Che il vino si conservasse meglio in una vera cantina che in un qualsiasi appartamento, già si sapeva, la novità è che dalla Fondazione Edmund Mach arriva anche la conferma scientifica, che spiega perché e quanto l’età chimica cambia nei diversi ambienti, facendo scoprire inaspettate reazioni e nuovi composti. Secondo la ricerca di Panagiotis Arapitsas, Daniele Perenzoni e Andrea Angeli, “L’influenza della conservazione sull’età chimica dei vini rossi”, co-finanziata dal Ministero dell’Agricoltura e pubblicata in questi giorni sul magazine “Metabolomics”, che ha preso in esame 400 bottiglie, nella tipica conservazione domestica l’età chimica del vino accelera di ben quattro volte: molte decine di composti cambiano concentrazione, partecipando a reazioni indotte dalla temperatura. In particolare la conservazione domestica induce la formazione di composti, mai osservati prima, che nascono dall’unione tra i tannini e l’anidride solforosa, e una classe di pigmenti del vino, denominata “pinotine”, che fa evolvere il colore del vino verso toni più aranciati. Aumentandone, appunto, l’età chimica.
La ricerca, che rientra nel progetto “Qualità alimentare e funzionale - Qualifu”, ha permesso di seguire per due anni l’evoluzione di 400 bottiglie di Sangiovese, vino tipicamente da invecchiamento, conservato in vetro scuro con tappo di sughero naturale: 200 bottiglie sono state collocate nella cantina aziendale della Fondazione Mach, ad una temperatura costante tra i 15 e i 17 gradi, e con umidità del 70%; le altre 200 sono state collocate in condizioni identiche a quelle di un appartamento, al buio, con una temperatura oscillante, secondo le stagioni, tra 20 e 27 gradi. I vini sono stati campionati ogni sei mesi, grazie agli strumenti dei laboratori di metabolomica, che consentono di misurare contemporaneamente l’evoluzione di circa un migliaio di composti presenti nel vino, e alla collaborazione delle cantine (sia sperimentale che aziendale) della Fondazione Mach.
“Sei mesi in appartamento fanno raggiungere al vino una età chimica che corrisponde ad un affinamento di due anni nelle condizioni ideali di cantina” spiega Fulvio Mattivi, coordinatore del Dipartimento qualità alimentare e nutrizione, e autore della pubblicazione. “Produttori, ristoratori, enoteche e distributori dovrebbero verificare se i loro locali siano idonei alla conservazione ottimale dei vini, specie nei mesi caldi, e in caso contrario valutare quale sia la conservazione massima da non superare, se queste condizioni ideali non possono essere assicurate. Bastano infatti pochi gradi in più per rendere un locale non idoneo ad una conservazione prolungata”. La conservazione induce reazioni e crea nuove classi di composti. Durante la conservazione si verificano numerose reazioni chimiche la cui velocità è indotta dalla temperatura. Nel vino conservato in ambiente domestico la colorazione diventa più aranciata e l’anidride solforosa, conservante presente in tracce nei vini, si combina con il tannino formando una classe di composti, mai osservata prima, di derivati solfonati di catechine e procianidine, favorendo un precoce invecchiamento del vino. Un altro dato interessante emerso dalla ricerca è che, per quanto riguarda i composti di valenza salutistica, in due anni gli antociani (ossia i pigmenti rossi estratti dall’uva) sono diminuiti nell’ordine del 30% in cantina e dell’80% in ambiente domestico. La temperatura induce l’idrolisi dei flavonoli glicosidi, in particolare dei derivati della quercetina, e porta alla diminuzione di svariati composti, tra cui l’acido pantotenico (vitamina B5).
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