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La stessa uva, ma vini diversi perché prodotti in luoghi diversi, che diventano alleati nella promozione: riflessioni sul “Sagrantino”, da Montefalco al mondo, e su altre varietà italiane sempre più “internazionali”, di scena ad “Enologica”

Confrontarsi con il mondo in nome di un denominatore comune, il vitigno, ma con la consapevolezza della diversità del prodotto finale, con vini prodotti dalla stessa uva, ma in altre parti del mondo, che non diventano nemici, ma “alleati” nella crescita enologica e nella promozione mondiale di una varietà: ecco il senso dell’idea di “Enologica” n. 36 (www.enologicamontefalco.it), che, a Montefalco, terra d’elezione del Sagrantino, antico vitigno recuperato nel territorio umbro e studiato dalle Università italiane ed intorno al quale si è sviluppato un movimento di territorio, in gran parte azionato dal produttore Marco Caprai, che ha portato il vino umbro alla ribalta planetaria, ha riunito i produttori di California, Australia e nuova Zelanda.
Il messaggio è quello di condividere il percorso del Sagrantino con questi agricoltori ed imprenditori del mondo che hanno fatto una scelta di fiducia piantando un vitigno, scommettendo sulle caratteristiche di questo vino - spiega a WineNews Marco Caprai - e credo che sia giusto realizzare queste attività, in modo tale che anche in Australia o in California si promuova il Sagrantino, e non solo da parte nostra, come territorio di Montefalco. E da non sottovalutare è il valore della scelta, di questi produttori stranieri, di piantare questa varietà. Il valore della storia di questa piccola varietà locale che diventa, in qualche modo, internazionale è particolare. Noi italiani dobbiamo anche essere orgogliosi di queste cose. Alla Francia quante volte è già successo, con i vini fatti in tutto il mondo sul modello di Bordeaux, della Borgogna, del Rodano? Vini che hanno alimentato, in qualche modo, il mito dei vini francesi. Dobbiamo fare esperienza di queste storie ed utilizzarle nella maniera migliore. Un produttore californiano può promuovere come noi e meglio di noi, in California, il suo Sagrantino, e così il produttore australiano. Fare promozione in questi Paesi, ai nostri territori costa centinaia di migliaia di euro, se non milioni. Dobbiamo allearci, ed utilizzare queste alleanze perché in quei Paesi ci sia poi domanda di Sagrantino italiano, “originale”, al quale poi questi prodotti si sono ispirati”.
Anche perché in realtà, chi produce all’estero vini da Sagrantino, come da altre varietà autoctone italiane, non è un concorrente dei produttori italiani, semplicemente perché qui vini, per via di territori e climi diversi, saranno gioco forza diversi, come spiega l’australiana Kim Chalmers, alla guida della cantina Chalmers, e la cui famiglia è stata tra le prime promotrici delle varietà italiane nel Paese.
“Noi non possiamo produrre vini “italiani” - commenta a WineNews - e nemmeno vogliamo farlo. Quello che cerchiamo di fare sono vini australiani di qualità migliore, anche con vitigni italiani. Da noi fa molto caldo, lo Chardonnay che viene prodotto, per esempio, può essere basso in acidità, e quasi oleoso, e per questo ci concentriamo su varietà come Vermentino o Fiano, ma non produrremo mai il Vermentino come in Sardegna, o il Fiano come ad Avellino. Produrremo vini australiani di qualità da questi vitigni, che si adattano bene ai nostri suoli e climi. Che sono completamente diversi, però, da quelli delle zone di origine di questi vitigni. E questo non ci consente, anche se lo volessimo, di provare a fare delle imitazioni. Per tutti questi motivi, dunque, non siamo assolutamente nemici dei produttori italiani, ma amici”.
Anche se esperienze come queste testimoniano il fatto che, ormai, anche tante varietà importanti di vitigni autoctoni italiani stiano diventando, ormai, internazionali come successo a molte varietà francesi. “Ne sono convinta al 100%. La mia famiglia - aggiunge Kim Chalmers - non fa altro che cercare di diffondere questo messaggio ed incoraggiare gli australiani a coltivare queste varietà. Si è fatto spesso con le varietà francesi, magari anche solo per moda: la cosa importante per il futuro sarà quella di operare scelte intelligenti e sagge nella selezione delle varietà più adeguate, per migliorare qualità e diversità dell’offerta”.


Focus - La tavola rotonda “Il Montefalco Sagrantino Docg incontra i Sagrantini d’Oltreoceano”
Una riflessione, quella sulle varietà autoctone italiane che vale per Sangiovese, Nebbiolo, Barbera, Vermentino e così via, anche se, a Montefalco, ovviamente, il grande protagonista è stato il Sagrantino, nei calici e nella tavola rotonda “Il Montefalco Sagrantino Docg incontra i Sagrantini d’Oltreoceano”.
“Montefalco è uno dei luoghi più importanti per la cultura della Regione Umbria e per l’intero settore vinicolo - ha detto “Doctor Wine” Daniele Cernilli - e ciò dipende in primis dalla sua autoctonicità che non è solo ascrivibile al legame fisico con il territorio. Esiste, infatti, anche un’autoctonicità di tipo culturale culturale che unisce il Sagrantino a doppio filo con Montefalco e queste terre e queste vigne. Sono numerosi i vitigni che vantano antiche origini territoriali ma che in realtà non sono legati a quel determinato territorio e alla sua storia. Il Sagrantino era il vino della messa a Montefalco già nell’antichità, veniva coltivato negli orti ed era forse un vino dolce - molto diverso da come lo conosciamo adesso. Era una varietà urbana che poi si è diffuso nelle campagne limitrofe diventando il simbolo di questo territorio e trasformandosi nel carattere e nel gusto nel vino che oggi conosciamo. Ricordo che il primo Sagrantino che ho assaggiato, all’inizio della mia carriera - dice Cernilli - era ad opera del signor Alvaro, all’epoca cantiniere di Adanti, l’unico produttore che portava avanti la tradizione di questo vitigno (anni Ottanta). Non immagino che si potesse, in questa terra, produrre un vino di questo genere e levatura, ai tempi infatti il Sagrantino era un vino raro. Poi c’è stato Caprai. Quando ho avuto l’occasione di assaggiare per la prima volta il suo vino - un Sagrantino 25 anni del 1993 - ricordo che mi colpì in maniera incredibile tanto da spingermi a dargli 97 punti su 100 nella guida del Gambero Rosso, di cui in quei tempi ero responsabile. Quello, per me, fu il primo grande Sagrantino, un Sagrantino che tutti potevano comprendere anche al di fuori della zona di produzione. Da lì il Sagrantino è esploso fino a coinvolgere produttori d’Oltreoceano. Quando un vitigno raggiunge la grandezza, è naturalmente sperimentato altrove con risultati diversi ma questa apertura consacra i produttori “originali” al ruolo di “maestri” perché hanno fatto e continueranno a fare scuola nel mondo (come è avvenuto per i vini francesi). La produzione delocalizzata ha i suoi aspetti positivi - aggiunge “Doctor Wine” - aiuta a diffondere nel mondo la cultura del Sagrantino autoctono e aumenta curiosità e conoscenza di questo speciale vitigno. Il Sagrantino esplose negli anni ’90 e in quel periodo bere Sagrantino era diventato una moda. Il suo successo è riuscito però a perdurare nel tempo grazie all’operazione di branding territoriale avviata da Montefalco: accanto e intorno a questo vino sono successe tante altre cose, arte, cultura e vino si sono integrati per rendere Montefalco riconoscibile. Oggi il nome “Montefalco” veicola al contempo il territorio, la denominazione e la tipologia del vino. Il Sagrantino è un vino che va ascoltato e capito e come tutti i grandi rossi ha bisogna di tempo per esprimersi. La capacità di invecchiamento, l’evoluzione e la sfaccettatura che ottiene fa sì che il Sagrantino si nobiliti e un vino che sa invecchiare è un vino di alta qualità. Tutti i grandi vini del mondo sono vini che invecchiano molto ed evolvono le loro caratteristiche nel tempo. Quando voglio trasmettere questo concetto di evoluzione attraverso una metafora dico che inizialmente il Sagrantino è un bambino capriccioso che diventerà un adulto intelligente e creativo. Il Sagrantino può sembrare scontroso, in realtà ha un carattere determinato”.
Carattere che è stato approfondito anche a livello scientifico, come ha ricordato Michele Morgante dell’Istituto di Genomia Applicata: “il genoma di Sagrantino è stato sequenziato dall’Istituto di Genomica Applicata di Udine, nel progetto “Vigneto”, finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole. La mappatura genetica della vite è oggi alla base delle ricerche che riguardano l’analisi funzionale sistematica dei geni che stanno consentendo di accelerare notevolmente i programmi di miglioramento genetico della vite per l’ottenimento di varietà più forti e resistenti. Sulla base del confronto con altri 50 vitigni italiani e 70 vitigni internazionali, è emerso che il Sagrantino appartiene geneticamente alla popolazione dei principali vitigni oggi diffusi nell’Italia centrale, senza mostrare relazioni di primo grado (genitore-figlio) con alcuno dei vitigni esaminati. Il Sagrantino presenta alcuni tratti di unicità, limitati ad alcune regioni cromosomiche. Tra i 120 vitigni sequenziati, quello che presenta la migliore distanza genetica con il Sagrantino è il Trebbiano toscano. Partendo dallo studio dei genotipi oggi coltivati a Montefalco è possibile impostare nuove ricerche genetiche per indagare ulteriormente il patrimonio ancora inespresso della varietà nell’ottica di nuovi programmi di studio e miglioramento delle potenzialità produttive”.
Potenzialità produttive che, dome detto, si sperimentano “in vigna” un po’ in tutto il mondo. “Abbiamo iniziato la produzione di Sagrantino sulla scia della curiosità - ha detto Kim Chalmers, produttrice con la cantina Chalmers in Australia - e della voglia di introdurre nel mercato australiano un vino differente e di qualità. Abbiamo però scelto di avviare i nostri vigneti di Sagrantino in due aree diverse. La prima è bassa, sabbiosa, calcarea e restituisce un vino interessante ma diverso dal Sagrantino di Montefalco: con un colore meno intenso e un gusto più leggero. La seconda area sorge invece su un territorio roccioso con un’eredità millenaria di basalto, pietre e calcare e un particolarissimo suolo rosso: il Sagrantino proveniente da quest’area è più simile all’originale. Noi siamo consapevoli di non poter produrre il Sagrantino allo stesso modo e con le stesse caratteristiche altrove, sentiamo che i nostri vini siano più una nostra interpretazione del Sagrantino: non troppo vigoroso, di buona qualità e con un buon tannino. Ciò è entusiasmante per noi e per il nostro mercato. I nostri vini sono molto venduti e richiesti anche nei ristoranti d’alta gamma qui in Australia. Questo ci ha spinto a vendere oltre che il vino anche questa varietà di vitigno ad altri produttori che a loro volta hanno avviato la produzione di Sagrantino. Ad oggi in Australia si contano 50.000 vigne di Sagrantino e 15 aziende produttrici con buonissime previsioni di crescita. La caratteristica principale del nostro prodotto è che cambia per ciascun produttore a seconda delle caratteristiche della zona di coltivazione”.
“La nostra Regione, Philadelphia - ha detto l’americano Mike Madaio, giornalista e blogger e co-fondatore del blog Pennsylvania Vine Company - si sta sviluppando in termini di produzione vinicola nonostante il tempo sia imprevedibile. Stiamo col tempo sviluppando una conoscenza del vino e dei vitigni al fine di comprendere quali di essi possano meglio sopravvivere e restituire buone performance nel nostro territorio e con il nostro clima (come ad esempio il Barbera). La particolarità della produzione di vitigni autoctoni all’estero è che ciascun produttore produce nella stessa vigna varietà differenti perché è forte l’interesse per le diverse varietà italiane. Questa trasformazione del nostro approccio con il vino è stata, dunque, frutto dell’amore che nutriamo per l’Italia ma anche e soprattutto per il desiderio di ampliare la gamma del gusto. Se nel mondo si bevono solo 7 vitigni è necessario guardare altrove per assecondare un’evoluzione del “gusto” internazionale e per volontà anche di chi beve”.
“La mia esperienza nella ristorazione è cominciata nel 1997 a New York - ha raccontato Roberto Paris, wine director de “Il Buco Restaurant” - e da subito ho operato la mia prima acquisizione di Sagrantino. Venivo dall’Umbria, ed è stato naturale per me introdurre vini della mia terra, elemento che negli anni ha giocato a nostro favore trasformando “Il Buco” nella roccaforte del Sagrantino a New York. Il Sagrantino da noi va a ruba, ho sempre venduto le annate correnti con immediatezza, grazie all’interesse crescente dei consumatori ma soprattutto della della stampa. “Il Buco” e il Sagrantino sono un binomio inscindibile. Oggi chi viene da noi, viene per trovare il Sagrantino, e il Sagrantino ha risvegliato a New York l’interesse dei clienti per il buon vino”.
“La varietà di Montefalco è diventata internazionale - ha concluso Amilcare Pambuffetti, presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco - è ormai prodotta in tre continenti, e nell’anno di Expo è nostra intenzione raccontare la storia del nostro Sagrantino. Se ha raggiunto altri continenti, è per noi motivo di grande orgoglio. Noi del Consorzio dobbiamo guardare con sguardo attento al mondo, perché è dal mondo che riusciremo a trarre nuove informazioni e dati culturali fondamentali per accrescere la conoscenza. Nel contempo, è necessario fare una promozione territoriale attraverso un lavoro di squadra dei produttori”.

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