Terroir o stilistica? Su questa domanda si arrovellano molti, se non tutti, i territori del vino, in particolare quando il profilo del vino in questione, prodotto secondo un certo stile, è divenuto così riconoscibile da essere individuato anche dai “principianti” del vino, assumendo anche la funzione di “vino di ingresso”. È il caso del Sauvignon Blanc che nella sua evoluzione ha affiancato alla versione “di stile”, commercialmente ancora in crescita, quella “di terroir”, offrendo interpretazioni differenti giocate l’una su note fortemente vegetali, che ricordano il pepe verde, l’asparago, l’erba e così via, l’altra su frutta gialla, agrumi, sentori tiolici e complessità. Una divaricazione che è stata discussa nella tavola rotonda “Le espressioni del Sauvignon Blanc: confronto e dialogo tra terroir e stilistiche”, nei giorni scorsi, al Centro di Sperimentazione Laimburg in Alto Adige e promossa dall’Associazione Sauvignon Alto Adige (con le premiazioni del Concorso Nazionale del Sauvignon Blanc n. 6, qui i vincitori). Una contrapposizione tuttavia, solo apparente visto, che per il Sauvignon e in generale per il vino, come per altri prodotti, non esiste un solo mercato, ma ne esistono tanti che soddisfano i diversi gusti dei consumatori. E tornando alla questione posta all’inizio, sia che si insegua la domanda trainante del vino di stile o l’identità di terroir del proprio vino, i conti si fanno in termini di sostenibilità economica della scelta, quindi sulla capacità di dare valore al proprio vino, qualunque esso sia.
In Italia il Sauvignon Blanc ha le superfici vitate più importanti in Friuli Venezia Giulia - 1.700 ettari sul totale nazionale di 3.500, in pianura e collina, nelle Doc Collio e Colli Orientali - e in Alto Adige (500 ettari), dove i produttori si stanno interrogando sulla direzione da intraprendere circa i vini di questo vitigno. Direzione che oggi, secondo molti, deve privilegiare oltre che la vocazionalità dei territori alla coltivazione della vite, e in particolare delle singole varietà, anche una gestione agronomica che fronteggi il cambiamento climatico considerando elementi prima gestiti diversamente. Parlando delle strategie per evitare i problemi maggiori incontrati dalla vite a causa del riscaldamento globale, come stress idrico, incremento di zuccheri e calo degli acidi nell’uva, Barbara Raifer, del Centro di Sperimentazione Laimburg, ha messo in evidenza come la riduzione delle rese possa essere una strategia efficace, “perché una pianta con meno uva da portare a maturazione ha una maggiore capacità di resistere alle condizioni estreme, come il caldo e la siccità. Diversamente i tentativi di posticipare di 3-4 giorni la maturazione delle uve riducendo la parete fogliare, pur garantendo il mantenimento dell’acidità, hanno aumentato la presenza di grappoli avvizziti e senza aroma. I risultati di tre annate dei test sensoriali su quattro varietà, Sauvignon, Pinot Grigio, Chardonnay e Sauvignon Blanc, mostrano che le viti con superficie fogliare ridotta hanno dato vini meno aromatici e meno interessanti. È dunque essenziale usare cautela: ridurre l’accumulo di zuccheri per rallentare la maturazione può avere effetti collaterali significativi sulla qualità del vino”.
Il Sauvignon nasce in Francia dove è sempre stato presente, senza avere mai un ruolo predominante, perché non sorretto da una forte motivazione commerciale, né da un sistema di promozione radicato. “La sua principale area di coltivazione è la Loira - ha illustrato Gianni Fabrizio, curatore della Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso - dove ha acquisito valore solo in tempi più recenti. La sua fortuna, insieme a quella della Loira, è stata la vicinanza a Parigi, un bacino di utenza cruciale per il suo sviluppo, dove era un vino da bistrot, apprezzato dai parigini dagli anni Trenta fino a oggi, non necessariamente da ristoranti di lusso. L’altra area di rilievo per il Sauvignon è Bordeaux, dove ha iniziato a emergere solo negli ultimi anni. Guardando oltre la Francia, lo sviluppo del Sauvignon in Nuova Zelanda risale agli anni Settanta, mentre in alcune aree del Cile è ancora più recente”. La sua popolarità globale è un fenomeno recente, ma in ulteriore crescita: secondo il report New Zealand Winegrowers l’export di vino neozelandese cresceva del 14% nei primi 9 mesi 2023 trainato dal Sauvignon, caratterizzato tipicamente da note piraziniche, come pure è in aumento la sua produzione nel 2024. “Il 1956 è l’anno del primo Sauvignon dell’Alto Adige, quando la Cantina di Terlano lo presentò per la prima volta non con grande successo - ha ricordato Hans Terzer, enologo decano dell’Alto Adige nella Cantina di San Michele Appiano - negli anni Settanta il Sauvignon era una rarità in Alto Adige e io stesso, dopo aver avuto la libertà di seguire anche il lavoro in vigneto, nel 1985 per puro caso individuai delle viti diverse e dopo la conferma che fosse Sauvignon cominciai a vinificarlo. Me ne innamorai e lo feci piantare in altre zone di Terlano, sebbene all’epoca le selezioni fossero ancora limitate e il successo non immediato. La sua diffusione è dovuta alla facile riconoscibilità, qualità che lo ha rapidamente portato alla fama, insieme a freschezza e acidità, ma anche al nome, che suonava moderno”. È iniziata così la progressione dell’ettarato a Sauvignon Blanc in Alto Adige - 10 ettari del 1978, 17 del 1988, 150 nel 2003, oltre 400 nel 2018 - fino ai 500 attuali.
Anche in Friuli Venezia Giulia la diffusione del Sauvignon risale agli anni Ottanta, quando per la prima volta venivano scoperti i profumi particolari, e allora sorprendenti, di questo vitigno. “In Friuli - ha sottolineato Gianni Menotti, enologo e agronomo friulano di grande esperienza - abbiamo l’influenza del mare e venti caldi che ne determinano la piena maturazione contribuendo ad esaltane le caratteristiche. Abbiamo affiancato ricerche scientifiche e sperimentazioni a un terroir vocato in cui in collina i vini risultano più strutturati e complessi, con una gamma aromatica che va oltre le note vegetali, offrendo sensazioni che bilanciano il vino, mentre in pianura prevalgono profumi verdi più netti”. In alcune produzioni di nicchia il profilo sensoriale dei Sauvignon Blanc è cambiato dagli anni degli esordi, abbandonando le note verdi e piraziniche e quelle ammoniacali che richiamavano la “pipì di gatto” - tanto riconosciuta dai consumatori - evolvendo verso uno stile distintivo del terroir che privilegia note più esotiche e fruttate e complessità.
Evoluzione che non ha toccato i Sauvignon che Gianni Fabrizio ha definito “quotidiani” - molto vicini al 90% della produzione - che ancora giocano su uno stile standardizzato, con successo commerciale, sull’onda di una moda che è ancora attuale. Un cambiamento, quello dei Sauvignon “di territorio” - come ha spiegato Terzer - “basato certamente sul diverso approccio enologico, con tecniche ossidative, assemblaggi acciaio-legno finalizzate alla ricerca di un profilo aromatico complesso, ma anche su una maggiore attenzione alla vigna raccogliendo uve più mature e con rese controllate per abbandonare i toni eccessivamente verdi”. Percorso analogo anche in Friuli Venezia Giulia dove “la volontà di cercare una maggiore complessità - ha raccontato Menotti - è stata il filo conduttore per molti produttori friulani, che nel corso degli anni hanno creato Sauvignon sempre più caratteristici con profumi più maturi e sfumati, note tioliche e di frutta matura, che soddisfano il palato e aggiungono spessore”. “Quest’ultima interpretazione - ha sottolineato Fabrizio, che non ama il Sauvignon dal profilo esclusivamente verde e vegetale - è quella percorsa dai migliori produttori che non seguono tanto uno stile, quanto la volontà di fare il meglio possibile per il loro territorio. Credo che il Sauvignon, come ogni altra uva, debba raggiungere una maturazione ottimale: serve freschezza per garantire l’acidità, ma anche un clima che offra importanti escursioni termiche tra il giorno e la notte per sviluppare gli aromi giusti, che non sono quelli pirazinici. Non si tratta di creare vini “di vitigno”, che rispondono a logiche commerciali, ma di esprimere la migliore qualità possibile”.
Una visione che trova d’accordo Hans Terzer e Peter Dipoli, produttore in Penon e vicepresidente Associazione Sauvignon Alto Adige, che auspicano che i Sauvignon dell’Alto Adige si distinguano per interpretazioni più strutturate, anche se questo comporta la perdita di alcune delle note più riconoscibili. “In Alto Adige - ha detto Terzer - abbiamo aree particolarmente vocate per il Sauvignon: Penon, Cornaiano, Cortaccia, le alture di Termeno e Caldaro, Appiano, oltre naturalmente a Terlano, dove il Sauvignon esprime caratteristiche completamente differenti. Credo fermamente che l’Alto Adige non debba inseguire le mode di mercato piantando Sauvignon in zone inadatte, ma debba restare fedele al terroir, preservando le aree realmente vocate”. “Personalmente - ha concluso Dipoli - ho sempre trovato le note piraziniche nel Sauvignon fastidiose. E paradossalmente questi, che sono vini facilmente replicabili sono richiesti dal mercato. Io mi dedico al Sauvignon da quarant’anni e ho sviluppato una visione ben precisa su questo vitigno, preferendo di gran lunga i sentori tiolici e le sfumature di frutta gialla, che trovo strettamente legati al terroir. Tutto questo è frustrante, ma a forza di esistere il mio Sauvignon ha preso la sua strada dimostrando che il Sauvignon “autentico” può nascere solo in aree specifiche, dove il vitigno trova la sua vocazione naturale”.
Clementina Palese
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