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ANALISI

Eccellenze del vino, ristorazione, agriturismi, musei: gli attrattori del turismo enogastronomico

“Rapporto sul Turismo Enogastronomico” 2022: i numeri della ripresa, con la Toscana al top e i “voti” - eccellenti - dei turisti internazionali

Quando si parla di enoturismo e si analizza l’andamento del comparto in Italia, non si può prescindere dal prendere in considerazione un contesto più ampio, che abbracci l’intero panorama produttivo delle eccellenze agroalimentari italiane, e che comprenda altri attrattori turistici dal punto di vista enogastronomico: ristorazione, agriturismi, musei e strade del gusto e del vino, al centro del “Rapporto sul Turismo Enogastronomico” 2022, curato dalla professoressa Roberta Garibaldi, alla guida dell’Enit - Agenzia Nazionale del Turismo. Da cui emerge come il comparto, nel 2021, sia tornato a crescere, superando, non senza qualche difficoltà, la crisi del 2020. Merito, appunto, di un sistema capace di mettere a sistema le eccellenze agroalimentari (vino e olio su tutte), la ristorazione, l’accoglienza, che passa per gli agriturismi e per i bed&breakfast, i musei dedicati al vino, all’olio e ai formaggi, e le esperienze in cantina e non solo, dalle visite alle degustazioni, passando per i corsi di cucina, che spopolano tra i turisti di tutto il mondo, che riportano al centro, attraverso post e recensioni, il tema enogastronomico nei discorsi online, con voti eccellenti.

Il patrimonio agroalimentare e vitivinicolo italiano, infatti, si fa portavoce del made in Italy nel mondo, veicola quella ricchezza di culture e tradizioni che caratterizza il nostro Paese nell’immaginario collettivo, anche turistico. Una ricchezza testimoniata dalla sua capillarità, con tutte le regioni italiane che possono vantare almeno una produzione certificata. L’Emilia-Romagna ha il maggior numero di prodotti agroalimentari certificati - 47 tra DOP, IGP e STG - seguita dalla Sicilia e dal Veneto (a pari merito con 39), mentre il Piemonte è in cima alla classifica nazionale per numero di vini IG (59), prima della Toscana (con 58) e del Veneto (53). Un ulteriore elemento connotante la produzione agroalimentare italiana risiede nell’elevata propensione all’utilizzo di metodi di coltivazione biologici: il Belpaese si caratterizza, al 2020, per una superficie coltivata di oltre 2 milioni di ettari e per un numero di operatori fra produttori esclusivi (aziende agricole) e produttori/preparatori che supera le 71.000 unità, in costante crescita dal 2010. Di conseguenza, l’incidenza delle vendite di biologico sulla spesa per l’agroalimentare italiano si attesta al 4%, per valore di 3,3 miliardi di euro nel primo semestre del 2020.

Anche la ristorazione è annoverabile tra i capisaldi dell’offerta enogastronomica italiana: dà visibilità alle produzioni e alla specialità culinarie locali, offre prelibatezze gourmet, consente di scoprire piatti di altre Regioni e Paesi. Il biennio 2020-2021 è stato estremamente negativo per il settore, con la chiusura forzata durante i lockdown, le successive riaperture a capienza ridotta e il crollo dei consumi alimentari degli italiani fuori casa che hanno generato importanti perdite economiche. Il fatturato ha toccato i minimi storici nel periodo aprile/giugno 2020 e tra gennaio e marzo 2021, anche se la situazione sembra in miglioramento. Il numero di nuove imprese è stato decisamente inferiore alle cessazioni, con un saldo negativo che ha toccato -13.060 e -13.952 esercizi nel biennio 2020/21. L’eccellenza gastronomica italiana ha mantenuto comunque la propria vivacità ed inventiva, tanto che il numero di ristoranti menzionati nelle principali guide del settore è andato aumentando, passando dai 731 del 2018 ai 1.062 del 2022. Anche in questo caso, una delle caratteristiche distintive della ristorazione italiana è la sua capillarità, con picchi di eccellenza ovunque, dalle città ai piccoli borghi, ma è la Lombardia a vantare il maggior numero di imprese di ristorazione (50.301 a fine 2021, pari al 15% del totale nazionale), così come di ristoranti gourmet (198), seguita da Lazio e Campania, non a caso le tre Regioni più popolose del Paese.

La rete agrituristica italiana ha mostrato una certa solidità di fronte all’emergenza sanitaria: il numero di aziende autorizzate allo svolgimento di attività di ristorazione, alloggio, degustazione e altri servizi è cresciuto di 484 unità nell’ultimo biennio (+2%), attestandosi a 25.050 nel 2020. A contenere gli impatti negativi della pandemia ha certamente contribuito l’elevata diversificazione dell’offerta agrituristica. Le aziende con proposte di degustazione e di altre attività (sport ed escursioni in primis) sono cresciute a tassi superiori alla media: rispettivamente +8% e +10% rispetto al 2019. Si tratta di servizi che stanno ricevendo una sempre maggiore attenzione da parte del pubblico, poiché capaci di unire le dimensioni del benessere psico-fisico e del gusto aggiungendovi l’amenità dei luoghi rurali. È la Toscana ad avere la maggiore concentrazione di aziende agrituristiche: sono 5.406 al 2020, pari al 22% del totale nazionale. La regione primeggia per consistenza in ogni tipologia di servizio: dalla ristorazione all’alloggio, passando per le degustazioni e l’offerta di altre esperienze. A seguire il Trentino-Alto Adige, che vanta il primato per densità (27 agriturismi per 100 chilometri quadrati). Da evidenziare l’exploit della Campania, che pur non essendo tra le regioni con la più alta concentrazione dell’offerta, ha visto il numero di agriturismi crescere del +13,2% tra il 2019 e il 2020. Nonostante l’andamento positivo, i lockdown succedutisi nel corso del 2020 e le stringenti limitazioni alla vita dei cittadini hanno inciso pesantemente dal punto di vista economico, con un valore della produzione agrituristica che è sceso del 48,9% rispetto al 2019, attendatosi a 802 milioni di euro. I flussi turistici hanno visto una forte contrazione sia negli arrivi (-41%) che nelle presenze (-34%), e il calo è stato soprattutto nella domanda straniera, tanto che il rapporto tra italiani e stranieri, che nel 2019 era di 11 a 10, è sceso a 23 a 10 nel 2020.

Le due filiere che meglio rappresentano, da un punto di vista economico e culturale, il patrimonio agroalimentare italiano, sono vino ed olio, che la pandemia, in fin dei conti, non ha intaccato. Sono 81.741 le imprese agricole che coltivano uva a fine dicembre 2021, e di queste, la maggior parte si concentra in Veneto, Sicilia e Puglia - che accolgono rispettivamente il 16,4%, il 15,9% e il 13,5% del totale nazionale. Delle 51.857 aziende agricole attive con coltivazioni di frutti oleosi, oltre la metà è in Puglia (16.385, ossia il 31,5% del totale nazionale), Calabria (9.465, pari al 18,3%) e Toscana (5.913, pari all’11,4%), con la regione pugliese che vanta, inoltre, il maggior numero di frantoi (819, pari al 18% del totale nazionale).

Il settore del vino ha mostrato una certa resilienza all’emergenza pandemica. La chiusura temporanea dei canali dell’Horeca non ha ridotto la produzione complessiva - che, invece, è aumentata del 3,2% sul 2019 -, ma ha inciso negativamente sul fatturato complessivo, passato da 13,4 a 11,5 milioni di euro (-3,6%). La vendita online e l’home delivery hanno certamente contribuito a ridurre queste perdite, stimolando il settore ad una maggiore digitalizzazione. La situazione relativa alla produzione dell’olio è più di difficile lettura, poiché le dinamiche che hanno influito sull’andamento del comparto non sono solo legate alla situazione congiunturale. A fronte di un fatturato complessivo in lieve crescita (+3% nel biennio 2019/2020), si è assistito ad una contrazione della produzione complessiva di un quarto dovuto alla progressiva flessione della domanda interna e all’aumento dei costi di produzione. Dall’analisi del “Rapporto sul Turismo Enogastronomico” 2022 emerge con forza l’orientamento al biologico delle due produzioni: l’Italia ha visto aumentare costantemente le superfici biologiche a vite ed ulivo, cresciute rispettivamente del +109% tra il 2010 ed il 2019 (115.000 ettari totali) e del +95% tra il 2010 e il 2018 (245.000 ettari totali). La Toscana vanta il maggior numero di cantine bio - 592, pari al 28% del totale nazionale - mentre la Sicilia la più ampia superficie dedicata, oltre 30.000 ettari, ossia il 26% del totale. Per quanto riguarda l’olio, la Puglia vanta la più ampia superficie biologica olivata (oltre 72.000 ettari).

Oltre al valore produttivo, vino ed olio costituiscono due grandi attrattori per il turismo. Il primo vanta una più lunga tradizione, consta di un’offerta più strutturata ed ha un maggioro richiamo verso il pubblico, e rappresenta per il Paese un asset di grande rilevanza per i territori vocati alla produzione del vino. Nel 2019 l’enoturismo contava almeno 15 milioni di presenze tra turisti ed escursionisti, e generava un fatturato complessivo di 2,65 miliardi di euro (dati Città del Vino, 2021). La valorizzazione dell’olio nel turismo è, invece, più recente, e la legge approvata il 26 gennaio che definisce i requisiti e agli standard minimi di qualità per l’esercizio delle attività oleo-turistiche nelle aziende di produzione, in questo senso, rappresenta un importante ed ulteriore passo in avanti. Questo strumento normativo, infatti, fornisce alle Regioni la possibilità di stimolare lo sviluppo di un settore che presenta grandi potenzialità, soprattutto nel suo connubio con cibo e vino.

L’orientamento al biologico e, più in generale, alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica dimostrata dalle aziende del settore rappresenta un valore aggiunto in ottica turistica. I viaggiatori mostrano una crescente attenzione alla salubrità del cibo ed al consumo responsabile anche in vacanza, tanto da considerarli tra i possibili driver di scelta. Il Rapporto mostra chiaramente come i differenti aspetti e declinazioni della sostenibilità - dall’approccio green alle produzioni biologiche, passando per l’attenzione verso il sociale - possono essere da stimolo alla visita di aziende di produzione. Costruire esperienze che permettano al turista si sentirsi parte attiva, ossia vedere che in qualche modo la sua presenza genera direttamente benefici, è un’opzione da considerare in ottica futura.

Fra gli altri attrattori turistici dal punto di vista enogastronomico figurano i musei del gusto e le Strade del Vino e dei Sapori. Nel Belpaese sono presenti 129 musei del gusto al 2021, un patrimonio culturale consistente, diffuso su tutto il territorio, con quasi tutte le Regioni italiane (18 su 20) chea ccolgono almeno una struttura. Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto ne vantano il maggior numero: rispettivamente con 20, 18 e 13 musei. Il vino è il più diffuso e valorizzato (46 sono i musei a tema vino, pari al 36% del totale), ma numerose sono le produzioni a cui questi musei sono dedicati (formaggi, olio, frutta e verdura, prodotti trasformati). Le statistiche relative alle sole strutture pubbliche mostrano una diminuzione del 75,7% nel numero di visitatori tra il 2019 ed il 2020, con gli introiti che sono crollati del 79%. Questo quadro negativo potrebbe essere peggiore considerando che spesso i musei del gusto sono di piccole dimensioni e a carattere locale: la metà (48%), infatti, è di proprietà dei singoli Comuni. La ricchezza e la varietà del patrimonio museale legato all’enogastronomia esprime un’attenzione diffusa verso la tutela delle produzioni locali, sia da parte del pubblico che dei privati, e rappresenta certamente un valore aggiunto per il nostro Paese, ma potrebbe denotare anche una possibile scarsa attrattività per via delle dimensioni spesso modeste e dal gap digitale: solo 36 musei su 129 hanno un proprio sito web. Per quanto concerne le Strade del Vino e dei Sapori, nell’intero territorio nazionale ve ne sono 103, di cui la maggior parte aderenti alla Federazione Italiana delle Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori. Di queste, 93 hanno un sito web attivo (90%). Toscana e Veneto ne ospitano rispettivamente 20 e 16, il numero più alto; tuttavia, il tema rilevante è il coordinamento e, quindi, la capacità di organizzarsi e promuoversi in modo congiunto.

I dati statistici presentati forniscono un’idea di quali territori hanno l’offerta più consistente, ma non permettono di valutarne il posizionamento nel contesto nazionale. A tale scopo è utile costruire delle “mappe di competitività”, che mettono in relazione il numero di prodotti/imprese legate (direttamente o indirettamente) al turismo enogastronomico ed il livello competitivo del territorio in cui esse si trovano (misurato attraverso il Regional Competitiveness Index della Commissione Europea). La lettura trasversale (ossia non legata alla singola risorsa) di queste mappe evidenzia che nelle grandi regioni produttive dell’Italia centro-settentrionale - Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Lazio - all’elevata capacità di fare impresa, e, quindi, di valorizzare le risorse enogastronomiche del territorio, si associa un contesto territoriale fra i più competitivi. Il potenziale di crescita in termini di numero di imprese si suppone possa essere alto, è però fondamentale agire per mantenere alti i livelli di competitività (del settore e del contesto). Nelle grandi regioni dell’Italia meridionale - Puglia, Sicilia, Campania - la voglia di fare impresa, che si traduce in un alto numero di aziende nei settori legati (direttamente o indirettamente) al turismo enogastronomico, si associa ad un ambiente meno favorevole. Questo aspetto può avere una duplice lettura: indica una maggiore redditività di questi comparti rispetto ad altri (elemento che stimola l’imprenditorialità), oppure è solo espressione di un tessuto produttivo caratterizzato da un numero elevato di piccole e piccolissime imprese, che presentano un deficit di competitività.

Le regioni “minori” dell’Italia centro-meridionale - Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria e Sardegna - associano ad un basso livello di competitività un altrettanto basso numero di aziende nei settori considerati, seppure con alcune eccezioni. Si tratta della situazione più critica fra le quattro presentate: il potenziale è basso, e lo sviluppo dell’offerta in termini numerici può realizzarsi attraverso un mix di azioni settoriali (ad esempio, nell’ambito ristorativo, della produzione vitivinicola, olearia) e di più ampio respiro, ossia finalizzate a creare un ambiente economico e sociale più favorevole per le imprese ed i residenti. Nelle rimanenti regioni - Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Valle d’Aosta, Umbria e Marche - ad un contesto territoriale competitivo non corrisponde un altrettanto alta imprenditorialità nei singoli comparti.

In definitiva, il turismo enogastronomico si sta riprendendo dalla crisi pandemica. Le tracce digitali lasciate dagli utenti della Rete attraverso post e recensioni - analizzati da The Data Appeal Company - mostrano per il 2021 una crescita dell’1,2% sul 2020, anno in cui c’era stata una forte flessione (-51%), seppure più contenuta rispetto al comparto turistico nel suo complesso (-57%). Il tema enogastronomico è centrale nei discorsi online di italiani e stranieri. Nel complesso, un quinto delle tracce della ricettività e un quarto di quelle relative alla ristorazione sono riconducibili a questo tema. I più prolifici sono gli stranieri, che hanno ripreso a visitare nel 2021 il nostro Paese: britannici, americani, australiani e tedeschi parlano di enogastronomia in un terzo delle tracce digitali da loro lasciate. La soddisfazione espressa dagli utenti per la componente enogastronomia è mediamente elevata (84 punti su un totale di 100), e tende a crescere soprattutto tra americani e australiani (87,5/100 e 86,6/100).

Il comparto ricettivo e ristorativo si allinea alla media, ma con alcune eccezioni: nei Bed & Breakfast e negli agriturismi il livello di soddisfazione sale a 90,2/100 e 90,6/100, a conferma dell’attrattività di questa offerta, e una tendenza analoga si registra per pizzerie, ristoranti e gastropub, con punteggi pari a 87,2/100, 85,6/100 e 85,4/100. In vetta alle Regioni più apprezzate la Toscana, che si distingue per avere il 25% del totale delle tracce digitali riguarda l’enogastronomia e uno dei livelli di soddisfazione più elevati (86,1/100). Spicca nella classifica il Molise, che nel nostro Paese è la regione con la più alta percentuale di tracce digitali sul tema (33%), nonostante il giudizio degli utenti sia tra i più bassi. Volgendo lo sguardo alle destinazioni, Napoli, Roma, Firenze, Milano e Venezia sono le città che vedono il maggior numero di contenuti a tema enogastronomia.

Restando in ambito digitale, nel 2021 il 13% delle prenotazioni effettuate sul portale Tripadvisor con destinazione Italia ha riguardato proposte a tema enogastronomico. Solo i tour culturali ne hanno accolte un numero maggiore (27%). Degustazioni/tour in cantina e corsi di cucina sono le proposte più popolari, essendo state scelte rispettivamente dal 6% e dal 3,6% degli utenti. I turisti che ricercano e prenotano maggiormente questo tipo di esperienze sono statunitensi ed italiani in termini assoluti e svizzeri, tedeschi ed inglesi, invece, in rapporto al totale delle prenotazioni: rispettivamente il 14%, il 13,5% ed il 13% ha riguardato proposte a tema. Il vino catalizza l’attenzione degli utenti di tutte le nazionalità: degustazioni e tour in cantina sono di gran lunga le preferite, specialmente tra gli italiani, tra i quali 1 prenotazione su 2 (di quelle a tema enogastronomico) ha riguardato queste proposte. Fanno eccezione i francesi, più interessati ai corsi di cucina. Toscana e Lazio sono le regioni più prenotate per l’enogastronomia. Piemonte ed Emilia-Romagna, invece, in rapporto alle vendite totali, con ben il 44% delle esperienze prenotate ha riguardato il tema enogastronomia. Nella maggior parte delle regioni italiane, le proposte più vendute sono quelle a tema vino, specialmente in Toscana e Piemonte. Nel Lazio, invece, a primeggiare sono i corsi di cucina, così come in Puglia. In Campania e Sicilia i tour di street food, mentre in Emilia-Romagna i tour enogastronomici.

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