Quando Firenze cominciò a diventare la capitale del mondo, fra il Duecento e il Trecento, non si prosperava solo sulle stoffe e sul lino, anzi, con l’aprirsi dei commerci alle grandi spietate concorrenze ci fu necessità già allora di diversificare, e la terra conquistò un ruolo di primo piano. Nel 1569 poi, secondo la relazione del commissario fiorentino Giovan Battista Tedaldi, il territorio produceva circa 215.000 barili vino l’anno, equivalenti a 85.000 ettolitri, dei quali il 30% veniva regolarmente esportato a Prato e Firenze. Una crescita esponenziale, dunque. Fu allora che, nei palazzi dei nobili fiorentini, si videro spuntare le “buchette” aperte sulle facciate.
Piccoli punti vendita per dare un “gottino” (dialettale per sorso di vino) nella via di casa. Quelle che sono rimaste invariate nel tempo, fedelissime cioè all’origine, sono capaci di spiegare l’origine di quei piccoli tabernacoli, quelle aperture spesso anche ben decorate che occhieggiano su tanti palazzi di Firenze. Per esempio, davanti al Palazzo Capponi, poco distante dal Ponte Vecchio, tra via de’ Bardi e la piazza Santa Maria in Soprarno: sopra lo sportellino, leggerete “cantina Capponi”. Iscrizione non originale, certo, ma eloquente. E ancor più eloquente, ancora in via de’ Bardi, la piccola lapide che ne circonda un’altra, di queste porticine, e recita: “Cantina - Sta aperta dalle 9 alle 5”.
Di più, molto di più raccontano due grandi lapidi che ornano le facciate di Palazzo Viviani in via delle Belle Donne e di Palazzo Bartolini Salimbeni in via del Giglio. Qui, sopra a quella che forse è la “porticina” più graziosa di tutta la città, c’è scritto chiaro “Vendita di vino”; accanto, su una lapide di marmo, gli orari di tutto l’anno, con le differenze tra estate e interno, di apertura dell’esercizio.
Qualcuna oggi è diventata una aristocratica cassetta della posta, con la sua graziosa finitura in pietra serena, e la fessura pronta a inghiottire i segreti di carta. Altre invece, se ne possono vedere un paio ben realizzate in via dei Geppi e in via Sant’Agostino, oggi ospitano i campanelli con le targhette e i nomi degli abitanti di quella dimora, che magari un tempo appartenne a un unico casato, e poi vicissitudini alterne hanno suggerito piuttosto di frazionare e vendere in tanti appartamenti.
In qualcun’altra ha vinto la pia devozione, e lo sportellino è ornato da pitture più o meno artisticamente pregiate, a raffigurare magari una tenera Natività. Per la maggior parte sono state accecate, murate, pur conservando il profilo sulla parete che le ospita, sia essa lisciata a intonaco o impreziosita dalle pietre a bugnato. Insomma, rimaste fedeli all’originale o no, sono antiche testimonianze del tempo che fu e dell’importanza del vino di quell’epoca.
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