I vitigni sono come gli uomini: hanno identità multiple, vengono da un Paese che li segna per sempre, hanno assunto ruoli diversi in funzione delle circostanze, segnato la vita e la lingua dei popoli. I loro spostamenti tracciano una stratificazione storica e hanno lasciato tracce in molti aspetti della vita materiale e culturale delle popolazioni antiche. E, nel loro viaggiare, rappresentano un ponte culturale tra l’Oriente e l’Occidente, di integrazione o scontro tra culture: lo stesso nome greco-latino “vinum” è transitato a cavallo tra Est e Ovest. A “Il vino e la vite come paradigma della diversità culturale tra Oriente e Occidente” il Muvit-Museo del Vino di Torgiano in Umbria ha dedicato un simposio di studiosi, ideato con il professor Attilio Scienza, tra i massimi esperti di viticoltura, per i suoi primi 40 anni, da quando fu fondato, nel 1974, dalla storica famiglia del vino Lungarotti (il 4 aprile, sotto i fuochi di San Giorgio, come l’ideatore Giorgio Lungarotti), progetto pionieristico di incontro tra vino, storia, arte e cultura, con un’importante collezione continuamente arricchita (un viaggio attraverso 5.000 anni di storia del vino con oltre 2.900 manufatti), e “un’attività senza sosta - ricorda Maria Grazia Marchetti Lungarotti, pianificatrice del Museo e direttore della Fondazione Lungarotti - per sostenere la viticoltura locale e nazionale come anello di congiunzione tra passato e futuro”. Da ultimo, con questo simposio promosso per dare “un contributo alle attuali ricerche sulla genealogia dei vini che chiamiamo con voci trasmesse a noi da troppe generazioni per avere dubbi sull’identità”.
“Quando mio padre Giorgio iniziò a condividere con la mamma l’idea di un Museo del Vino era una cosa assolutamente ante litteram - sottolinea a WineNews Chiara Lungarotti, alla guida dell’azienda di famiglia con la sorella Teresa Severini - lo fece con l’intento di valorizzare l’intero territorio e per sottolineare la vocazione vinicola di tutta l’Umbria. Ancora oggi da quell’intento iniziale, vogliamo far conoscere l’importanza del vino, della sua storia e della sua tradizione nel nostro territorio e non solo. Attraverso non con il solito museo etnografico, ma con un museo a tutto tondo, con importanti riconoscimenti a livello internazionale, secondo quella massima qualità che cerchiamo sempre di percepire. E per il 2015-2016, abbiamo nuovi progetti” (per ora in via di definizione, ndr).
Alla ricerca della genealogia dei vini, partiamo allora come premessa da 2.000 anni fa, come ha fatto il professor Attilio Scienza, docente di Viticoltura all’Università di Milano, “dall’incontro tra i popoli dell’Occidente e quelli dell’Oriente sulle rive del Reno e del Danubio, in una metaforica terra di nessuno, dove dalla contrapposizione o integrazione tra le due culture è nata una nuova viticoltura”. I vitigni antichi anche se non più coltivati quanto piuttosto presenti come reliquie in una collezione, possono dirci molto. “Lo sviluppo della genetica dei marcatori molecolari - sottolinea Scienza - offre uno strumento diagnostico insostituibile per ricostruire i pedigree delle varietà coltivate, utilizzando il Dna di quelle più antiche e delle viti selvatiche ancora presenti allo stato naturale. Accanto ai riscontri delle fonti letterarie, storiche, archeologiche ed antropologiche, con un approccio interdisciplinare, alle ricerche in situ, ed alle “nuove” fonti documentarie quali la sociologia, la demografia, l’antropologia, l’etologia in forte interazione con la biologia molecolare. L’analisi del Dna permette di risalire alla vera origine geografica dei vitigni ed al percorso che questi hanno fatto per giungere nei luoghi di coltivazione”.
“Se si guarda alla biodiversità secondo una prospettiva più ampia, non si può fare a meno di chiedersi se la grande varietà osservata in Italia per piante e animali abbia un corrispettivo anche nelle popolazioni umane - spiega Marco Capocasa, esperto di biologia e biotecnologie della Sapienza Università di Roma e dell’Istituto Italiano di Antropologia - recenti studi hanno messo in luce come il patrimonio genetico italiano conservi tracce delle complesse dinamiche di popolamento del nostro territorio. La diversità culturale e la diversità biologica andrebbero studiate insieme per comprendere come il passato ha modellato il presente della specie umana”.
Lo studio della vite può dirci molto anche della storia di un popolo, e, di conseguenza, delle diversità culturali tra Oriente ed Occidente dove quelle popolazioni la coltivavano. Lo stesso nome “vinum” è transitato a cavallo tra Oriente ed Occidente. “Analisi glottologiche hanno messo in luce diverse centinaia di idronimi (nomi propri di corsi d’acqua, dal Po al Tevere all’Arno) che rivelano l’esistenza di una stessa lingua indeuropea diffusa in Italia nell’età del bronzo - ha illustrato Augusto Ancillotti, professore del Dipartimento di Lettere dell’Università di Perugia - chiamata “paleoumbro” poiché la tradizione classica lega la più antica presenza culturale in Italia al nome degli Umbri. Tra i termini transitati in latino e in italiano attraverso il “paleoumbro” ci sono anche quelli legati alla produzione del vino: il prestito più importante è il nome stesso del vinum latino, che può aver un’origine solo micenea come emerge da considerazioni linguistiche - i micenei all’epoca avevano colonizzato le coste italiane, influenzando, appunto, anche la lingua indeuropea pre-storica locale - cui si aggiungono i nomi del tralcio della vite, del pampino e della botte, che in latino si spiegano solo come pertinenti ad una lingua con le caratteristiche fonologiche del nostro paleoumbro”.
Poi ci sono i vitgni, che hanno viaggiato tra l’Est e l’Ovest del mondo: per Antonio Calò, presidente Accademia Italiana della Vite e del Vino, “il Primitivo, introdotto in Puglia probabilmente verso la metà del 1700, è un vitigno che viene dall’Oriente dell’Impero Austro-Ungarico e, forse, dall’Ungheria, le cui origini sono rintracciabili in Croazia. Un vitigno che ha poi esteso la sua coltivazione fino al lontano Occidente californiano, come dimostra la sua similitudine con lo Zinfandel californiano, dove fu introdotto a fine ’800 dal Colonnello ungherese Agoston Haraszthy, appassionato che portò in California molte varietà europee”.
Focus - Il Muvit-Museo del Vino di Torgiano “il miglior museo del vino d’Italia” (“The New York Times”)
Quando fu fondato negli anni ’70 era una scommessa pionieristica, un luogo di cultura custode di “un percorso serio e completo di approfondimento e conoscenza di un mondo, quello della trasformazione dell’uva in vino, che ha sempre affascinato gli uomini e stimolato la loro immaginazione” come l’ha definito Kate Singleton, la giornalista del “The New York Times” che lo ha incoronato come “il miglior museo del vino d’Italia”. Un modello, dunque, e non solo una semplice case history di incontro tra vino, storia, arte e cultura, voluto, in un progetto lungimirante, da una storica famiglia di produttori “illuminati” come Lungarotti. Oggi, il Muvit-Museo del Vino di Torgiano in Umbria, compie i suoi primi 40 anni, da quando fu ideato e realizzato da Giorgio e Maria Grazia Lungarotti a sostegno della viticoltura umbra e nazionale, e da allora propone un vero e proprio viaggio nel tempo attraverso i 5.000 anni che hanno segnato la storia della civiltà del vino. Aperto al pubblico nel 1974 e situato nella pars agricola del monumentale palazzo Graziani-Baglioni, dimora estiva gentilizia del XVII secolo, il Museo offre al visitatore un articolato percorso conoscitivo, sviluppato lungo venti sale, con oltre 2.900 manufatti raccolti in sezioni tematiche collegate da un unico filo conduttore: il soggetto vitivinicolo e bacchico. Reperti archeologici (brocche cicladiche e vasi hittiti; ceramiche greche, etrusche e romane; vetri e bronzi), attrezzi e corredi tecnici per la viticoltura e la vinificazione, contenitori vinari in ceramica di età medievale, rinascimentale, barocca e contemporanea, incisioni e disegni dal XV al XX secolo, edizioni colte di testi su viticoltura ed enologia, manufatti di arte orafa, tessuti ed altre testimonianze di “arti minori” documentano l’importanza del vino nell’immaginario collettivo dei popoli che hanno abitato nel corso dei millenni il bacino del Mediterraneo e l’Europa continentale. Con le sue collezioni, organizzate secondo criteri museografici contemporanei e di grande rigore scientifico, il Museo del Vino contribuisce alla divulgazione di una cultura per il consumo consapevole del vino.
Info: www.lungarotti.it/fondazione/muvit
Focus - La Fondazione Lungarotti onlus
Risale al 1987 la costituzione della Fondazione Lungarotti, onlus nata allo scopo di favorire lo studio, la conoscenza e la promozione del patrimonio di saperi, arte, cultura proprio della millenaria civiltà del vino e dell’olio. Attiva in campo artistico con la produzione di mostre ed eventi culturali che le hanno valso prestigiosi riconoscimenti internazionali, la Fondazione Lungarotti si occupa, a Torgiano, della gestione del Museo del Vino e del Museo dell’Olivo e dell’Olio, della tutela delle opere in essi conservati e della valorizzazione dei mestieri d’arte che esprimono in Umbria una tradizione antica. L’attività editoriale che la contraddistingue conta cataloghi di mostre e pubblicazioni monografiche attentamente curate nella veste grafica e nei contenuti.
Info: www.lungarotti.it/fondazione
Focus - Un’occasione per visitare il Muvit? L’“estate di San Martino” alle Cantine Lungarotti, tra gusto e solidarietà (16 novembre)
Il 16 novembre le Cantine Lungarotti aprono le porte ad appassionati e curiosi per “Cantine Aperte a San Martino”, l’evento promosso in tutta Italia dal Movimento Turismo del Vino tema con il tema “Wine Sweet Wine”, per celebrare l’“estate di San Martino”, l’inizio della nuova annata del mondo dell’agricoltura. A Torgiano, terra del Rubesco (il grande rosso Lungarotti che in 50 anni ha fatto “arrossire” oltre 120 milioni di persone in tutto il mondo), enoturisti e wine lovers potranno scoprire il vino nuovo esaltato dai prodotti locali di stagione.
Prima si visita la cantina, per vedere da vicino le varie fasi di vinificazione e maturazione che trasformano le uve in vini di qualità, e che, per l’occasione, si trasforma in una galleria fotografica grazie alla collaborazione dell’Istituto italiano di Design di Perugia che espone, in un percorso tra botti, barrique e fermentini, una selezione di fotografie del progetto Istante Divino. Dopo il brindisi con il vino novello accompagnato da bruschette, olio nuovo e la nota dolce del pane con confettura di mele cotogne artigianale, ci si trasferisce al Museo del Vino di Torgiano, fino ad un brunch al L’U Wine Bar di Torgiano.
Per gli amanti del Sagrantino, invece, il rendez-vous è alla cantina Lungarotti di Turrita di Montefalco dove è possibile degustare l’altro grande rosso di questa terra, espressione della tradizione di uno dei borghi tra i più belli e attrattivi dell’Umbria. Il costo del calice (5 euro) sarà totalmente devoluto al Comitato per la vita “Daniele Chianelli”, l’associazione onlus di volontariato, con sede a Perugia, che raccoglie fondi per la ricerca e la cura delle leucemie, linfomi e tumori di adulti e bambini.
Info: www.lungarotti.it
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025