Viviamo un’epoca di grandi cambiamenti, sociali, economici e culturali. Un’epoca in cui la supposta onnipotenza dell’uomo è messa in crisi dai suoi stessi limiti, quelli che solo la natura può e sa imporgli, un’epoca influenzata da un virus che ci ha costretti in casa per settimane, spingendoci tutti ad una seria riflessione, un’epoca dalla quale nascerà un mondo diverso, forse non troppo da quello in cui vivevamo prima, ma che dovrà necessariamente rivedere le proprie priorità. Riportando al centro, senza altri indugi, il rispetto per l’ambiente, diventato ormai obiettivo improrogabile e sensibilità condivisa. Un percorso che riguarda da vicino il mondo del vino, toccato e sconvolto come pochi dall’epidemia di Covid-19, ma capace di scoprirsi come risposta alla crisi ed al momento di passaggio come nessun altro prodotto della terra. Perché in un mondo che cambia, che è chiamato a rallentare ed a rimettere in discussione modelli di consumo basati sull’omologazione, il vino, specie in Italia, ha dentro i suoi geni la risposta: nasce dall’interazione con la terra, è anti omologazione per definizione, è capace di raccontare la diversità e corre verso la sostenibilità in vigna ed in cantina, portando con sé una ricchezza culturale ed una valenza didattica uniche, capaci di rimettere al giusto posto l’uomo nel suo rapporto con il mondo, con i territori, con la bellezza stessa e con le proprie passioni, come ha raccontato, a WineNews, il professore Luigi Moio, ordinario di Enologia all’Università degli Studi di Napoli e vicepresidente dell’OIV, l’Organization International de la Vigne e du Vin , ma anche pensatore e ricercatore del vino, in una bella riflessione sull’oggi, incardinata sul vino ed il suo ruolo sociale.
“Nei primi due mesi di pandemia, tutti noi abbiamo avuto modo di riflettere e guardarci allo specchio, mettendo in pausa la vita frenetica che facevamo. Prima del Covid - ricorda Moio - trascorrevo il mio tempo all’Università e molto in aereo più che in vigna: ogni volta che partivo fotografavo i vigneti dell’azienda e me li riguardavo in volo. Invece, in questi mesi chiuso in azienda, da privilegiato, l’ho osservata ogni giorno, rendendomi conto di quante cose belle abbiamo fatto, e di quanto sia affascinante il mondo del vino, se fatto in un certo modo, ossia prediligendo un approccio puramente agricolo.
Tutti noi abbiamo rallentato, e forse apprezzato altre cose. Questo aspetto dovremmo continuare a viverlo, anche se la prima esigenza rimane quella di risolvere l’emergenza sanitaria. Poi, tutto si riprenderà, ma lentamente. Ho ascoltato e seguito alcune degustazioni in rete, ma sono convinto che bisogna guardarsi negli occhi per spiegare il vino, vedere le vigne, osservare le aziende, incontrare i produttori, parlare.
Nel mondo del vino, e non solo, ovviamente oggi il problema immediato - sottolinea Luigi Moio - è quello economico, evidentemente: se pensiamo alle aziende agricole che producono vino, il flusso economico in entrata si è bloccato o di molto rallentato, mentre quello in uscita, specie per chi fa viticultura, è proseguito, perché la vigna non si ferma, il ciclo biologico va avanti, le piante crescono e vanno curate, e l’annata va portata avanti. Non entro nel dettaglio, perché il comparto è davvero eterogeneo, e le esigenze diverse”.
Guardando al vino, l’aspetto preponderante, ed ormai improrogabile, riguarda il suo rapporto con la sostenibilità ambientale, sensibilità che riguarda la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. “Per quanto riguarda l’essenza del vino, per come lo vivo e lo insegno, ci sono degli aspetti che, secondo me, non bisogna più nascondere, ma portare alla luce. Ricordiamo sempre che la viticoltura ha 10.000 anni, ma l’enologia è relativamente giovane, per esempio basti pensare che solo negli anni Cinquanta si è definita in maniera precisa la fermentazione malolattica, e l’enologia stessa nasce appena centocinquanta anni fa, con l'avvento degli studi di biochimica e di microbiologia, quando prima Lavoisier dimostrò che lo zucchero poteva trasformarsi in alcol, anidride carbonica e calore attraverso la fermentazione alcolica, e successivamente con Pasteur, il quale dimostrò che il vino è vita in quanto sono i lieviti, organismi viventi, ad operare il prodigio della fermentazione. In quegli anni il problema era quello di individuare metodi di analisi, sviluppare metodologie di stabilizzazione microbiologica e fisico-chimica, conservarlo bene evitandone le alterazioni, gestire al meglio le fermentazioni: tutto questo è stato acquisito perfettamente da anni, le problematiche di oggi - sottolinea Moio - non sono più quelle analitiche e tecnologiche, ma quelle legate a questa crescita enorme della sensibilità ambientale da parte della società. E lo vediamo anche in questa riapertura, perché dalla fine del lockdown la gente predilige la natura alle città, vacanze “isolate”, il fitto di vacanze in barca ha subito un piccolo incremento, lo stesso quello delle ville isolate, semmai con piscina. Ognuno cerca di isolarsi, cercando un contatto forte con la natura.
Anche questo è stato il Coronavirus. Ma questa sensibilità negli anni è andata sempre più crescendo, ed oggi assistiamo ad una seria e forte presa di coscienza. E anche su questo, come emerso nelle nostre riunioni scientifiche all’OIV, il dibattito è vivace. E riguarda direttamente i temi sociali ed ambientali, ossia problematiche come l’agricoltura verde, e quindi pulita e pura nei confronti dell’ambiente, della pianta, degli addetti ai lavori, dei consumatori, che non sono più tematiche rinviabili. Prima erano spot, marketing, che hanno diviso i produttori in gruppi, convenzionali contro biologici contro naturali, ed ha avuto i suoi effetti positivi, perché ha fatto riflettere tutti, e adesso non possiamo che andare verso quella direzione, nessuno escluso”.
In un futuro in cui i viaggi di massa si ridurranno, ed il mondo potrebbe riscoprire distanze che sembravano ormai accorciate e relative, “il vino ha una grande chance - riprende il professore di Enologia -: salverà l’uomo, perché in un mondo sempre più globalizzato, in cui tutto tende ad omologarsi su modelli convenzionali (pensiamo agli aeroporti, tutti uguali; alla merce esposta nei duty-free sempre la stessa), il vino è vincente. È una metafora della diversità, è anti-standard per definizione ed è la sua forza più grande.
Ci sono tanti vitigni, tanti areali, tecnologie diverse, legami con il territorio, la restituzione del luogo di origine, e poi all’interno della stessa tipologia, visto che è un prodotto che cambia di continuo in funzione dell’annata, è sempre diverso, ed è una cosa meravigliosa rispetto all’omologazione verso cui andiamo incontro. In Italia dovremmo cogliere in modo ancora più forte l’opportunità offerta dai tanti vitigni di cui disponiamo. Anche sul vino, negli ultimi anni, si è andato verso una sorta di livellamento, dettato dalla diffusione nel mondo di quattro o cinque varietà: Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay e Sauvignon Blanc, su tutti. L’Italia ha la risposta: i nostri vitigni, perfettamente adattati ed integrati nei nostri territori, che nel vino possono manifestare tutta la loro diversità. Un Nebbiolo - ricorda Luigi Moio - è diverso da un Sangiovese, che è diverso da un Aglianico e da un Nerello Mascalese, e così via. La grande diversità del vino è meno evidente per gli altri prodotti dell’agroalimentare, ed è la forza e la causa del successo planetario di questa straordinaria bevanda”.
Tornando alla sensibilità ambientale della società, tema portante di una riflessione che guarda al futuro del vino ma non solo, “è un aspetto che va affrontato con conoscenze tecniche e scientifiche approfondite. Negli ultimi anni - riprende Moio - un altro elemento di discussione in seno all’OIV, che riguarda tutta la filiera, dall’uva alla bottiglia: il concetto di “eco winery”, quindi di sostenibilità dal vigneto alla cantina, a tutto ciò ho avviato un confronto ed una riflessione tra gli esperti delegati dei vari Paesi, sul concetto di una enologia che ho definito “leggera”, una sorta di mild-oenology che ovviamente può essere perseguita solo se coltivo la pianta giusta al posto giusto, e quindi se si creano le condizioni per avere un potenziale enologico in perfetta armonia con il contesto pedoclimatico. Questo è un aspetto interessante e proprio del vino, in quanto per farlo serve solo un grappolo d’uva. Nessun altro prodotto ha bisogno di così poco, forse quelli di derivazione lattiero casearia. Per fare la birra, o il pane, o ogni altro prodotto fermentato, c’è bisogno di altro, innanzitutto l’acqua. Nel vino tutti gli “ingredienti” sono nel grappolo d’uva, a cominciare dall’acqua che è di vegetazione, insieme agli altri componenti chimici e biochimici necessari affinché la fermentazione vada avanti correttamente fino alla fine.”
In questo senso, l’enologia ha un ruolo ancora più importante, tutt’altro che sfumato, che va nel senso dell’esaltazione delle diversità. “Il vino di qualità fatto con una “enologia leggera” può nascere solo da un mosto prodotto da un grappolo d’uva in cui tutti i componenti sono già in perfetto equilibrio, in un’armonia creata dal suolo, dalla pianta, dal clima, in sintesi bisogna ritornare a considerare con rigore e conoscenze l’interazione genotipo-ambiente in quanto se non è perfetta, l’uomo deve intervenire molto di più per compensare, per correggere, per ricomporre un equilibrio. Ecco perché dico spesso che oramai oggi i vini buoni si fanno dappertutto nel mondo, ma i grandi vini è possibile farli solo se si verifica una perfetta interazione tra la pianta e l’ambiente pedoclimatico, una condizione che è puramente agronomica. Ovviamente per realizzare tutto ciò è necessario possedere conoscenze tecniche e scientifiche ancora più solide ed approfondite, e saper sempre dubitare: chi ha troppe certezze sulle proprie convinzioni rischia di smarrirsi. Conoscere bene le questioni complesse ci permette di prevenire, di ragionare e di conseguenza di intervenire il meno possibile per procedere, invece, in una azione di assistenza dei processi”.
Un altro aspetto, sottolinea Luigi Moio, non rinviabile, è la conversione biologica, che è doverosa, ma non dappertutto si può portare avanti in modo corretto questo approccio agronomico. In questo senso, il Covid ci ha fatto riflettere sul delirio di onnipotenza dell’uomo, che deve convincersi che non può fare tutto dappertutto, e anche nel mondo del vino è così, almeno se si vuole parlare di grandi vini. “Sono argomenti da affrontare con umiltà e con l’aiuto della ricerca scientifica e della conoscenza. Non si possono più raccontare favole, è il momento di essere seri, responsabili e preparati, spiegare cos’è la viticoltura di qualità e come si fa, e cosa è il vino di qualità e come si fa. Altra questione importante (che affronto nel nuovo libro che sto ultimando, ndr) riguarda l’aspetto della degustazione: è vero che c’è una forte soggettività, tuttavia io ritengo che non sia vero che il vino, soprattutto se di elevata qualità, non abbia una consistenza oggettiva ma dipenda solo dalle inclinazioni o dai capricci dei singoli, ovvero dal gusto personale. In effetti, pur considerando quanto sia determinante il coinvolgimento personale nell’esperienza della degustazione del vino, io ritengo che sia possibile descriverne con maggiore precisione ed obiettività la sua bellezza. Bisogna per questo degustarlo con competenza e con passione e sicuramente con un atteggiamento di continuo dubbio, di continua verifica ed autocritica. In questo modo, probabilmente, è possibile cogliere le infinite differenze tra i vini, e godere della straordinaria diversità che ci offre questa meravigliosa bevanda, autentica e naturale”.
E poi c’è un altro aspetto che merita di essere approfondito da parte di tutti gli attori della filiera - produttori, consumatori e comunicatori - ossia che in quanto bevanda alcolica, ossia che il vino sia uno strumento di educazione alla moderazione formidabile rispetto alle altre bevande alcoliche. “Per scegliere una bottiglia di vino dobbiamo capire che tipo di vino vogliamo bere, con cosa l’abbiniamo, il vino ci porta virtualmente nei suoi luoghi di origine, ci trascina per cantine ed in enoteca, apre dibattiti e discussioni, porta con sé un cerimoniale ed una liturgia di altissima valenza culturale, e tutto ciò allontana virtualmente l’alcol dalla bevanda. Tutto questo è unico, ma richiede responsabilità da parte di tutti gli attori della filiera. Il vino - ricorda il professore di Enologia dell’Università di Napoli - è uno straordinario strumento pedagogico, e in futuro dovremo essere bravi a raccontarlo bene, senza banalizzarlo, perché alla fine è, in tutti i casi, spremuta d’uva fermentata, non è quello che può appassionare”.
Infine, un’altra riflessione va fatta sulle cantine ed il loro ruolo nei territori, non solo come catalizzatori dell’esperienza turistica, ma anche come centri di cultura. “Ricordo quando erano chiuse - dice Moio - ma ormai il Movimento Turismo del Vino, agli inizi con Cantine Aperte, e non solo, ha cambiato tutto in meglio, ed oggi, come sappiamo, sono permanentemente aperte, diventando centri culturali di accoglienza. Sogno che le cantine trasmettano conoscenza e formino, non limitandosi alla visita in cantina: le persone devono andarsene avendo imparato qualcosa sul vino e riflettere. Ci vuole in questo un lavoro di insieme, per strutturare una rete nazionale dell’accoglienza e dell’enoturismo, anche con l’aiuto dello Stato, come accade per i musei ed i luoghi d’arte: le cantine, per certi versi, sono dei luoghi in cui poter approfondire una conoscenza multidisciplinare. Il vino è bellezza, almeno se si parla di grandi vini, e attirare persone nelle aziende ha un valore economico importante per tutto il territorio, fa da attrattore, accade in Francia, e ancora di più in California, dove sono stati bravissimi negli anni Ottanta a far conoscere i propri vini di qualità ai consumatori attirandoli nei luoghi di origine. In Italia - ricorda Luigi Moio - abbiamo un vantaggio naturale, è il Paese più bello del mondo ma dobbiamo impegnarci a mettere a frutto le esclusive potenzialità che ci offre l’Italia, e non solo sul vino”.
In definitiva, conclude Moio nella sua analisi, “il vino per me non è solo ricerca scientifica e fredda analisi, di cui mi occupo da sempre, ma è soprattutto questo, perciò va inquadrato in modo adeguato. L’Italia è secondo me il vero Paese del vino, lo racconta la storicità e la ricchezza varietale offerta dai nostri vitigni e dai luoghi, che danno origine a vini di grande qualità. Tanto è stato fatto, ma adesso bisogna andare avanti più ordinatamente, con meno fretta e con maggiore responsabilità e precisione, per preservare e valorizzare sempre di più una rara ricchezza che ci è stata fortunatamente lasciata da chi ci ha preceduto”.
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