Si chiama “Winezero”, ed è il progetto pilota del Consorzio Vini Venezia, in collaborazione con il Consorzio Prosecco Doc, che ha misurato l’impronta carbonica della filiera vitivinicola, in modo da sapere come incide sull’ambiente l’intero processo di filiera, dalla coltivazione del vigneto alla bottiglia tappata ed etichettata. L’obiettivo è verificare se si può parlare davvero di viticoltura conservativa e sostenibile e, di conseguenza, come intervenire sui diversi segmenti per ottenere il più basso impatto nella produzione di vino al consumo. “Per tempo sono stato l’unico - racconta alla presentazione dei primi risultati a Vinitaly il responsabile scientifico del progetto, il Professor Andrea Pitacco dell’Università di Padova - che si è occupato del ciclo del carbonio della vite, e quanto quindi il vigneto può assorbire in un anno. Il mondo del vino ha apprezzato questa ricerca, ha capito che la viticoltura poteva giocare un ruolo virtuoso anche in questi bilanci generali dei gas serra e con lo studio Sata, che era interessato all’analisi dell’impronta carbonica, soprattutto per quanto riguarda le fasi di cantina, abbiamo coniugato queste due esperienze e testato il nostro approccio con due importanti consorzi veneti, il Consorzio Vini Venezia e il Consorzio del Prosecco Doc, usando tre aziende pilota (Bosco del Merlo-Paladin, Le Carline e PerlageWines, ndr) per la nostra sperimentazione. La novità sostanziale è che noi misuriamo continuamente, monitoriamo, l’anidride carbonica che è assorbita dal, vigneto come viene fatto sulle foreste, sulla vegetazione naturale, per vedere in concreto se il vigneto assorbe e quanto, e la cosa positiva da dire è che il vigneto, nella nostra esperienza che è iniziata già nel 2005, si è dimostrato un assorbitore di CO2”.
“Il vigneto - continua Pitacco - va interpretato, valorizzato anche da questi punti di vista, non c’è solo l’aspetto del carbonio, che è quello che a noi interessa maggiormente, ma c’è anche l’aspetto idrogeologico per quanto riguarda le zone collinari, e l’aspetto paesaggistico”. Ma quali sono le prime ricadute che vengono fuori da questa prima fase di esperienza? “La prima cosa importante - conclude il Professor Pitacco - è che anche al netto della vendemmia, restano comunque su un metro quadro di vigneto centinaia di grammi di carbonio l’anno. In ogni caso attraverso il nostro monitoraggio diamo non solo indicazione su questo, ma anche indicazione, per esempio, su quello dei consumismi idrici del vigneto. È logico che una conoscenza approfondita dei consumi idrici del vigneto, in questi momenti di cambiamento climatico, sono altrettanto importanti”.
“La cosa interessante - spiega, sempre a WineNews, Marco Tonni di Sata Studio Agronomico - è l’approccio territoriale. Noi finora abbiamo lavorato con tantissime aziende in tutta Italia, e anche con qualche realtà territoriale, e in questo caso la specificità è che il territorio sottostante ai due Consorzi ha deciso di intraprendere un percorso con 3 aziende pilota, ma che dovrebbe portare ad avere una maggiore consapevolezza da parte di tutte le aziende. E questo è fondamentale per ridurre l’impatto ambientale veramente sul territorio perché quando tante aziende capiscono l’importanza e il valore di determinati strategie è ovvio che pian piano tutto il territorio ne trae beneficio e l’impatto è molto superiore che non quando poche aziende leader riescono a portare avanti alcuni ragionamenti”.
A livello di benefici, come spiega ancora Tonni, “l’aspetto economico è a volte visto come un risultato, una conseguenza. Le aziende pensano spesso all’immagine, e quindi a presentare le loro attività per far capire al consumatore cosa stanno facendo di buono per l’ambiente. In questo caso essendo le emissioni di gas serra legate strettamente ai consumi energetici, diminuire le emissioni a seguito di una migliore conoscenza dei punti critici della filiera, significa risparmiare, quindi di conseguenza non c’è solo un impatto ambientale molto positivo, ma c’è anche un grandissimo risparmio economico conseguente a una migliore conoscenza della filiera che porta poi a fare progetti a breve, medio o lungo termine più o meno impegnativi”.
Focus - La produzione agricola biologica in Veneto
A fianco a questa nuova progettualità,cresce nel Veneto anche la produzione agricola biologica: i dati ufficiali più recenti parlano di 1.800 imprese totali che vi si dedicano, a fronte delle 1.163 del 2000 e alle 1.652 nel 2011. In questo scenario, peraltro, l’incidenza delle aziende vitivinicole nel totale delle imprese bio del Veneto è tre volte la media nazionale.
Nello specifico, su 17.000 ettari coltivati a biologico, 2.500 sono dedicati al vigneto, il 14,7% del totale, contro il 4,5% medio italiano. Sta, inoltre, crescendo il numero di quanti si occupano di lavorazione, confezionamento, distribuzione e vendita del vino biologico: complessivamente si stima che nella filiera vitivinicola il numero di operatori interessati sia di circa 400 unità, delle quali la metà sono imprese specializzate.
Sui 75.000 ettari totali coltivati a vite nella regione, il biologico incide per quasi il 3,5 per cento e anche in questo caso il dato è in forte crescita, sulla spinta della nuova regolamentazione comunitaria sul “vino biologico”, entrata in vigore nel 2012. Tra l’altro, diversi produttori, soprattutto nel Veneto Orientale e nel veronese, si sono per così dire “associati”, utilizzando, pur nella loro individualità, le aree confinanti per evitare eventuali negativi fenomeni di deriva dei mezzi tecnici o contaminazioni da produzioni vicine non biologiche.
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