratta di autori con una formazione eclettica che conoscevano tutto quello che c’era da conoscere a quei tempi. Autori che si applicavano alle cose pratiche, nel settore imprenditivo, politico, militare e, contemporaneamente, alla filosofia, alla letteratura e alle scienze. Tra i più importanti di questi autori ricordo: Catone, Varrone, Strabone, Virgilio, Plinio, Columella. Catone (234-149 a.C.) in “De Agri Cultura” scrisse il primo trattato sulla viticoltura. Tra il resto, egli sosteneva che l’attività agricola, per il suo valore morale, è preferibile a quella degli “equestri”, una nuova classe sociale che si andava affermando, la cui ricchezza si basava sul capitale immobiliare e sul commercio. Strabone (58 a.C.-25 d.C.) ha tracciato un resoconto completo della viticoltura nei paesi del Mediterraneo. Virgilio (70-19 a.C.), con le “Georgiche”, parla dello sviluppo della vite in funzione del terreno, del sesto di impianto e delle cure alla vite. Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), con la “Naturalis Historia”, tratta nei minimi dettagli le diverse specie di viti, la natura del suolo ed il ruolo del clima. Varrone (116-27 a.C.), con il “De Re Rustica” ha fatto un ampio quadro sulla coltivazione dei vigneti, e sugli aspetti gestionali. Columella (4-70 d.C.) in “De Re Rustica” esamina il problema dei terreni adatti ai vitigni, delle talee per la riproduzione, della preparazione del terreno, del sesto d’impianto di un vigneto, del drenaggio, della potatura, ecc. Quindi, gli studi dei più importanti autori latini di enologia parlavano dei terreni più adatti alla coltivazione della vite ed anche delle viti migliori, dei costi di gestione, dell’appassimento dell’uva per avere vini dolci, del punto di maturazione analizzando i vinaccioli, della preparazione di vini medicinali, dell’importanza dell’igiene in cantina. Questa importante letteratura latina sull’enologia, per alcuni aspetti valida tuttora, fu studiata e considerata approfonditamente da Andrea Bacci che nel 1596 scrisse un monumentale trattato composto da sette libri, “De Naturali Vinorum Historia”. Pertanto, dopo Columella, bisogna aspettare fino alla fine del 1500, più di cinquecento anni, per avere un altro vero trattato sulla vite.
E’ interessante notare che ai tempi dei romani, ma anche dei greci, per mantenere il vino si aggiungeva pece o sale. L’importanza della vite e del vino presso i romani ha influenzato anche l’arte: dalla pittura, ai mosaici, alla scultura- L’espansione geografica della viticoltura fatta dai romani va di pari passo con le conquiste dell’impero romano di nuove province. Pertanto, è chiaro che con i romani si ha la più grande diffusione della viticoltura del mondo. Alla sua massima espansione territoriale, l’Impero romano comprende tutti Paesi del bacino mediterraneo, l’Europa centrale e la Britannia. Un territorio immenso dove, nelle zone più adatte si sviluppa la vite. Tale politica non sempre ha giocato a favore dell’Italia. Per esempio, la conquista dell’Iberia, (completata nel 133 a.C.) aveva aperto la concorrenza dei vini iberici a quelli italiani. In seguito, la campagna di Giulio Cesare (fra il 58 e il 52 a.C.) portò un ampio radicamento della viticoltura in Gallia. Essa risulta la più importante politica di diffusione della vite da parte dell’impero romano. La diffusione della viticoltura in Gallia si sviluppò in due direzioni. Una direzione fu la strada occidentale che usciva da Narbonne in direzione di Tolosa per terminare a Bordeaux sulla Garonna. L’altra direzione, quella settentrionale, seguiva il corso del Rodano fino a Vienne e a Lione e poi la Saone prima di indirizzarsi verso la Mosella e il Reno. Questi territori, nel tempo, diventarono sempre più autosufficienti, quindi le correnti di impotr-export per l’Italia peggiorarono Per questo, alla fine del I secolo l’imperatore Domiziano, come riferisce Svetonio, proclamò un editto teso a ridurre la diffusione della viticoltura nelle province romane per ridurre la concorrenza. Tale editto, però, non portò ai risultati sperati. Alla fine del III secolo, il periodo della massima espansione territoriale romana, la viticoltura fioriva, oltre che in Iberia e nella Gallia, nella zona danubiana, in Pannonia (l’attuale Ungheria), in Dacia (più estesa dell’attuale Romania) e, alcuni autori sostengono anche in Britannia. Il commercio del vino, per una questione di costi, veniva trasportato via acqua, in anfore. Per questo, la vite, per rendere più semplice il trasporto, veniva coltivata vicino ai fiumi o al mare.
Al tempo dei romani la vigna, così come la produzione del vino, venivano lavorate soprattutto da schiavi. Roma, Ostia e Pompei, avevano molte osterie, (le così dette “tabernae”), per soddisfare la domanda di vino da parte di tutti i ceti della popolazione. Per il mercato di massa c’era un vino di scarsa qualità (vinello). I vini di alta qualità venivano conservati per molti anni ed erano acquistati dai ceti più ricchi. Il vino era regolarmente tassato dalle città e dallo Stato. La dogana a Roma era distribuita in ognuna delle 37 porte delle mura aureliane risalenti al II secolo d.C. Il crollo dell’Impero romano d’Occidente (nel 476) ha trasformato tutto il contesto economico e sociale. Quando le invasioni barbariche distrussero l’Impero romano iniziarono secoli bui per la viticoltura la quale è sopravissuta solo per il significato simbolico che il vino aveva nella religione cristiana - che fu dichiarata la religione ufficiale dell’impero con Costantino al principio del IV secolo - soprattutto per opera dei monaci.
L’Europa dopo l’Epoca Romana
La perdita del potere di Roma, e quindi con lo spostamento del centro politico da Roma al nord della Francia, l’agricoltura europea aveva subito delle forti modificazioni che, tra il resto, hanno inciso sul commercio tra i diversi Paesi Per fortuna, i monaci sono sempre stati favorevoli alla cultura della vite. Infatti, l’espansione dei monasteri, in tutta Europa, dal VIII secolo in poi, portò la diffusione della vite e contribuì anche allo sviluppo delle tecniche per migliorare le coltivazioni dei vigneti e, quindi, del vino. L’avvento dell’Islam nel VII secolo e le grandi conquiste arabe territoriali hanno inciso negativamente sulla produzione di vino. Infatti, la religione musulmana vieta bere vino. Gli arabi avevano conquistato un territorio enorme che arrivava oltre l’attuale Spagna, dove la vite era molto diffusa. Gli arabi, alla fine, furono fermati da Carlo Martello a Poitiers (nel 732). Anche la peste, che scoppiò a metà del XIV sec., ebbe un ruolo determinante sull’agricoltura. Tutta Europa cadde in una gravissima crisi per la diminuzione della popolazione e quindi dei consumi. In seguito alla diminuzione demografica si sono piantati vigneti più produttivi in modo da ammortizzare i costi della mano d’opera che per via della peste era scarsa e, quindi, aveva ottenuto salari più alti. Per esempio, il Gamay fruttava circa quattro volte di più del Pinot Noir. Ciò fece diminuire la qualità del vino in Francia. In Europa, tra il 1840 e il 1860, la vite subì un forte attacco da un fungo: l’Oidio. La malattia, in seguito, fu curata utilizzando le proprietà positive dello zolfo contro questo fungo. Poco dopo, la vite vinifera fu attaccata da un’altra malattia la Filossera, che fece morire gran parte dei vigneti di tutta Europa. Dopo molti studi si trovò un rimedio: innestare la vite vinifera su porta innesti di vite americana. In questo modo si risolse questa terribile malattia, ma ci vollero anni per ricostruire il patrimonio viticolo europeo.
Dal XVI secolo la vite si diffonde fuori dall’Europa
La diffusione mondiale della vite ebbe un forte sviluppo dal XVI secolo in poi in continenti diversi dall’Europa. Con la scoperta dell’America, da parte di Cristoforo Colombo nel 1492, la vite vinifera sbarca nel Nuovo Mondo. Essa fu piantata in Messico fra il 1519 e il 1521, in seguito alle conquiste di Cortés. Dopo il Messico gli spagnoli diffusero la viticoltura: in Perù, conquistato da Pizzarro nel 1531-4; in Colombia, conquistata da Questa nel 1535-8; in Bolivia, conquistata da Al Magro nel 1540-7; nel Cile, conquistato da Valdiva nel 1540-5. In Argentina, invece, la vite fu introdotta da un gesuita. In Florida, la vite fu introdotta dagli ugonotti francesi fra il 1562 e il 1564, i quali nel 1566 furono massacrati dagli spagnoli guidati da Menendez. In seguito, la Florida rincominciò a produrre vino quando ivi si stabilirono le missioni cattoliche. La rapida diffusione della vite in America Latina, documenta l’importanza che gli spagnoli attribuivano al vino. Le terre venivano lavorate da schiavi indigeni. La politica di diffusione della vite da parte degli spagnoli nel Nuovo Mondo fece diminuire drasticamente le esportazioni di vino dalla Spagna verso l’America Latina. Infatti, nel XVII secolo la Spagna importava vino a basso prezzo dal Nuovo Mondo.
In Sud Africa, nella colonia del Capo, fu l’Olanda (quindi, un paese non produttore di vino) a fare i primi investimenti viticoli. Essi si dimostrarono subito fortunati Tale investimento, che avvenne nel 1655, fu motivato esclusivamente per ragioni economiche. Tra i vitigni impiantati c’era il Moscato di Alessandria e un Chenin Blanc provenienti dalla Francia. Anche in Sud Africa gran parte dei lavoratori agricoli erano schiavi.
La successiva diffusione della viticoltura dalla fine del 1700 in poi è dovuta al peso crescente che ha avuto il capitalismo, determinato, inizialmente, da popoli navigatori e grandi commercianti. I nuovi vigneti venivano piantati da stati finanziariamente e politicamente forti i quali, tra il resto, per questioni climatiche, non erano produttori di vino ma forti importatori. La decisione di far sorgere una colonia penale da parte dell’Inghilterra in Australia implicava la necessità di produrre beni agricoli per renderla indipendente. Inoltre, eventuali surplus, sarebbero stati esportati verso la casa madre, l’Inghilterra. Nel 1788 si fondò la prima colonia penale in Australia e si piantò il primo vigneto. Da quella data, i terreni vitati incominciarono a crescere. Comunque, solo a partire dal 1830 la viticoltura australiana si affermò definitivamente. In Nuova Zelanda, invece, fu una missione cattolica che nel 1838 piantò delle viti. Iniziò cosi lo sviluppo progressivo dei vigneti grazie anche al contributo di molti immigrati europei esperi in viticoltura. L’inizio della coltivazione della vite in California fu fatto dalle missioni francescane alla fine del XVIII sec. Già a metà del 1800 la produzione californiana aveva raggiunto una certa dimensione.
Il pensiero di Sergio Sgarbi
La diffusione territoriale della vigna, fin dal suo inizio, è stata determinata da diversi elementi culturali, tra i più importanti: quelli religiosi, quelli economici e quelli politici. Ai suoi albori , circa 5.000 anni fa, il vino era prerogativa della casta religiosa e di quella politica (Mesopotamia, Egitto). In seguito, 3.500 anni fa, il vino diventò sempre più un consumo popolare (Grecia antica e Italia latina). Fu, però, solo nel XX secolo, in seguito al miglioramento dei trasporti, che il vino si è reso sempre più disponibile alla classe meno abbiente facendolo diventare un simbolo di benessere per tutta la popolazione. La classe più ricca si differenzia bevendo i vini più costosi. Il ruolo del vino, come qualsiasi merce è influenzato dalla domanda e dall’offerta. Nel vino ci sono però alcuni elementi in più rispetto alle altre produzioni. Da una parte la nuova produzione si ottiene dopo quattro anni dall’investimento in viti; dall’altra l’andamento climatico influisce direttamente sulla quantità prodotta e sulla qualità del vino. Pertanto, la produzione vinicola subisce nel tempo forti variazioni.
L’espansione della vite, prima in America Latina, poi in America del nord, Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda, e, ultimamente, il forte incremento di terreni vitati in Cina, ha inciso in modo determinante sul commercio internazionale, soprattutto a scapito delle regioni più vitate d’Europa. Tuttavia, ciò ha determinato un aumento del consumo di vino per l’estendersi della platea territoriale dei consumatori e nello stesso tempo un aumento dei vini di pregio. Attualmente, gli investimenti in vigneti sono realizzati soprattutto da grandi imprese multinazionali che hanno una forte integrazione tra produzione, commercio e marketing. Quest’ultimo, capace di influenzare il consumo di vino in un senso o nell’altro.
Il vino è stato sottoposto a continui controlli politici fin dalla sua nascita. Imposte, tasse e contributi hanno pesato sempre sul vino e sul suo commercio dal tempo della Grecia antica, a quella dell’Impero romano, all’Inghilterra nel tempo medioevale e via via fino a quello odierno della Ue che ha abolito le tariffe intra-comunitarie ma i singoli Stati hanno introdotto, esclusivamente secondo convenienze nazionali, le accise, che, a mio parere, sono vere e proprie tariffe. Ultimamente, si è posto in molta in evidenza l’impatto nocivo dell’alcole sulla salute, determinando in molti Paesi leggi contro l’uso di bevande alcoliche. Bisogna condannare gli eccessi legislativi e invece diffondere una cultura del bere moderato perché esso porta molti benefici soprattutto al sistema cardio-vascolare e neurologico.
Il lungo viaggio della vite nel mondo inizia 10.000 anni fa. Parliamo di viaggio e non di meta perché il viaggio continua e la meta non è ancora ben definita. Un viaggio che continua e che ora si scopre che la vite, nata nelle alte montagne del Caucaso vuol tornare in montagna. In Europa, gli esempi sono i vigneti di alta quota della Svizzera, della Valle d’Aosta, ed ora di Cortina, i più alti d’Europa, denominati “Cortina 1350”. Il lungo viaggio della vite è come quello di Ulisse che nelle sue avventure passò momenti veramente drammatici ma, alla fine, ritorna alla sua Itaca. Se questa similitudine tra vite e Ulisse è calzante, vuol dire che la vite nel suo viaggio, che parte dall’Ararat, sentirà, sempre più, il richiamo della montagna che, in fondo, l’ha generata.
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