È un mix di esperienza e di funzioni cerebrali quello che, in modo predominante, costituisce il bagaglio di un degustatore professionale. Una casistica scientifica sulle risposte del cervello di chi assaggia il vino per mestiere e di chi lo fa come semplice appassionato, specialmente negli Stati Uniti attraverso risonanze magnetiche operate su entrambi i soggetti, dimostra che esistono precise attività cerebrali che presiedono alla definizione del rapporto tra sensazioni (olfattive, visive e gustative) e il modo di far interagire i risultati di queste percezioni. Se ne è parlato nel workshop “Le caratteristiche di un buon degustatore: come valutare gli esperti”, a “Wine2Wine”, il forum di Vinitaly-Veronafiere, organizzato in collaborazione con Federvini e Unione Italiana Vini a Verona.
“Non c’è dubbio che un degustatore professionista - spiega Ian D’Agata, direttore scientifico di Vinitaly Academy - abbia alcune “dotazioni” più o meno naturalmente sviluppate in termini di papille gustative e terminazioni nervose. Queste caratteristiche sono comune a tutti e quindi a fare la differenza è l’esperienza e le condizioni di assaggio”. Insomma, tutti siamo dotati di stesse capacità discriminative e cognitivo-degustative, che sono legate a precisi meccanismi fisico-biologici. La qualità della percezione gustative è poi influenzata da fattori, come “il genere, l’età, l’umidità (esterna ed interna), la dotazione ormonale la presenza di ormoni - prosegue D’Agata - che non possono essere certo lasciati in disparte”.
Nel merito della valutazione dei degustatori “esperti”, chiamati non di rado a segnare, in qualche modo, il successo o meno delle aziende che prendono in esame e i cui giudizi si trovano nelle guide o nelle riviste specializzate, l’elemento dell’esperienza resta quello decisivo. “L’esperienza, se si assaggia molto e regolarmente - spiega lo psichiatra Mark Palermo - provoca come una specie di “mutazione” cerebrale sviluppando zone della materia grigia che prima erano come assopite e “allenando”, per così dire, il cervello a questa esperienza che quindi migliora”. Il degustatore professionista pertanto si trova nella condizione di praticare una specie di “arte della persuasione”, su appassionati e consumatori e, in questo senso, conclude Palermo, “dovrebbe aver almeno una volta prodotto materialmente un vino per comprenderne totalmente la natura”.
Una evidente e non secondaria qualità ulteriore del degustatore professionista “è - spiega Bernard Burtschy, critico enologico de “Le Figaro” - l’attenzione, da esercitare come antidoto alle condizioni esterne, ma anche alla troppa confidenza che l’esperienza finisce a volte con portare”.
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