Non solo bilanci, a fine anno è anche tempo di previsioni, per mettere subito il 2022 sui binari giusti, almeno per quanto riguarda il mondo del vino e le sue dinamiche, destinate a non scostarsi troppo da questo 2021 che si avvia alla conclusione, come emerge dai 5 pronostici dell’agenzia Wine Intelligence. Per prima cosa, la cornice: il vino, come tutte le bevande alcoliche, ha dimostrato, in questi ultimi due anni, di essere una delle categorie di prodotto più resilienti, grazie alla sua capacità di innovare e orientare rapidamente le vendite da un canale all’altro. Le sfide che il vino si troverà ad affrontare, così, sono le stesse che si troveranno di fronte l’industria degli alcolici e un po’ tutte le filiere dei maggiori beni di consumo: mantenere bassi i costi per non perdere consumatori; migliorare la sostanza e l’immagine delle aziende per rispondere alle richieste dei Governi di un maggiore impegno sul fronte ambientale; rendere i propri prodotti significativi per le prossime generazioni di bevitori.
Alla luce di queste premesse, la prima delle cinque previsioni di Wine Intelligence per il 2022 è il prendere sul serio la sfida della riduzione del peso del packaging, a partire dalle bottiglie di vetro. Impresa tutt’altro che semplice, perché il legame tra i consumatori e la bottiglia di vetro da 75 cl è più saldo che mai, tanto che ancora oggi, come rivela proprio un sondaggio Wine Intelligence di qualche settimana fa, il 55% dei wine lover considera la bottiglia di vetro una forma sostenibile di confezionamento, contro il 35% del bag-in-box. È la conferma di quanto il vetro, rispetto alla plastica, venga considerato un materiale più sostenibile, ma anche più rispettoso della tradizione e della qualità del vino. Eppure, con un peso medio di 500 gr, la bottiglia di vetro rappresenta il 29% dell’impronta carbonica del vino, stando alle conclusioni di uno studio del 2011 firmato da PE International per il Wine Institute of California. Senza considerare che esistono bottiglie molto più pesanti, che sfiorano il chilo, il che vuol dire far crescere l’impatto sull’impronta carbonica al 50%, con una crescita delle emissioni di CO2 (legate evidentemente al trasporto) di un ulteriore 10%. Una bottiglia più leggera, allora, ridurrebbe di un grammo di CO2 per grammo di vetro in meno le emissioni, senza considerare il risparmio energetico legato al trasporto. Se poi si sceglie una bottiglia in vetro riciclato, rinunciando alla capsula in alluminio e optando per un tappo in sughero naturale (a tutto vantaggio delle foreste di querce da sughero, fondamentali per il sequestro della CO2), ecco che si può puntare ad un packaging ad emissioni zero o quasi.
Non è certamente una battaglia di oggi, ma il 2022 potrebbe essere l’anno della svolta: da tempo influencer e giornalisti come Jancis Robinson e Tim Atkin hanno sposato la battaglia contro le bottiglie pesanti, e adesso anche molti produttori, per centrare i propri obiettivi di sostenibilità ambientale, stanno facendo pressioni sulle vetrerie affinché si impegnino in questo senso. Ovviamente, gli spumanti sono esentati, avendo bisogno di bottiglie più resistenti per reggere la pressione dell’anidride carbonica. Più pragmaticamente, le tensioni dei prezzi sulla catena di approvvigionamento globale, in termini di aumento dei costi delle materie prime, aumento dei costi di carburante e trasporto e riluttanza dei rivenditori a trasferire queste maggiorazioni sui consumatori, costringeranno i produttori a cercare di risparmiare ovunque sia possibile, e tutto ciò che c’è di superfluo nel packaging sembra un punto di partenza ovvio.
Al secondo punto, la necessità, anche per i fine wine, di far risplendere le proprie credenziali in termini di sostenibilità. È ciò che chiedono, a qualunque prodotto di lusso, i consumatori, specie le nuove generazioni. “Il lusso dovrà dimostrare di essere sostenibile per attrarre i consumatori più giovani”, ha scritto di recente Lucia van der Post, guru dello stile ed editorialista del “Financial Times”. La sua tesi, sposata anche da Xavier Rolet, ex Ceo del London Stock Exchange, è che i brand del lusso dovranno allineare i propri valori e le proprie azioni a quelli della prossima generazione di consumatori. E quindi dovranno impegnarsi per agire in modo sostenibile, sia da un punto di vista umani che ambientale, ovviamente - e questo vale in maniera ancora più evidente per chi produce vino - senza abbassare l’asticella della qualità. Del resto, in tutto il mondo si tende a bere meno vino ma di maggiore qualità, un trend di cui stanno beneficiando soprattutto i fine wines. Quando però l’inflazione galoppante eroderà il potere d’acquisto dei consumatori, e si tornerà a viaggiare, è probabile che i consumatori diventeranno più attenti a come spendere i propri soldi, e allora qualità e retaggio storico e culturale potrebbero non essere sufficienti.
Al terzo punto, il trend della premiumizzazione, destinato a proseguire anche nel 2022. Uno dei lati positivi della pandemia, almeno per l’industria del vino, è stato il trasferimento del budget che i consumatori avrebbero speso per uscire e viaggiare, in cibi e bevande di qualità, di cui godere a casa. Dopo il balzo iniziale nel primo periodo di lockdown, le categorie di prezzo “premium” e “super premium del vino”, che nel mercato Usa significano bottiglie vendute rispettivamente a 10-20 dollari e a più di 20 dollari, sono rimbalzate di +2-4% in termini di volumi nei primi 6 mesi del 2021, secondo i dati Iwsr. Nella fascia più alta, invece, il Liv-ex Fine Wine 100, l’indice che misura i prezzi dei vini più ricercati sul mercato seconda, ha raggiunto il suo massimo di sempre, chiudendo a novembre 18 mesi consecutivi di crescita.
La tendenza a spendere un po’ di più per ciò che beviamo, in realtà, ci accompagna da ben prima della pandemia, ed è legata ad un’altra tendenza, quella più generale e salutista di bere meno: i dati di Wine Intelligence (che avevamo raccontato qui) mostrano che il 39% dei consumatori nei principali mercati di consumo in tutto il mondo sta moderando il proprio consumo di vino, percentuale che sale a oltre il 50% in Paesi come Paesi Bassi e Svizzera. I produttori, dal canto loro, puntano forte sulle offerte premium, perché i margini di profitto garantiscono ordini di grandezza decisamente superiori rispetto alla fascia entry level, specie in virtù delle tasse applicate sugli alcolici, parametrate su gradazione e volumi. Sono tre i fattori che alimenteranno questo trend nel 2022: la riluttanza di alcuni consumatori, in particolare della generazione Boomer, a tornare ai consumi fuori casa e a viaggiare, riservando invece una parte importante del budget all’intrattenimento casalingo; il peso crescente sulla maggior parte dei mercati del vino di un’altra generazione, quella dei Millennials, che guidano il movimento del bere meno ma meglio; la brutta crisi inflazionistica che si sta scatenando lungo tutta la filiera, che incrocia - se non bastasse - la pessima vendemmia 2021, che nell’emisfero nord ha visto un calo delle quantità del 18% (stime Oiv), a fronte di un aumento dei costi di energia, materie prime e trasporti.
Il quarto trend riguarda il vino in lattina, che potrebbe diventare vino a bassa gradazione alcolica ready-to-drink in lattina (ma anche in piccoli formati in vetro). Il vino in lattina, nel 2021, ha fatto passi da gigante, e molto se ne è scritto, sia dal punto di vista tecnico che commerciale, e nel 2022 la sua corsa è destinata a continuare. La grande innovazione, però, arriverà dall’industria di quelle che possiamo definire sotto categorie del vino, che incrocia le due macro tendenze degli anni Venti del Terzo Millennio: vino in un packaging portatile, monodose, con una formulazione a bassa gradazione alcolica che lo trasforma da vino a spumante a base di vino. La crescita continua dei ready-to-drink, almeno in Usa, è guidata da un’innovazione senza precedenti nella categoria e, secondo le previsioni Iwsr, continuerà a crescere sostanzialmente nel 2022. I produttori più scafati, da parte loro, stanno cercando modi per entrare, con questo genere di prodotti, che ad oggi sono decisamente più legati a whisky, rum e gin di fascia alta, nel segmento premium. Puntando, proprio come nelle declinazioni che riguardano gli spirits, su prodotti e brand di qualità, a partire dai produttori di sparkling, in particolare di Champagne, nella nicchia dei vini monodose e a bassa gradazione potrebbero trovare nuove opportunità.
Infine, la quinta previsione di Wine Intelligence riguarda la necessità, per l’industria del vino, di dare battaglia per accaparrarsi i migliori talenti. Del resto, il vino è generalmente un settore divertente in cui lavorare, ed a differenza di tante altre filiere produttive, può offrire una serie impareggiabile di sfide intellettuali. Quale altra industria, infatti, ha bisogno di leader che siano, di volta in volta, in parte agricoltori, in parte chimici, in parte esperti di produzione, in parte venditori e in parte guru del marketing? E che, negli ultimi anni, ha attratto persone di talento, istruite e appassionate, specie tra i Millennials, attratte dalla complessità e da ciò che, in termini culturali, rappresenta il vino, oltre, ovviamente, alla possibilità di lavorare a contatto con la natura e nei territori più belli del mondo. Se questa è la buona notizia, quella meno buona è che ci sono tanti altri campi lavorativi in cui questi talenti potrebbero essere impegnati, e allora la corsa ai talenti rischia di assumere una dimensione nuova, in cui però i giganti della tecnologia possono contare su tutt’altro genere di investimenti, anche se l’ambiente di lavoro difficilmente è paragonabile ad una cantina.
E che qualcosa, nel mondo del lavoro, stia cambiando, in meglio, è testimoniato anche da un altro settore, quello dell’ospitalità, dove, secondo Reed, la più grande agenzia di lavoro interinale della Gran Bretagna, le offerte di lavoro pubblicate a giugno 2021 offrivano, in media, stipendi superiori del 18% rispetto al 2020, con picchi del 43% per cuochi e personale di cucina nella ristorazione. Sebbene i salari siano ovviamente importanti per chi lavora, non sono l’unica cosa che conta. I sondaggi sui lavoratori più giovani (Millennials e Generazione Z) svelano che il posto di lavoro deve avere anche altri requisiti secondo i lavoratori: far parte di un’azienda eticamente sana, trasparenza e correttezza sul posto di lavoro, avere degli scopi, autonomia e opportunità di crescita, ed è in questi aspetti che il settore vino, come molti altri del resto, dovrà migliorare nel 2022.
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