Quella di Stag’s Leap Wine Cellars, icona del vino di Napa Valley, con 100 ettari di vigneto ed un fatturato tra 70 e 80 milioni di dollari all’anno, da parte di Marchesi Antinori, la famiglia per eccellenza del vino italiano, è stata un’acquisizione monstre (si parla di un’operazione complessiva da oltre 1 miliardo di dollari, ndr), che ha fatto ovviamente notizia. Specie perché si è trattato della prima realtà italiana a mettere radici in uno dei territori più importanti del vino mondiale, per prestigio e valori dei terreni (con quotazioni di 1 milione di dollari ad acro) e delle bottiglie, visitatissima da un turismo particolarmente ricco, e che apre una prospettiva nuova per un’azienda familiare da 26 generazioni, quella dell’importazione diretta sul mercato Usa, il più importante al mondo per i consumi di vino, con una società che racconta storia e futuro già dal nome: “Vinattieri 1385”, anno di nascita certificato di Antinori. È la notizia, oggi, nella magnificente Cantina Antinori nel Chianti Classico, emersa dal talk show messo in scena dalla Marchesi Antinori e da Intesa San Paolo, la banca più grande d’Italia e partner principale dell’operazione, che ha coinvolto anche Cassa Depositi e Prestiti ed altri player, e che ha visto l’Italia mettere radici in Napa Valley, dove il Belpaese mancava, “e con una ulteriore peculiarità, è stata una cantina italiana familiare a comprare da un fondo, e non viceversa”, come ha ricordato, con orgoglio, il Marchese Piero Antinori, oggi presidente onorario della Marchesi Antinori, guidata dalle figlie Albiera, Allegra e Alessia, e dall’ad Renzo Cotarella.
“Un’acquisizione che ci dà grande prospettiva, certamente pesante, ma in un territorio dove il valore aggiunto è altissimo, basti pensare che il prezzo medio dei vini di Stag’s Leap è di oltre 40 dollari a bottiglia e che, consentendoci di creare una società diretta di importazione, ci rende finalmente padroni del nostro destino, in un mercato importantissimo come quello americano, dove è difficile che un importatore prima, e un distributore poi, diano priorità a tutti i prodotti che un’azienda come la nostra ha”, ha commentato l’ad della Marchesi Antinori, Renzo Cotarella.
“Oggi è il racconto di come è stata portata a termine un’operazione importante, la più importante di tutta la nostra lunga storia, da tutti i punti di vista, che ci rende orgogliosi, perché ci dà un profilo internazionale, una presenza significativa come quello degli Usa”, ha detto il marchese Piero Antinori. “Un’acquisizione importante in un momento in cui tante aziende italiane sono considerate terra di conquista per aziende straniere: noi abbiamo fatto il contrario, siamo andati controcorrente, di solito sono fondi che comprano aziende familiare, mentre noi siamo una famiglia che ha acquistato da un fondo di investimento. Come italiani siamo fieri e soddisfatti di questa operazione: finalmente l’Italia è in Napa Valley, una delle zone più importanti del mondo, dove ci sono investimenti francesi, cinesi, australiani, sudamericani, abbiamo colmato questa lacuna. Ma questo non sarebbe stato possibile senza l’intervento di Intesa San Paolo, che ha creduto nell’azienda, nel progetto, nelle persone che lavorano che sono quelle che fanno le aziende, una sensibilità al territorio, al settore”, ha aggiunto il presidente Antinori.
“In questo genere di operazioni valgono l’aspetto strategico, quello economico, ma anche quello emozionale”, ha voluto ricordare Renzo Cotarella, ad Antinori, che ha ripercorso tutte le tappe di una trattativa lunga, e di una storia iniziata molti anni fa. “La Napa Valley è zona che conosciamo da decenni, e frequentandola ce ne siamo innamorati. Quando il proprietario di Stag’s Leap, Warren Winiarski, nel 2006, ci chiamò per dire che era in vendita, noi stavamo costruendo Antinori nel Chianti Classico e la cantina di Cortona, e declinammo. Ma l’intenzione di Warren Winiarski era quella di vendere solo ad Antinori, perché gli avrebbe garantito un modello di gestione capace di valorizzare vino e territorio. Voleva rassicurazioni, in termini di continuità stilistica e di valori, e noi decidemmo di entrare con una piccola quota, da cui è iniziato tutto. Non abbiamo mai concluso un’acquisizione che non avesse anche un aspetto emozionale, anzi, a volte è stato proprio l’amore a farci superare tante difficoltà”, ha detto Renzo Cotarella.
“Per noi fare vino senza vigneto oggi non è più concepibile, come è stato in passato, ed il fatto di avere un vigneto ad Atlas Peak che sostiene Stag’s Leap è fondamentale, come lo è il fatto che Stag’s Leap non è troppo grande ma neanche troppo piccola, fa 130.000 casse, come Jermann, è iconica, ha un forte radicamento storico, nel 1976 il suo Cabernet nel “Giudizio di Parigi” batté quelli di Bordeaux. Inoltre, sosterrà la partecipazione di Antinori nel mercato Usa: sarà un presidio diretto sul mercato, con ampi margini di crescita, come mix di prodotti e di fatturato. E questo ci consente di mettere in piedi la nostra struttura distributiva e di importazione, ossia di esser padroni del nostro destino in Usa dopo 50 anni, qualcosa che può cambiare radicalmente il futuro di Antinori”, ha ricordato l’Ad di Antinori.
Tornando idealmente Oltreoceano, Renzo Cotarella ha voluto, quindi, sottolineare come la Napa Valley sia “un territorio tra i più importanti al mondo per i Cabernet e gli Chardonnay, come raccontano i grandi successi sul mercato e nella critica, è visitatissima da persone con grande disponibilità economica, ed oggi molti Cabernet americani costano più dei premier cru di Bordeaux. Merito delle politiche decise dai produttori, che hanno adottato da decenni un sistema di gestione del vigneto improntato alla qualità, e di un mercato disposto a pagare il giusto prezzo, ma anche di un clima pazzesco: piove poco in estate ma c’è tanta acqua nel sottosuolo. Tendenzialmente ci sono condizioni climatiche stabili tra annata e annata, ed una minore variabilità rispetto all’Italia e al Mediterraneo, e questo aiuta un’impresa”.
Approfondendo gli aspetti più squisitamente finanziari dell’operazione, “l’impatto è stato forte, ma l’azienda non ha mai dato dividendi e questo è un aspetto che ha reso la Marchesi Antinori molto solida, facendoci fare cose con lungimiranza anche in momenti che non sembravano ideali. Ad esempio, avevamo una piccola partecipazione in Atlas Peak, pari al 5%, e nel 1993 si presentò la possibilità di acquistarla. La stessa cosa è successa in Cile ed a Stag’s Leaps, dove, nel 2007, siamo entrati con una quota del 15%. Sono situazioni che ci hanno consentito di essere presenti e pronti a cogliere le occasioni, ma senza essere obbligati a doverlo fare”, continua Renzo Cotarella.
“L’acquisto di Stag’s Leap va visto anche nell’ottica della creazione di un’azienda di importazione e distribuzione in Usa, mercato difficile perché comprende tre passaggi, e far arrivare il messaggio alla fine è complicato, così come non è semplice, per un importatore, dare priorità a tutte le esigenze di Antinori. Non siamo un gruppo, ma un’azienda familiare che ha tante specificità, che nel mercato Usa non vengono seguite, mentre per noi sono tutte prioritarie: essere importatori di noi stessi ci offre una grande prospettiva. Il 2023 sarà un anno di consolidamento dei risultati del 2022, dove siamo cresciuti tanto, ma non possiamo crescere all’infinito, dipende tutto anche dalla capacità produttiva e dai valori: l’anno scorso abbiamo fatto il +14%, ma pensiamo che una crescita normale sia compresa tra il +3% ed il +8%, poi è chiaro che la logica dell’azienda deve essere quella della crescita”, ricorda l’ad della Marchesi Antinori.
“Oggi Stag’s Leap Wine Cellar, da non confondere con Stags’ Leap Winery, che è di Treasury, ed è anche una sottozona della Napa Valley, fattura tra 70 e 80 milioni di dollari all’anno, è un’azienda super premium, con un prezzo medio a bottiglia intorno ai 40 dollari, per 1,5 milioni di bottiglie prodotte. A vigneto ha 100 ettari in 4 zone diverse, non sufficienti per sostenere la produzione, mentre con i nostri 240 ettari di vigneto di Atlas Peak sosteniamo la crescita, e per questo diventerà un’azienda di produzione integrata, dalla vigna alla bottiglia. È costata cara, ma ne è valsa la pena: il valore aggiunto è molto alto, i vigneti costano anche 1 milione di dollari ad acro, è tutto orientato alla valutazione del valore, lontano dal nostro modello di calcolo. Dobbiamo pensare ad un investimento per le prossime 27 generazioni”, ha chiosato Renzo Cotarella.
Ad inquadrare l’operazione della Marchesi Antinori in Napa Valley, è stata Sara Giusti, Industry Research Intesa Sanpaolo, che ha ricordato come il sistema agroalimentare abbia “un grande rilievo nel contesto italiano: vale il 3,8% del valore aggiunto, circa 66 miliardi di euro, per 1,3 milioni di posti di lavoro, numeri che fanno dell’Italia il terzo Paese per valore aggiunto in Europa. La qualità e la tipicità sono i punti di forza: il comparto cibo vanta 319 Dop e Igp, il vino 526, per un totale di 879, ed il 16,8% delle Sau (Superficie Agricola Utilizzata) è a biologico, meglio di tutti in percentuale in Europa, con 2,1 milioni di ettari (anche se in termini assoluti, con 2,7 e 2,6, ci sono Francia e Spagna). Nel primo semestre 2023 l’export del vino, a prezzi correnti, segna il +7,7%, con un rallentamento a luglio (-0,4%), ma dopo una crescita del 20% tra il 2019 ed il 2022. Il vino ha una propensione all’export del 65%, nel 2008 era meno del 40%, ma, nell’ultimo anno, è stata importante anche la ripresa dell’horeca, grazie al ritorno del turismo alto spendente”.
Ma il ruolo della banca più importante d’Italia, Intesa Sanpaolo, è tutto nelle parole di Stefano Barrese, Responsabile Banca dei Territori Intesa Sanpaolo: “il rapporto con la Marchesi Antinori è di lunga data, consolidato e di fiducia, e in operazioni così importanti l’aspetto finanziario, che passa dal rapporto tra banca e impresa, è fondamentale. Fiducia, forza del marchio, qualità dei prodotti sono fondamentali, ma serve un rapporto profondo, basato non solo su condizioni e documenti, ma che sappia andare oltre gli aspetti meramente economici. È stata un’operazione complessa, portata a termine da un pool di cui facevano parte Cassa Depositi e Prestiti, Simest, Bnl e non solo, con la nostra quota che si aggira sui 150 milioni di euro (il valore dell’operazione supera 1 miliardo di euro, ndr), ma la cosa significativa per gli altri è capire come è nata, cioè con una piccola entrata in quota parte, magari accompagnati da fondi che prima o poi vorranno uscire, offrendo ad altri la possibilità di consolidare la propria posizione”.
Focus - “Il valore dei marchi italiani nel settore agrifood, la forza del territorio e la rilevanza internazionale” by Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo
Il settore agro-alimentare italiano ricopre un ruolo di rilievo nel nostro Paese ed è un elemento trainante del Made in Italy nel mondo, grazie alla qualità delle produzioni e ad alcuni fattori di competitività che lo distinguono dai principali competitor europei. Nel suo complesso, il sistema agro-alimentare, inteso come somma del settore primario e dell’industria alimentare e delle bevande, ha generato nel 2022 un valore aggiunto di quasi 66 miliardi di euro, con un peso del 3,8% sul totale nazionale, e ha dato occupazione ad oltre 1,3 milioni di occupati (il 5,3% del totale). La rilevanza del sistema agro-alimentare italiano emerge anche oltre i confini nazionali: l’Italia è al terzo posto in Europa per valore aggiunto generato dal settore agro-alimentare, con un peso del 15% sul totale europeo, e al quinto posto per occupazione. La forza dei territori è uno degli ingredienti del successo: ben sette regioni italiane (Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Sicilia, Puglia, Campania e Toscana) primeggiano in ambito europeo e compaiono nel ranking delle prime quindici regioni europee a maggior valore aggiunto nel comparto agricolo.
Nel mondo del vino, l’Italia si conferma sul podio tra i principali produttori mondiali: dopo il primato del 2022 (50 milioni di ettolitri) per il 2023 Coldiretti stima una produzione in calo del 14%, intorno ai 43 milioni, a causa dei danni causati dalla Peronospora e dalla siccità, sorpassata dalla Francia (che dovrebbe attestarsi tra i 44 ed i 47 milioni di ettolitri) mentre la Spagna si conferma terza con 36 milioni di ettolitri.
La forza dei territori e la qualità dell’offerta agroalimentare italiana sono testimoniati dalle 879 certificazioni Dop/Igp presenti nel nostro Paese (seconda la Francia con 750 certificazioni), tra cui 526 certificazioni sono per i vini (segue la Francia con 437) e dal 75% del vigneto nazionale coperto da oltre 80 vitigni, un numero di gran lunga superiore rispetto ai due principali competitor, Francia e Spagna, che ne contano meno di 15. Nettamente più elevata anche la diversificazione di prodotto, dove l’Italia spicca nettamente nel contesto internazionale.
L’Italia si distingue inoltre per la capacità innovativa, con una quota di imprese che hanno apportato innovazioni di prodotto e di processo del 57,6%, superiore alla media Ue27 (48,6%) e in linea con la Germania.
Negli ultimi anni, le imprese italiane dell’alimentare e bevande hanno fortemente accelerato gli investimenti in R&S, sfiorando nel 2020 350 milioni di euro (l’1,18% del valore aggiunto generato), un dato che consente all’Italia di superare nettamente i concorrenti tedeschi (fermi a 333 milioni di euro, solo lo 0,65% del valore aggiunto) e spagnoli (270 milioni, pari all’1,1%).
Tali fattori hanno consentito alla filiera di conquistare un ottimo posizionamento qualitativo sui mercati internazionali: l’Italia nel 2021 si conferma quinto esportatore mondiale di prodotti agro-alimentari, con una quota del 4,1%, ma sale in quarta posizione (con una quota del 5,4%) nella fascia alta di mercato. Le esportazioni agroalimentari hanno fatto segnare un nuovo record nel 2022 con oltre 58 miliardi di euro a valori correnti (+15,3% sul 2021); la crescita è proseguita nei primi sette mesi del 2023 (+2,5% i prodotti agricoli, +7,8% gli alimentari).
Le esportazioni di vino italiano nel 2022 sono cresciute del 9,8% a valori correnti (stabili in quantità) raggiungendo la cifra di quasi 7,9 miliardi di euro. Gli Stati Uniti sono la prima destinazione commerciale per i vini italiani, con quasi 1,9 miliardi nel 2022 (+8,3%), segue la Germania con 1,2 miliardi (+4,8%) e il Regno Unito con oltre 800 milioni (+9,4%). Nel primo semestre del 2023 sono rimaste pressoché stabili in valore (-0,4% tendenziale) sebbene con risultati diversi sui principali mercati di sbocco (Stati Uniti -6,9% tendenziale; Germania +1,4%; Regno Unito +3,2%).
La crescita delle esportazioni testimonia la crescente capacità delle imprese italiane di conquistare i mercati internazionali: secondo le nostre stime le esportazioni italiane di prodotti alimentari e bevande hanno rappresentato nel 2022 il 28,4% del fatturato, con un incremento di oltre dodici punti percentuali rispetto al 16,2% del 2008. In particolare, il vino è stato protagonista di questa crescente proiezione sui mercati internazionali, con la quota di esportazioni sul fatturato che ha superato il 65% nel 2022 (dal 38,7% del 2008).
Tali risultati sono ancora più rilevanti se si considera che la struttura della filiera agro-alimentare italiana è dominata, come in altri settori economici, da realtà di piccole e piccolissime dimensioni. La dimensione media delle imprese agricole in Italia è infatti di soli 11 ettari, contro una media di 70 ettari per Francia, oltre 60 ettari per Germania e di 26 ettari per la Spagna e anche nelle industrie alimentari l’87% delle imprese ha meno di 10 addetti; se finora la dimensione non ha impedito di raggiungere importanti risultati, dimensioni e patrimonio sono elementi da rafforzare ulteriormente per favorire gli investimenti nelle nuove tecnologie.
Gli investimenti in innovazione lungo tutta la filiera, dall’agricoltura di precisione all’adozione di modelli di produzione circolare, alla digitalizzazione dei processi, saranno infatti fondamentali per affrontare le grandi sfide che attendono gli operatori dell’agroalimentare, innanzitutto fronteggiare al meglio i cambiamenti climatici e venire incontro alle esigenze dei consumatori che richiedono prodotti sempre più biologici e sostenibili, ma anche raggiungere nuovi mercati e nuovi consumatori in grado di apprezzare la qualità del Made in Italy.
Innovazione, internazionalizzazione e digitalizzazione richiederanno a loro volta un ripensamento dal punto di vista della valorizzazione del capitale umano, accompagnati da un più veloce passaggio generazionale.
L’analisi di un ampio campione di aziende agroalimentari italiane conferma, infatti, come già nel recente passato il successo derivi da un mix articolato di strategie: le imprese che hanno fatto investimenti in certificazioni ambientali o di qualità, brevetti o marchi hanno registrato performance migliori in termini di crescita di fatturato e tenuta dei margini, delineando il profilo delle imprese vincenti anche nei prossimi anni.
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