Vino: a Firenze “Vigna Michelangelo” (Donne Fittipaldi) al Piazzale Michelangelo … Settecento barbatelle a dimora nella meravigliosa collina che guarda l’Arno, oasi di biodiversità tra vitigni toscani, ulivi, pini, abeti e peschi… Si può solo immaginare lo splendore della Firenze che fu incontaminata ed illibata, dove la vigna veniva coltivata dal Chianti fino a Santa Maria Novella, quando l’agricoltura e l’urbanistica condividevano lo stesso suolo. Immagini che vivono suggestive ad oggi solo nella toponomastica da Via della Vigna Vecchia a Via della Vigna Nuova fino a Via Il Prato, un tempo ricca di verde e di fiori. Quel fascino antico perso nella storia e delle rivoluzioni industriali e che trova spazio oggi in iniziative dall’alto valore simbolico. Come quella voluta da Maria Menarini Fittipaldi, insieme alle sue quattro figlie Valentina, Carlotta, Giulia e Serena, su stimolo del sempre creativo comunicatore Gianni Mercatali, e con l’opera dell’enologo contemporaneo Emiliano Falsini e del tecnico agronomo Stefano Bartolomei. Nella casa della sua infanzia, di suo padre il Commendatore e Cavaliere del Lavoro Mario Menarini, la signora Maria ha voluto piantare settecento barbatelle per “dipingere” la collina che, dal piazzale Michelangelo, sormonta lo storico quartiere di San Niccolò. Si chiama Vigna Michelangelo, in onore del genio fiorentino che ha inciso nel marmo la grazia eterna, questo nuovo vigneto urbano, sulla collina che sovrasta l’Arno, con una vista che spazia dalla cupola del Brunelleschi ai colli di Fiesole, adiacente al Giardino dell’Iris, dove è conservato il germoplasma del genere Iris, simbolo di Firenze. E che rappresenta un vero pamphlet in grado di raccontare la Toscana classica del vino: Sangiovese, Colorino, Pugnitello e Foglia Tonda. Le barbatelle messe a dimora nel marzo 2024 e che vedranno la prima vendemmia nel 2027 sono, dunque, custodi dei germoplasmi dei vitigni toscani per eccellenza e portano il nome di alcuni dei giornalisti più rappresentativi della cultura enoica italiana (WineNews è l’unica redazione ad avere due barbatelle dedicate, ndr). Dunque, un’operazione simbolica ma che regala a Firenze il pregio di avere una vigna urbana come altre città rappresentative della cultura riunite nel circutito della Urban Vineyards Association (Uva), da Torino a Milano, da Venezia a Siena, da Catania a Palermo, da Parigi a Lione, da Avignone a New York. Le donne Fittipaldi, che hanno il centro della loro produzione a Bolgheri affrescano così un terreno agricolo urbano restituendo alla città un po’ della sua cifra più pura, quella della natura celebrata dagli stilnovisti Dante e Guido Cavalcanti ma anche nella leggiadria dei versi di Lorenzo il Magnifico e poi dal Michelozzo che ha scolpito la vigna nelle colonne del cortile che porta il suo nome in Palazzo Vecchio o nelle tracce che si ritrovano nelle statue allegoriche del Campanile di Giotto. E, dunque, nella Firenze città dei simboli, la Vigna Michelangelo delle donne Fittipaldi vuole lanciare il messaggio in coro e al femminile di riappropriazione della terra. Dalle analisi portate avanti dal team agronomico guidato da Stefano Bartolomei, il suolo della collina della Vigna Michelangelo risulta equiparabile per proprietà e argille a quello nobile del Chianti Classico. La coltivazione di queste settecento barbatelle seguirà il metodo ad alberello in un vigneto ad anfiteatro che andrà poi a costituire un “giardino” in cui camminare ed osservare le varietà dei vitigni toscani. Un vero e proprio archivio: trecento viti sono di Sangiovese, con i cloni scelti nella selezione CCL2000. Centocinquanta viti sono di Canaiolo, anch’esso vitigno molto diffuso in tutti gli areali chiantigiani, cento viti sono di Foglia Tonda, ed altre cento viti sono di Pugnitello, varietà che sta offrendo interessanti risultati in Toscana, e che deve il suo nome alla caratteristica forma del grappolo a piccolo pugno chiuso, Infine, cinquanta viti sono di Colorino del Valdarno, conosciuto anche come Abrostino o Abrusco. Non sarà una produzione da mettere in commercio, ma la botte che sarà vinificata nel 2028 andrà all’asta per beneficenza. “Da quella botte si ricaveranno settecento bottiglie - conclude Maria Menarini Fittipaldi - da vendere sul mercato internazionale tramite aste con finalità benefiche di sostegno sociale. Il fine della vigna non è comunque solo il vino, ma il rapporto che si crea tra uomo, terra e aria, un rapporto che ridimensiona la sterilità del cemento e dell’asfalto con la ricerca di un rispetto reciproco”. Firenze e la vigna hanno un rapporto antico e, un tempo, simbiotico, ed è stato raccontato fino dalle epoche più remote, descritto in molte opere e dipinti in affreschi e quadri. Anche le poesie ispirate alla vite e al vino testimoniano la sostanziale presenza della vigna nella vita dell’essere umano: dal Cantico dei cantici ai poemi Omerici. I Romani, su suggerimento di Catone il Censore, acquistavano buoni terreni nelle città che fondavano, dando importanza prioritaria alla piantagione di viti e di salici che producevano i vimini necessari per le legature dei tralci. All’epoca coltivare vigneti produceva redditi superiori ad altre colture e soprattutto la tassazione era la più bassa di tutte. Ma, la crisi dell’Impero creò grandi disordini, la viticoltura subì fortissime tassazioni e gli agricoltori si videro costretti ad estirpare i vigneti. Fu per questo motivo che nel IV secolo, l’imperatore Teodosio, immise la pena di morte per chi tagliava le viti, giusto per citare uno spaccato storico dove la vigna è centrale nella vita dell’essere umano. In Italia si trovano diverse vigne urbane: A Torino è rinata la Vigna della Regina, sulla collina che si affaccia sulla Gran Madre e sulla Mole. Il lavoro di reimpianto del vigneto è stato realizzato nel 2006 dall’Azienda Balbiano, che avvalendosi della collaborazione dell’Università degli Studi di Torino, Facoltà di Agraria e del Cnr Torino, ha reimpiantato tremila cinquantasette barbatelle, per la maggior parte di Freisa, con grisa roussa, cari, balaran, neretto duro, bonarda e barbera, disposte su una superficie totale di 0,8298 ettari. A Milano la Vigna di Leonardo, ricordo della vigna che nel 1498 Ludovico il Moro regalò al genio di Vinci e situata in Santa Maria delle Grazie, è stata di recente ristrutturata con la consulenza del Professor Attilio Scienza. La Malvasia di Milano, Anno I - è stata imbottigliata in esclusivi 330 Decanter ispirati al disegno di Leonardo da Vinci presente al folio 12.690 del manoscritto Codice Windsor e realizzati da Alberto Alessi nella sua azienda vinicola Cascina Eugenia. I Decanter sono progressivamente numerati e sigillati con timbro di garanzia e ceralacca. Alla fine del 2022 la Casa Atellani, sede della Vigna di Leonardo, è stata acquistata da Bernard Arnoux, l’uomo più ricco del mondo, proprietario del Gruppo Lvmh, ed è chiusa al pubblico dall’ottobre 2023, in attesa di un ulteriore restauro. A Venezia ci sono realtà importanti, come quella della vigna murata o “Clos” Venissa di Bisol a Mazzorbo, che produce 3000 bottiglie per anno di un bianco a base di Dorona, oppure quella della vigna dei frati di San Francesco della Vigna, curata dal Gruppo Santa Margherita, e ancora una serie di vigneti curati dall’Associazione “La Laguna nel Bicchiere” (le vigne ritrovate). È stata Siena a lanciare il progetto Senarum Vinea per il riconoscimento e valorizzazione del patrimonio viticolo autoctono e delle forme storiche di coltivazione nella città murata. Il progetto prevede l’impianto di vitigni antichi come il Gorgottesco, il Tenerone, il Rossone accanto a Prugnolo gentile, Occhio di pernice, Procanico. Ed è proprio a Siena che nasce l’Urban Vineyards Association con la collaborazione di Paolo Corbini dell’Associazione Nazionale Città del Vino. Urban Vineyards Association ha come motto “La bellezza sostenibile salverà il mondo” e come scopo “tutelare il patrimonio rurale, storico e paesaggistico rappresentato dalle vigne urbane”. A Roma ci sono due progetti in fase avanzata che prevedono la rinascita di una piccola vigna a Trinità dei Monti mentre un’altra dovrebbe essere impiantata nel parco del Colosseo con varietà autoctone “romane”. Di notevole interesse storico, artistico e paesaggistico è il reimpianto della Vigna del Re nella Reggia di Caserta che fu dei Borbone. Ferdinando di Borbone fece piantare 5 ettari nella Real Tenuta delle “Reali Delizie” ed era orgoglioso dei suoi vini, un Pallagrello rosso e un Pallagrello bianco, sempre presenti nei banchetti ufficiali. Oggi la Tenuta Fontana ha reimpiantato una superficie di 1,2 ettari con lo stesso vitigno e l’agronomo incaricato è lo stesso Stefano Bartolomei che sta curando la Vigna Michelangelo di Firenze. Vigna San Martino a Napoli si estende per ben 7 ettari ai piedi della famosa certosa. Dichiarata Monumento Nazionale nel 2010, è attiva fin dal medioevo grazie ai monaci. Si producono vini bianchi a base di Catalanesca e Falanghina e rossi da Aglianico, Piedirosso e Sciascinoso. A Pompei, ancora, sono stati impiantati vari vigneti di Per’e palummo e di Sciascinoso sparsi tra il Foro Boario e l’Orto dei Fuggiaschi, tutti su suoli vulcanici a tessitura sabbiosa. In Sicilia, A Palermo, invece, c’è la Vigna del Gallo, all’Orto Botanico (dedicata a Diego Planeta, ndr), a Catania invece, si trova l’Etna Urban Winery. All’estero, troviamo a Vienna una vigna interna all’Orangeria del Castello di Schönbrunn, in passato appartenuta agli Asburgo, produce 500 bottiglie. A Parigi si trova la mitica “le Clos Montmartre”. Altri vigneti si trovano a Lione con il Clos des Canuts, ad Avignone con il Clos du Palais des Papes, elencato come patrimonio mondiale dell’Unesco. Negli Stati Uniti, a New York si trova il progetto del designer ed appassionato di viticoltura Devin Shomaker: Rooftop Reds nel Brooklyn Navy Yard, una vera e propria vigna su un grattacielo. Ed ora, dunque, tocca a Firenze, “culla del Rinascimento”, con quella che le donne Fittipaldi, insieme al loro team, vogliono che diventi un’oasi di biodiversità, tra ulivi, pini, abeti, peschi e il vigneto che siano in grado di raccontare e di ricordare qual è il vero oro di questo pianeta: la natura.
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