L’inquinamento, il surriscaldamento globale, la distruzione dell’habitat, la deforestazione, il bracconaggio e il commercio illegale, sono solo alcune delle cause accelerate dall’uomo e dalla sua azione sull’ambiente, che rischiano di far scomparire dal Pianeta animali come l’orso polare o il rinoceronte di Giava, le tartarughe giganti o l’elefante di Sumatra, senza dimenticare il panda (storico “simbolo” del Wwf, ndr), nel mondo, o il lupo e l’orso bruno marsicano, lo stambecco alpino o la trota mediterranea, solo in Italia. Ma tra le specie più a rischio nel 2021, ci sono anche le anguille europee, in pericolo da decenni e inserite nella “Red List” dell’Iucn-Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, la più autorevole istituzione scientifica internazionale in materia. Perché le misure adottate fino ad ora a livello europeo come il fermo pesca non sono state sufficienti a tutelare efficacemente questo pesce il cui ciclo vitale e riproduttivo è molto complesso e la cui popolazione si è ridotta di oltre il 90% negli ultimi 30 anni, a causa dei forti interessi commerciali della pesca professionale e ricreativa, delle pratiche sleali e delle modifiche all’ambiente in cui vivono.
Regina della tavola di Capodanno (con il capitone, che è la femmina adulta, tra i piatti più tradizionali), pesce povero utilizzato come ingrediente nei piatti di grandi chef sempre più paladini della biodiversità - da Enrico Bartolini, lo chef più stellato d’Italia, al tristellato Mauro Uliassi, solo per far un esempio - e Presìdio Slow Food nel caso dell’Anguilla marinata tradizionale delle valli di Comacchio e, dunque, tutelata in Italia, dove però c’è anche l’annosa questione del divieto di pesca e commercializzazione della specie contaminate da Pcb e diossine del bacino del Garda, quella dell’anguilla rappresenta una case history che fa riflettere su quanto la scelta di quello che mangiamo sia fondamentale, quando si parla di “cibo etico e sostenibile”. Ma anche quanto nel gusto dominante e nell’attenzione pubblica, vi continuino ad essere, troppo spesso e senza motivo, alimenti di serie “A” e di serie “B”.
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