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Dallo spazio alle profondità marine, dagli scafi delle navi fino ai sottotetti, non c’è più limite alla fantasia quando si parla di invecchiamento del vino. Con gli innovatori che cercano di trovare nuove vie, e i tradizionalisti che storcono il naso

Tradizione e innovazione è l’antitesi che più spesso si trova quando si parla di vino, due realtà che molte volte convivono in una stessa cantina, ma ci sono anche i “puristi” dell’una o dell’altra categoria, su ogni fase della produzione, come l’invecchiamento, capace di polarizzare in maniera evidente lo scontro. Mentre i tradizionalisti non si spostano da legno o dalla bottiglia, ci sono alcuni produttori che sperimentano nuove tecniche.

Sembra che non ci sono limiti quando si tratta di esplorare le possibilità e gli effetti dei diversi metodi di invecchiamento, come racconta la “Top 10 Unusual Drinks Ageing Methods” del magazine Uk “The Drinks Business” (www.thedrinksbusiness.com). Come i produttori del Ardbeg che hanno mandato una “fiala” di whisky nello spazio a gravità zero per tre anni. Al ritorno, il distillatore ha confermato che aveva un profilo di sapore “drammaticamente differente” alla sua controparte sulla terra. Sempre dallo spazio arriva il tipo l’innovazione del cabernet sauvignon della Hutcheon’s Tremonte Vineyard in Cile, chiamato il “Meteorito”, perché fatto invecchiare nelle botti con dentro un meteorite proveniente dalla fascia degli asteroidi tra Marte e Giove, ritrovato nel deserto di Atacama nel nord del Cile circa 6.000 anni fa. Ma a volte si cerca anche solo di innovare i contenitori, come i “fermentatori” a forma di uovo, sia in cemento che in legno che “fanno risaltare al meglio le proprietà aromatiche dell’uva”. Ma l’innovazione spesso passa dalla riscoperta di vecchi materiali, come il riutilizzo delle anfore in argilla, metodo sempre più riutilizzato anche nelle zone vinicole storiche dell’Europa come Italia e Francia.

Tra i metodi di invecchiamento insoliti ed elaborati, come quello usato da “Linie” (che significa equatore), un’azienda norvegese che produce un liquore tipico scandinavo, l’Aquavit. Il liquido viene fatto invecchiare sulle navi, che partono dalla Norvegia e che arrivano fino all’Australia, per poi tornare in cantina, dove viene fatto l’imbottigliamento. “L’Aquavit deve passare 2 volte sotto l’equatore prima di finire in bottiglia - dicono dall’azienda - il movimento costante, elevata umidità e la temperatura oscillante tirano fuori il sapore dal liquido, accelerando la maturazione”. C’è poi chi non vuole rinunciare all’invecchiamento in botte e in bottiglia ed ha sperimentato la bottiglia di legno, inventala dall’imprenditore canadese Joel Paglione. Poi c’è il “bastone” Whisky Element, brevettato dalla Time & Oak che, messo nella bottiglia, promette di riprodurre i sapori ottenuti dall’invecchiamento del whisky per tre anni in una botte di rovere in un solo giorno. Trasformando così il whisky “entry-level in un alcolico top-shelf in appena 24 ore, grazie alla traspirazione accelerata tramite azione capillare”.

C’è poi, come i produttori di Madeira, che fa usa un processo di maturazione a caldo. Il processo accelera l’invecchiamento caramellizando gli zuccheri nel vino. Il processo può essere sviluppato in 2 modi: uno, mettendo le botti nei sottotetti, in posti dove la temperatura arriva fino a 30 gradi (Canteiro), o facendo riscaldare tini di acciaio con il vino dentro con temperature di 45-50 gradi (Estufa). Ma la tecnica di invecchiamento che sta riscontrando più adesioni è quella della “cantina sommersa”, con il vino che rimane a diversi metri di profondità per alcuni mesi. Una tecnica che ormai alcune aziende usano da anni e che di recente ha appassionato anche qualche produttore di Champagne.

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