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Ad un anno dalle prime indagini del California Department of Toxic Substances Control su 28 aziende della West Coast, la Corte Suprema della California mette la parola fine alla querelle sull’arsenico nel vino: nessun pericolo per i consumatori

Ad un anno esatto dalle prime indagini del California Department of Toxic Substances Control su 28 delle maggiori aziende della West Coast, accusate da quattro persone di commercializzare, consapevolmente, vini con tracce di arsenico inorganico per valori 5 volte superiori ai limiti consentiti, arriva la sentenza: il giudice John Wiley Shepard, della Corte Suprema della California di Los Angeles, ha disposto il non luogo a procedere. L’accusa, infatti, era incardinata sull’assenza delle indicazioni in etichetta delle quantità di arsenico, che secondo l’accusa violerebbe le leggi sull’etichettature conosciute come “Prop. 65”. Ma per il giudice Shepard, come si legge sul magazine Usa “Wine Spectator” (www.winespectator.com), hanno ragione i produttori, perché “non esiste alcuna legge o sentenza passata, né indirizzo governativo, che sostenga che livelli di arsenico come quelli trovati nei vini presi in esame siano un rischio per la salute. I produttori - conclude il giudice - sostengono, correttamente, che le loro etichette rispettino in maniera adeguata il Prop. 65, ed è effettivamente così”. Finisce così, per la soddisfazione di Treasury Wine Estates e del California Wine Institute, in prima linea, una querelle durata un anno, che ha rischiato di danneggiare seriamente tutta l’industri e enoica americana.

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