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“Bene le rassicurazioni del Commissario Hogan, ma ora venga ritirata la bozza di atto delegato sulla liberalizzazione dell’uso del nome dei vitigni”. Così Così Paolo De Castro, coordinatore S&D della Commissione Agricoltura del Parlamento Ue

“Dopo le rassicurazioni già date al Parlamento europeo e oggi confermate al ministro Martina, accogliamo con fiducia la disponibilità al confronto dimostrata dal commissario Hogan su un tema così delicato per il settore vitivinicolo italiano”. Così Paolo De Castro, coordinatore per il Gruppo dei Socialisti e Democratici della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, dopo l’’incontro di ieri tra il Ministro alle Politiche Agricole Maurizio Martina e il commissario all’Agricoltura Phil Hogan. “Confidiamo che Hogan, dando seguito alle rassicurazioni - ha concluso De Castro - dia le necessarie disposizioni affinché venga ritirata la bozza di atto delegato inerente la liberalizzazione dell’uso del nome dei vitigni”.
“Abbiamo confermato il nostro no a passi indietro sulla tutela delle denominazione dei vini, con interventi che potrebbero avere un impatto fortemente negativo sui nostri produttori. Su questo punto non siamo disposti a nessuna concessione, i diritti acquisiti non si toccano”, aveva dichiarato Martina, ieri a Bruxelles, per discutere della paventata “deregulation” Ue sui vini la cui denominazione è associata al nome del vitigno, e non alla indicazione geografica, aggiungendo che “il Commissario Hogan ha dato rassicurazioni sul fatto che non c’è alcuna intenzione di pervenire a modifiche che penalizzino l’attuale modello del sistema vitivinicolo italiano di qualità”.
Ma ora, giustamente, si chiede che alle parole seguano in fatti.

Focus - La questione sulla “liberalizzazione” dei vitigni spiegata da Paolo De Castro

“Cogliendo le sollecitazioni di varia natura offerte dal web sul tema dei vini identitari e della loro tutela, vorrei approfondire cosa sta succedendo alla Commissione europea e per quali ragioni l’Italia, dai produttori alle istituzioni, deve seguire con attenzione l’iter di un dossier che i servizi della Direzione generale Agricoltura e Sviluppo Rurale dell’esecutivo Ue vorrebbero far passare come una questione meramente tecnica di Diritto comunitario. Questione che, invece, è politica ed economica, visto che potrebbe riguardare direttamente il reddito dei nostri produttori”.
Così Paolo De Castro, sul suo sito www.paolodecastro.it.
“Innanzitutto è purtroppo necessario dire che non devono preoccuparsi solo i produttori del vino Lambrusco: gli stessi rischi, infatti, riguardano i produttori piemontesi della Barbera, del Brachetto, del Nebbiolo, della Vernaccia, del Vermentino sardo, del Verdicchio marchigiano, del Teroldego trentino, del Primitivo pugliese e del Fiano laziale. In buona sostanza, questa partita - spiega De Castro - coinvolge tutte quelle denominazioni di vini, registrate e quindi protette già a partire dagli anni Sessanta e Settanta, che vedono la Dop costituita dal nome del vitigno autoctono affiancato dal nome della regione geografica, grande o piccola che sia, in cui la produzione di quelle particolari uve è inscindibilmente connessa alla storia, alla tradizione e al saper fare di quei luoghi e di quelle persone. Ma evidenziamo alcuni passaggi fondamentali che possono permetterci di inquadrare questa disputa in maniera corretta. Grazie a una norma europea, oggi ancora in vigore, l’uso in etichetta di quei nomi è riservato esclusivamente ai vini che provengono dal Paese di riferimento; nel nostro caso, i nomi Lambrusco, Vermentino, Verdicchio - solo per citarne alcuni - sono riservati all’Italia. Questo significa che un altro produttore europeo può sì piantare viti di Lambrusco, ma non può etichettare il vino come tale. La ragione di una tale norma è da far risalire ai primi anni Sessanta, quando la neonata Comunità economica europea scelse di darsi regole comuni per la tutela e la valorizzazione dei vini di qualità. Il sistema che venne ideato si ispirò al modello francese fondato sul concetto di terroir, che come tutti sanno attribuisce, in via prioritaria, al nome della regione di produzione la funzione di identificare il vino o i vini ivi prodotti. Tuttavia, tali regole dovettero tenere conto anche delle situazioni in essere in Italia e in Germania, gli altri due Paesi fondatori dell’Europa unita che insieme alla Francia vantavano una tradizione vitivinicola degna di nota. È così che il regolamento n. 817 del 1970 affermava che “per vini di qualità prodotti in regioni determinate si intendono i vini conformi alle disposizioni del presente regolamento ed a quelle adottate in applicazione del medesimo e definiti dalle regolamentazioni nazionali”, che per l’Italia rimandava al Decreto del Presidente della Repubblica n. 930 del 12 luglio 1963, che all’art. 1 stabiliva: “per denominazioni di origine dei vini s’intendono i nomi geografici e le qualificazioni geografiche delle corrispondenti zone di produzione - accompagnati o non con nomi di vitigni o con altre indicazioni - usati per designare i vini che ne sono originari e le cui caratteristiche dipendono essenzialmente dai vitigni e dalle condizioni naturali di ambiente”.
Ed è proprio in base a queste regole, comunitarie prima di tutto, che tra la prima e la seconda metà degli anni Settanta sono state registrate a livello europeo la maggior parte di quelle denominazioni italiane più blasonate oggi finite al centro della disputa comunitaria. Un altro elemento da tenere in considerazione è che fino al 2008, anno dell’ultima grande riforma della disciplina vitivinicola europea alla cui negoziazione partecipai in qualità di Ministro all’Agricoltura, solo i cosiddetti vini di qualità potevano riportare in etichetta il nome della varietà, a significare che lo stesso era considerato un elemento di pregio nella presentazione e designazione dei vini. Nel pacchetto di riforma del 2008 bisogna tenere a mente questi elementi:
- si diede la possibilità di etichettare i comuni vini da tavola con il nome della varietà (divenuti poi noti come vini varietali);
- venne redatto un elenco di nomi di vitigni che, proprio perché compresi in una Dop, non potevano essere usati liberamente, per via della necessaria tutela delle corrispondenti Dop interessate;
quella riforma e quelle regole, tutt’ora in vigore, furono il risultato di un complesso negoziato politico tra la Commissione europea ed i ministri dell’Agricoltura degli allora 25 Stati membri.
Sulla base di quelle regole, specchio della storia e della tradizione vitivinicola italiana ed europea, i produttori hanno preso decisioni, impostato strategie, fatto investimenti, anche di promozione dei vini all’estero. In una parola, hanno lavorato alla valorizzazione di quei vini. Perché allora lanciare l’allarme sulle iniziative della Commissione europea? Lo scorso settembre la Commissione Ue ha fatto circolare un documento di lavoro in cui ha avanzato, nero su bianco, una proposta per rivedere le regole attualmente in vigore, che porterebbe ad una sostanziale liberalizzazione dell’uso dei nomi fino ad oggi riservati solo a taluni vini. Perché è stata presa questa iniziativa? Perché giustificare la proposta sotto il cappello della semplificazione? È forse una semplificazione per i produttori di Lambrusco, di Vermentino, di Verdicchio, di Barbera o di Primitivo - di nuovo solo per citarne alcuni - il fatto che da domani vedranno i propri prodotti in competizione con vini fatti in Danimarca, Svezia, Gran Bretagna (ebbene sì, anche questi Paesi ora sono divenuti produttori di vino) oppure Spagna e Portogallo che riportano in etichetta lo stesso nome di vitigno che dalla metà degli anni Settanta è parte integrante e qualificante di una Dop italiana e che lo faranno solo ed esclusivamente per sfruttare la notorietà che le etichette italiane si sono conquistate a fatica negli anni? È questa la semplificazione cui si vuole giungere? Più che di semplificazione, visti anche gli ingenti investimenti fatti negli anni dai nostri produttori, anche in termini di promozione sui mercati esteri, questa proposta della Commissione potrebbe dare il via libera ad azioni di concorrenza sleale, a danno delle nostre produzioni. Bisogna poi prestare attenzione al perchè queste regole, risultato di un complesso negoziato tra gli Stati membri, oggi vorrebbero essere cambiate con un colpo di penna della burocrazia comunitaria, evitando un serio e circostanziato dibattito politico. Lo ripeto: qui non c’è in gioco il Lambrusco, non c’è in gioco un semplice nome di varietà, non è una questione di tecnica del diritto, qui c’è in gioco la storia e la tradizione del nostro settore vitivinicolo e come tale va affrontata, con una discussione serena, nei luoghi appropriati, che certo non sono le scrivanie della burocrazia brussellese. Aggiungo un ultimo punto. Viene spesso fatto riferimento ad altri produttori europei che sarebbero intenzionati ad approfittare della notorietà che il nome Lambrusco ha acquisito, negli anni, presso i consumatori europei ed anche mondiali. È forse una coincidenza che in molti Paesi europei ormai non si contino più i tentativi di registrare marchi che comprendono il termine Lambrusco? A tale riguardo, basta citare la sentenza dell’Alta Corte di Madrid che, circa un anno fa, ha dato ragione al Consorzio di tutela del Lambrusco negando a produttori spagnoli la registrazione di un marchio che conteneva la denominazione Lambrusco. Il giudice spagnolo ha giustificato la propria decisione affermando che la denominazione Lambrusco ha di per sé un carattere distintivo perché evoca presso i consumatori gli omonimi vini emiliani e che per tale ragione non può essere parte di un marchio registrato da produttori diversi dai legittimi utilizzatori delle Dop che contengono il nome Lambrusco. A fronte di questo quadro e con la consapevolezza dei rischi che la proposta della Commissione europea potrebbe comportare, ritengo che questo nuovo anno debba vederci tutti impegnati a difesa di una regola che rispecchia e rispetta la nostra storia, la nostra tradizione vitivinicola e con essa la fatica e la dedizione con cui i nostri produttori hanno costruito nel tempo la fama, l’apprezzamento e la riconoscibilità dei vini italiani nel mondo. Solo lavorando insieme per tutelare e valorizzare le nostre migliori produzioni sui mercati internazionali possiamo sostenere uno dei settori leader della nostra economia, rendendo ad esso il giusto merito e il necessario sostegno per il raggiungimento di nuovi importanti successi”.

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