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LO STUDIO

La sostenibilità oltre il biologico, ed uno standard unico: il focus della filiera mondiale del vino

Il messaggio del “Business Report” dell’Università di Geisenheim per “Prowein 2022” (dal 15 al 17 maggio, Dusseldorf), con l’Italia protagonista

Nonostante la pandemia, o “grazie” ad essa e alle riflessioni sul tema della salute di persone e ambiente che ha amplificato, la sostenibilità, anche nel mondo del vino, è diventata sempre più importante, e centrale nelle strategie sia produttive che di mercato, che nelle analisi. Come quella del “Business Report”, firmato dall’Università di Geisenheim, presentato nel lancio della “Prowein 2022”, di Dusseldorf, la più grande fiera mondiale del vino, di scena dal 15 al 17 maggio 2022, con oltre 5.500 espositori da 60 Paesi del mondo, e l’Italia tra i principali Paesi per “dimensione” della presenza, con oltre 1600 realtà.
“L’importanza particolare della sostenibilità per il settore vinicolo, è dimostrata dall’altissima quota di partecipazione di 3.000 esperti internazionali”, ha detto dichiara la professoressa Simone Loose, direttrice dell’Istituto del Vino e delle Bevande - “Institut für Wein-und Getränkewirtschaft” dell’Università di Geisenheim. “Tutto il settore affronta la sfida di adattarsi ai cambiamenti climatici e divenire allo stesso tempo ecologico e sostenibile nonché, convincere i clienti di tutto questo. Questo sarà possibile solo se l’industria unirà le sue forze ed i produttori di vino, i rivenditori e la gastronomia potranno trasmettere in modo credibile la sostenibilità”.

Dalla ricerca, si conferma come la situazione economica del settore (al netto delle nuove tensioni create dal conflitto esploso tra Russia e Ucraina, ndr) sia migliore di quanto si pensasse ad inizio pandemia, con un commercio internazionale ripartito a ritmi importanti, e una visione positiva per il periodo post Covid, nonostante l’interruzione delle catene di approvvigionamento e l’aumento dei costi di produzione e distribuzione, che rappresentano le sfide maggiori. Ma, per 6 produttori su 10, anche il cambiamento climatico è una minaccia da forte a molto forte.
In ogni caso, come detto, le aspettative per il 2022 sono cautamente positive. I produttori di vino, spagnoli ed italiani, in particolare sono fiduciosi di un ulteriore aumento della domanda di vino dopo la pandemia. A causa delle elevate perdite di resa causate dalle gelate tardive, i produttori francesi sono un po’ meno ottimisti, mentre i produttori tedeschi in generale, sono più prudenti. Per tutti, come detto una delle grandi sfide, già impervia prima del conflitto che inevitabilmente farà ulteriormente aumentare i costi energetici e di trasporto, sarà fronteggiare questi aumenti e trasferirli al consumo.
“Poiché i budget dei consumatori sono già fortemente gravati dalla situazione inflazionistica vigente, il settore vinicolo è preoccupato di come reagiranno i consumatori di vino agli aumenti dei prezzi. Non è, quindi, chiaro fino a che punto l’attuale tendenza alla “premiumizzazione” del vino possa continuare nel prossimo futuro”, spiega il report. Inoltre, vanno considerate una ristorazione e un hotellerie in ripresa, ma che ancora fanno i conti con i danni economici dei lunghi mesi di chiusure e restrizioni, e con un flusso di clientela che, tra difficoltà economiche e timori da contagio non ancora del tutto superati.
Nel complesso, dunque, nonostante una situazione migliore del previsto, emerge un mercato del vino che ha perso redditività, questione che contrasta con gli investimenti necessari per dare vita ad una produzione sempre più sostenibile e a contrastare il cambiamento climatico. Una sfida che, ovviamente, è più complessa proprio per i produttori (e i vini) dalla redditività più bassa.
Ma sono tanti i temi visti come “sfide”, in modo diverso da Paese a Paese. In Francia e Germania, per esempio, la politica sanitaria europea che mira a ridurre il consumo di alcol viene percepita in modo particolarmente forte. I produttori dei paesi del Nuovo Mondo, Stati Uniti, Australia e Sud Africa, considerano come sfide, la guerra commerciale internazionale, la concorrenza di altre bevande (Hard Seltzer, Craft Beer) e la legalizzazione della cannabis. In ogni caso, i tema della sostenibilità resta al primo posto, e con una richiesta chiara: uno standar di certificazione forte, uniforme e credibile per tutti.
Ma il biologico, per esempio, non è uguale per tutti. “Con il vantaggio climatico delle estati secche e mediterranee, la viticoltura biologica è più diffusa in Spagna e in Italia, rispettivamente il 61% e il 52% dei leader del settore che hanno partecipato all’indagine, e solo pochi non possono immaginare una futura riconversione. A causa del clima umido e fresco, che favorisce le malattie fungine nelle viti, invece, solo il 21% dei partecipanti tedeschi al sondaggio tedesco è certificato ecologicamente, e la maggior parte dei viticoltori tedeschi e del Nuovo Mondo non può nemmeno immaginare un cambiamento in futuro”. E poi c’è la questione mercato dove, al contrario di quanto sostenuto da altri studi, emerge una scarsa disponibilità dei consumatori a pagare il prezzo di un vino biologico”.
La maggior parte dei rivenditori di vino (78%), albergatori (77%) e ristoratori (72%) ritiene che in futuro, la produzione di vino biologico continuerà ad aumentare. La fiducia è più alta tra i rappresentanti del commercio in Scandinavia, Belgio, Lussemburgo, cosi come in Francia e Italia. Alcuni di questi paesi hanno anche constatato la domanda attiva dei consumatori di vino biologico. I rivenditori di vino nei Paesi Bassi, in Germania e nell’Est Europa, segnalano invece una minore domanda dei consumatori e una mancanza di disponibilità a pagare di più per un vino biologico e sono quindi meno ottimisti sull’incremento di questo vino. Per la vendita al dettaglio, la riluttanza dei consumatori a pagare per il vino biologico ed i suoi costi di certificazione sono i motivi principali, per rinunciare alla certificazione. E alla fine, solo un terzo del commercio e della gastronomia prevede che l’Ue raggiungerà l’obiettivo del 25% di vigneti biologici. E sul fronte della sostenibilità economica della viticoltura biologica, emerge che solo il 30% dei viticoltori tedeschi, il 40% dei viticoltori in Francia e in Italia e il 58% dei viticoltori in Spagna sono del parere che la viticoltura biologica sia economicamente sostenibile a lungo termine. Una maggiore disponibilità a pagare il prezzo richiesto da parte dei consumatori, sarebbe un presupposto importante, per coprire i maggiori costi della produzione di vino biologico in regioni viticole non ideali dal punto di vista climatico.
Ma come detto, serve quanto meno uno standard. La stragrande maggioranza del settore chiede, infatti, un ulteriore sviluppo della regolamentazione della viticoltura biologica, per allinearlo al più ampio concetto di sostenibilità ambientale. Questa domanda è condivisa equamente da tutti i paesi vitivinicoli, con 8 produttori su 10, e 7 rappresentati del commercio su 10, che concordano sulla necessità di un ulteriore sviluppo in questo senso.
Nondimeno, sebbene dei pilastri della sostenibilità, economico, ambientale e sociale, il primo sia considerato ancora il più importante, perchè solo le aziende con i conti a posto e di successo sul mercato possono investire in sostenibilità ambientale e sociale, gli investimenti “sostenibili” non sono diminuiti. Ma la certificazione di sostenibilità, concetto più ampio del solo “biologico”, non è ancora così diffusa. Secondo il sondaggio, la metà dei viticoltori in Francia e nel Nuovo Mondo è certificata sostenibile, mentre in Spagna, Italia, Portogallo, Austria e Grecia il 40-50% de rispondenti sta pensando di raggiungerla. In generale, emerge come siano soprattutto le cooperative le aziende con certificazione di sostenibilità, mentre la “classe” numericamente meno rappresentata è quella delle piccole cantine.
In ogni caso, sono tanti ad aver messo in campo misure di sostenibilità ambientale. In totale, due terzi delle aziende vitivinicole intervistate hanno ridotto l’uso di erbicidi (Francia e Austria sono in testa con l’80% davanti alla Spagna con il 74%) e hanno adottato misure attive per accrescere la biodiversità (Stati Uniti 78%, Francia 72%, Germania 61%). Complessivamente, la metà delle aziende agricole ha ridotto l’uso di pesticidi (Nuova Zelanda 100%, Usa 90%, Francia 80%, Spagna 70%) e quasi un terzo ha ridotto l’uso di acqua (Sudafrica 90%, Nuova Zelanda 50%, Portogallo 40%). A causa degli elevati costi di investimento, l’uso della tecnologia digitale per ottimizzare il consumo di acqua, di fertilizzanti ed erbicidi è ancora poco diffuso. I Paesi del Nuovo Mondo (Australia 50%, USA 33% e Sudafrica 33%) guidano qui la classifica davanti ai paesi del Vecchio Mondo (Spagna e Italia 22%, Francia e Portogallo 17%, Germania 11%). Ma anche nel commercio si mettono in campo azioni sostenibili. Finora, spiega ancora il report, i commercianti di vino e i ristoratori hanno concentrato le loro attività soprattutto sul risparmio delle risorse. Tra questi figurano il risparmio di carta, grazie alla digitalizzazione da parte di un’impresa su due, la riduzione dei rifiuti (Norvegia e Portogallo 50%; Finlandia, Svezia e Spagna 45%), la riduzione dell’energia (Svezia 43%, Finlandia 35%, Germania 28%, Belgio 26%), l’ottimizzazione della catena di approvvigionamento per la riduzione delle emissioni di CO2 (Lussemburgo 45%, Norvegia 36%, Svezia 32%) ed il passaggio a un fornitore di energia neutrale in termini di CO2 (Svezia 25%, Italia e Belgio 24%, Austria 18%). In ogni caso, l’attenzione al tema è alta, tanto che gran parte del settore retail ha dichiarato di commercializzare principalmente vini certificati ecologicamente o sostenibili, come parte del proprio portafoglio, (in Svezia il 67% dei rivenditori, in Francia il 60%, in Finlandia il 57%, in Polonia e Lussemburgo il 55%, nel Regno Unito il 52%, in il Italia 47%). Mentre un produttore di vino su quattro afferma di utilizzare imballaggi alternativi per il vino, solo un rivenditore e ristoratore di vino su dieci li ha elencati per la commercializzazione. Ci sono grandi differenze regionali con una chiara leadership dei paesi monopolisti del nord (Svezia 57%, Finlandia 48%, Norvegia 43%, Canada 30%, Regno Unito 24%, Francia 20%, Germania 4%). Ma, più di tutto, il settore chiede un unico standard credibile. “L’industria concorda sul fatto che i consumatori non sono in grado di comprendere e differenziare la molteplicità delle certificazioni ecologiche e sostenibili. 8 esperti su 10 del settore, chiedono un unico e forte standard di sostenibilità da comunicare insieme ai consumatori”, spiega il report.
I requisiti più importanti per i certificatori di sostenibilità sono la credibilità, l’indipendenza e il controllo critico delle informazioni presentate durante la certificazione. In secondo luogo, seguono la consulenza e le proposte su come migliorare concretamente la sostenibilità dell’azienda. Secondo i partecipanti al sondaggio, i certificatori dovrebbero anche sostenere la ricerca su misure più sostenibili e creare una rete per lo scambio di idee sulle migliori pratiche tra le imprese. In ogni caso, la motivazione dei produttori e rivenditori per la certificazione sostenibile è guidata principalmente dalla loro convinzione e dall’interesse personale, per una sostenibilità come sistema “olistico”. La definizione imprecisa di sostenibilità e il rischio di “greenwashing” (occultazione dell’impatto ambientale), sono citati come i maggiori ostacoli alla certificazione, seguiti dalla riluttanza dei consumatori a pagare e dai costi di certificazione troppo elevati.
Ma la sintesi dello studio è che se la viticoltura biologica ha aperto la strada della sostenibilità nel settore del vino, il concetto di sostenibilità è sempre più ampio. E nel mercato del futuro prossimo una certificazione della sostenibilità, più ampia e comprensibile possibile, sarà sempre più importante per chi produce e per chi vende vino. Una delle tante tematiche che saranno al centro della “Prowein 2022” (Dusseldorf, dal 15 al 17 maggio), come noto spostata dalle date tradizionali di fine marzo, a quelle nuove di maggio. “Così siamo stati in grado di aumentare non solo la sicurezza della pianificazione per gli espositori ed i visitatori, ma abbiamo anche creato una prospettiva significativamente migliore per il grado di internazionalità previsto. Nel frattempo, l’attuale corso della Pandemia come anche la tabella di marcia fissata dalla politica, ci forniscono un’ottima base per lo svolgimento dell’evento a maggio, nelle condizioni più positive possibili”, ha detto Michael Degen, Executive Director Messe Düsseldorf.“L’Italia sarà presente con tutte le sue regioni (Padiglioni da 15 a 17) - spiega una nota della fiera tedesca - e tra queste spiccano le maggiori partecipazioni congiunte delle regioni Veneto, Piemonte e Toscana. Oltre alle aziende con il più alto fatturato in Italia come Zonin, Botter Vini e Fratelli Martini, sono rappresentati numerosi altri rilevanti produttori, tra cui, ad esempio, Castello di Ama dalla Toscana, Elena Walch dall’Alto Adige o Elio Altare dal Piemonte”, sottolinea ancora la nota della fiera tedesca.

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