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Cina: rischioso boom dei 360 chateau ... Nz: industria vinicola discute su uso Ogm ... Cina: elites e limitata conoscenza del vino ... Corea Sud: import vino +23,5%, ma prezzi in calo ... Australia: nuova fase secondo Treasury
di Andrea Gabbrielli

- Cina, il rischioso boom dei 360 chateau
In Cina ci sono già più di 160 “chateau” e altri 200 sono in costruzione. Si tratta di costruzioni che mutuano non solo il nome ma anche lo stile e l’architettura delle case vinicole bordolesi e, in generale, francesi. I lavori stanno procedendo un po’ dappertutto, a ritmi forzati, per il timore di arrivare in ritardo sul mercato e perdere il momento favorevole. La Yantai Changyu Pioneer Wine è stata una delle ultime ad inaugurare nella regione autonoma del Xinjiang Uygur. Lo Chateau Changyu Baron Balboa a Shihezi è costato $ 103 milioni e comprende una cantina 6.000 metri quadrati, gli impianti, un museo e 37 ettari di vigneto. Le previsioni sono di produrre 1.000 tonnellate di vino ogni anno. Zhou Hongjiang, direttore generale della società ha spiegato che “il vino da chateau è il presupposto fondamentale per vini di qualità ed è per questo che Changyu ne sta costruendo sei in differenti aree viticole della Cina”. Wang Yancai, capo della China Alcoholic Drinks Industry Association, è del parere che gli chateau stanno giocando un ruolo importante nel miglioramento strutturale del settore vinicolo cinese e Chateau Changyu Baron Balboa ha la capacità di competere con i migliori europei. Non passerà molto tempo e il castello e lo Xinjiang guadagneranno l’attenzione del mondo del vino”. La zona è destinata a diventare un’importante area turistica che offrirà servizi, cultura del vino e convegnistica di alto livello. Il Xinjiang Chateau è il quarto della società e annovera come presidente onorario il Conte John Salvi, noto Master of Wine, il quale ha dichiarato che i vini sono già competitivi con quelli del Nuovo Mondo, dell’Australia e degli Stati Uniti.
Nei prossimi mesi è prevista l’apertura di Chateau Changyu Moser XV nel Ningxia e Chateau Changyu Reina nella provincia dello Shaanxi. Chateau Changyu-Castel invece risale al 2002 e fu costruito insieme al Gruppo Castel di Bordeaux. Sempre nello stesso periodo nella provincia di Liaoning è nato uno chateau dedicato all’ice wine in collaborazione con la canadese Aurora Icewine Co Ltd. Chateau Changyu Moser XV invece è nato per un accordo con la famiglia di produttori di vino austriaci Lenz Moser. Altri 500 milioni di yuan sono stati spesi per lo Chateau Changyu Afip Global a Miyun nei pressi di Beijing. Sempre Changyu nel 2016 prevede di costruire una “città del vino” nella sua base di Yantai dove investirà 6 miliardi di yuan. Secondo lo Yantai Vine and Wine Office entro il 2015 nella zona ci saranno ben 150 chateau. A parte Changyu, stanno pesantemente investendo gruppi come China Great Wall Wine, Dynasty Fine Wines e il produttore di alcolici Kweichow Moutai. Ad aprile scorso la Domaines Barons de Rothschild, ha collaborato con Citic Capital Holdings Ltd, la più grande società di investimento di proprietà dello Stato cinese, per costruire uno chateau a Penglai, la città sulla punta più orientale dello Shandong, una delle aree produttive più importanti della Cina.
Il vigneto attorno al castello si estende per 50 ettari e il primo raccolto sarà nel 2016. Il 90% dei vini sarà per il mercato domestico. Secondo il National Bureau of Statistics, però, il volume delle vendite e l’utile netto dei produttori cinesi è diminuito nel primo semestre di quest’anno. Allo stesso tempo, i dati della dogana cinese dimostrano che le importazioni di vino nel primo semestre sono aumentate del 20,9% a 140,6 milioni di litri e anche il valore dei vini importati è cresciuto dell’8,2 % pari a € 535.300.000 (713.340.000 $). Il calo della domanda del vino nazionale è un brutto segnale per chi sta investendo negli chateau. E così, in luglio, a Yanqing, nel distretto di Beijing, si sono fermati i lavori su 40 dei 44 castelli che erano stati progettati in occasione dell’11th International Conference on Grapevine Breeding and Genetics del 2014.
Fonte: Wine Industry Insight

- Nuova Zelanda, l’industria vinicola discute sull’uso degli Ogm
L’impiego o meno degli organismi geneticamente modificati è stato uno degli argomenti discussi durante la 19th Romeo Bragato Conference, l’incontro nazionale dell’industria vinicola neozelandese di Blenheim. La questione è stata sollevata Ian Proudfoot, uno dei massimi esperti del settore agroalimentare. L’obiettivo era raccogliere e dare informazioni in modo di “prendere delle decisioni consapevoli”. A questo proposito un gruppo di cinque esperti, composto da Mike Trought, un ricercatore del Plant and Food Research, da Richard Bowling, un viticoltore di Marlborough, John Belsham, fondatore di Foxes Island, dall’esperto di viticoltura biologica Bart Arnst e dal winemaker di Hawke’s Bay Mal McLennan, è stato sottoposto ad una sessione di domande e risposte sull’argomento. Arnst che ha anche lavorato per Seresin Estate, un’azienda biodinamica, era contrario all’idea di lavorare con gli Ogm.
“Mi piace pensare che abbiamo ancora molto da imparare senza dover imboccare questa strada: dobbiamo mettere insieme le esperienze di tutto il paese e prenderci cura di noi stessi in un modo migliore”. McLennan ha detto ai viticoltori di essere più attenti ai vigneti “per cogliere meglio i cambiamenti naturali delle viti. Deve essere fatta ricerca sulle piante più sane identificando il perché sono più resistenti”.
Mike Trought ha osservato che se l’industria vinicola non ha iniziato la sperimentazione in campo, rischia di rimanere indietro rispetto ad altri paesi produttori di vino”.
Negli Stati Uniti la maggior parte dei prodotti di soia e di mais sono stati geneticamente modificati e in tutto il mondo i diabetici utilizzano insulina anch’essa geneticamente modificata. Se non investiamo in ricerca, non possiamo comprendere i processi fisiologici e genetici e nemmeno se possiamo usare piante geneticamente modificate oppure lievito Ogm”, ha poi concluso Trought.
Fonte: The Marlborough Express

- Cina, le elites e la limitata conoscenza del vino
Secondo un sondaggio, recentemente effettuato dalla rivista “Fortune Character Magazine”, in Cina, quasi un terzo dei cittadini più ricchi non sa assolutamente nulla di vino e ha ammesso di acquistare i marchi top per farne dei regali oppure come status symbol. La fonte di queste notizie è il “2013 China Wine Report” del magazine che ha intervistato 679 milionari cinesi per investigare su quali fossero le loro conoscenze sul vino e su come operassero le loro scelte di consumo. Il 27% degli intervistati ha detto di non sapere nulla di vino mentre poco più della metà del campione ha dichiarato di avere solo una conoscenza di base e solo il 9% si è identificato come appassionato o intenditore.
La ricerca ha, inoltre, evidenziato che il 37% utilizza il vino soprattutto come un modo per impressionare i clienti o gli ospiti. Elevata anche la percentuale di chi si è detto più interessato al vino come investimento che non ad una bevanda da bere. Inoltre il 28% ritiene che il brand sia un fattore primario sia per acquistare che per collezionare un vino mentre il 24% indica anche l’annata come secondo motivo. Nella scelta, il 17% dichiara di essere influenzato dai pareri di amici e parenti e per le informazioni sul vino si affida più al passa parola che non ai mass media. Tra gli intervistati da Fortune Character ci sono anche gli acquirenti di vigneti in varie parti del mondo. Il 61% ha lamentato che la maggiore difficoltà dell’investimento è stato trovare un manager professionale per la gestione, mentre il 33% ha ritenuto difficoltoso ottenere le informazioni iniziali utili per decidere nel migliore dei modi l’investimento da fare. In sintesi i super ricchi cinesi amano gli orologi di lusso, collezionare arte e vino rosso, fare le vacanze in Francia, guidare Maserati, regalare Château Lafite e bere Cognac Louis XIII di Rémy Martin.
Fonte: The Drink Business

- Corea del sud, import vino + 23,5% ma prezzi in calo
Korea Customs Service, il servizio doganale della Corea del sud, ha comunicato che le importazioni di vino nel Paese nei primi 8 mesi 2013, hanno superato i 22 milioni di litri, con un incremento del 23,5% sullo stesso periodo del 2012. Il prezzo medio del vino importato è sceso del 3,6% a 4,256 won (US$3.92) per bottiglia da 4,415 won. A crescere sono state le importazioni di spumante (+ 32,4%) ma anche in questo caso il prezzo è in calo del 9,8%. Le importazioni di vini rossi e bianchi sono aumentati rispettivamente del 25,7 % e del 16,6 %, mentre i prezzi sono diminuiti del 4,3 % e dell’1,7 %.

- Australia, una nuova fase per il vino secondo Treasury
L’Australia, secondo Stuart McNab, capo della divisione Global Wine Production del colosso Treasury Wine Estates, è in ottima posizione per sfruttare l’aumento della domanda mondiale di vino grazie ai costi di produzioni più bassi rispetto agli altri produttori, specialmente sudamericani. Dopo anni di eccesso di offerta, dalla metà degli anni Novanta la domanda di vino è cresciuta circa dell’1% all’anno.
“Il mondo è quasi in equilibrio tra domanda-offerta e questo - ha detto McNab - è un bene per il vino australiano, considerando anche la discesa del dollaro (australiano)”. Il Cile e gli altri paesi produttori del “nuovo mondo” spesso sono stati visti come una minaccia per i mercati di esportazione dell’Australia, come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, ma in realtà il prezzo dello sfuso australiano è stato competitivo quando comprendevano i costi del trasporto. Alla fin fine, il costo di un ettaro di vigneto che produce uve per i vini di fascia alta in Australia è di $ 60,000 - un quinto del costo del terreno equivalente negli Stati Uniti e meno del 10% dei vigneti di alta gamma nella regione francese di Bordeaux.
“L’Australia ha un reale vantaggio in quanto il costo dei terreni per i vigneti è molto competitivo, e noi abbiamo tanti terreni dove espanderci”, ha proseguito McNab. Anche la mancanza di acqua che spesso veniva citata come una minaccia per la viticoltura australiana, non era un problema così grave come molti hanno immaginato: i rendimenti di produzione del vino sono sei volte superiori per ogni litro di acqua rispetto all’impiego in agricoltura o nel pascolo. L’acqua scorre per la coltura più redditizi”.
McNab ha poi concluso ricordando che “il dollaro australiano ha iniziato a calare e si prevede che scenderà ancora di più ... rendendo l’Australia sempre più competitiva”. Secondo Treasury Wine Estates, uno dei più grandi gruppi vinicoli del mondo con 2 miliardi di dollari di fatturato all’anno, per il vino australiano da tempo in difficoltà, si aprirebbero nuove prospettive di mercato.
Fonte: www.theaustralian.com.au

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