“Dall’Unione Europea solo il 2% dei fondi per il rilancio all’agricoltura. Servono risorse adeguate”

“L’emergenza sanitaria ha dimostrato con assoluta chiarezza che la sovranità alimentare è un’esigenza strategica. Di conseguenza, le risorse finanziarie da destinare nei prossimi anni all’agricoltura devono essere almeno consolidate sui livelli attuali”. Massimiliano Giansanti, presidente Confagricoltura, prende posizione in vista del Consiglio Europeo, in programma il 19 giugno, nel quale i Capi di Stato e di Governo dell’Unione discuteranno sulle proposte della Commissione relative al programma di rilancio economico “Next Generation Eu” e al quadro finanziario per il periodo 2021-2027.

“Per il bilancio agricolo - dice il presidente Giansanti - la Commissione in carica ha migliorato il progetto dell’esecutivo guidato da Juncker. Ne prendiamo atto, ma occorre fare di più perché in termini reali resta un taglio di 34 miliardi di euro nei confronti dell’attuale dotazione”.

Confagricoltura evidenzia che, sulla base del progetto in discussione, gli aiuti diretti della Pac subirebbero un taglio di poco inferiore al 10% in termini reali. Per lo sviluppo rurale, la riduzione sarebbe di sette punti percentuali. A lasciare perplessi è il fatto che al settore agricolo siano destinati solo 15 miliardi di euro su un totale di 750 che si prevede di mobilitare per il rilancio economico.

“Ribadiamo la nostra opposizione agli strumenti di penalizzazione delle imprese di maggiore dimensione, dalla degressività al plafonamento degli aiuti diretti - continua Giansanti - se l’Europa vuole centrare l’obiettivo di una maggiore sostenibilità dei processi produttivi, deve salvaguardare l’efficienza delle imprese in grado di investire e attuare le innovazioni tecnologiche richieste”. Per Confagricoltura va anche messa da parte la cosiddetta “convergenza esterna”, perché penalizzerebbe in misura particolare l’agricoltura italiana, che esprime il più alto valore aggiunto a livello europeo. Il divario tra gli importi degli aiuti diretti a livello nazionale è pienamente giustificato dalla diversità dei costi di produzione, a partire da quello del lavoro.