Dal 15 novembre sul Pianeta siamo 8 miliardi e, secondo le Nazioni Unite, entro il 2050 il 25% della popolazione mondiale sarà costituita da africani. Mosaico di Paesi (54) con situazioni variegate, il Continente Africa risulta un mercato piuttosto oscuro (su cui si sono accesi, nei giorni scorsi, i riflettori a Wine2Wine, business forum by Veronafiere), con uno spaccato delle opportunità per il vino italiano in Angola, Ghana, Kenya, Sudafrica e Nigeria, dove la rapida ascesa della classe media prefigura una crescita importante, che è interessante già oggi. Attorno al tavolo moderatore e relatori con curricula di livello e competenze elevate, da sottolineare per rassicurare le imprese italiane che volessero aprire canali di esportazione verso questi mercati verso cui esistono molti pregiudizi che si aggiungono alla valutazione di alcune oggettive criticità. L’incontro è stato particolarmente interessante per i produttori presenti, perché molti dei numeri e delle tendenze contenuti in alcuni report - come ad esempio in quello della sudafricana Sawis (Sa Wine Industry Information and Systems NPC9 del 2016 - non hanno trovato riscontro nelle esperienze dei relatori. A tirare le fila Temitope Akintola, area manager per Europa Mediterranea ed Africa Zonin1821 e responsabile dell’e-commerce dell’azienda in tutto il mondo. Un esordio in giovanissima età con un’attività nel vino in Nigeria, una parentesi da ingegnere plurilaureato in Italia, e il ritorno in Nigeria con un master in business administration in Food & Wine alla Bologna Business School, per fondare la Going Global Consultancy, azienda specializzata in analisi del percorso verso il mercato e della valutazione dei rischi per i Paesi europei che desiderano espandersi nel mercato africano.
L’Angola, quattro volte l’Italia per estensione, con 33 milioni di abitanti, è sicuramente molto interessante per il vino italiano. A parlarne Monteiro Deslandes, analista di mercato senior dell’Ufficio ICE di Luanda, aperto nel 2015, con competenze per l’Angola, Congo Brazzaville, Congo Kinshasa, Camerun e Gabon, riferimento per le imprese italiane interessate ad approcciare al meglio un mercato peculiare come quello africano. Molti i fattori favorevoli in questo senso: una popolazione molto “europeizzata”, per il forte impatto della colonizzazione portoghese, anche per quanto riguarda la lingua; la presenza di diversi porti esistenti e di altri in costruzione sull’Oceano Atlantico che la rendono raggiungibile; il clima non adatto alla viticoltura che esclude la prospettiva di una produzione nazionale; una popolazione al 99% cristiana; nessun limite al consumo di alcool e, cosa più importante, un mercato su cui, per l’influenza culturale, domina il vino portoghese, in inesorabile calo, e non quello francese. “Il Portogallo - ha spiegato Monteiro Deslandes, anche lui laureato in Italia in consulenza aziendale e diritto d’impresa alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Brescia - deteneva il 95% del mercato e oggi è all’82%, esportando di fatto le proprie eccedenze. Segue il Sudafrica, per contiguità territoriale, al terzo posto c’è l’Italia che quindi ha una posizione privilegiata: il vino italiano tra il 2020 e il 2021 è raddoppiato. A seguire ci sono Francia e Spagna. Una classifica diversa da quella proposta da Wine Intelligence che pone addirittura i vini spagnoli davanti a quelli sudafricani. Il vino in Angola è considerato un bene di lusso, quindi è gravato da tasse, ma il problema principale da tener presente è l’inflazione che in Angola cresce dal 2% di gennaio al 27% a fine anno con l’effetto di triplicare il prezzo del vino nell’anno. Il consumo pro capite è di 25 litri all’anno, il 70% della popolazione ha meno di 25 anni e passa dal consumo di succhi e coca cola al vino. Vengono quindi preferiti vini poco alcolici, che tuttavia devono procurare un poco di ebbrezza. Ecco che i vini preferiti sono quelli dolci come il moscato, che vende 7 milioni di bottiglie, e quelli che scimmiottano l’Amarone. Molto importante è il packaging: va molto il dorato. Sui canali distributivi, gli importatori sono di solito anche distributori e vendono a ristoranti, alberghi e ad altri rivenditori. Esiste poi un mercato informale piuttosto complesso non illegale, ma tollerato. È una sorta di “finestra” per bere molto”. Non veritiero neppure il crollo degli spumanti in Angola, rilevato dallo stesso istituto di ricerca, che al contrario vanno forte perché i giovani cercano momenti ludici e li chiedono.
La passione per le bollicine, di qualsiasi tipo e nazionalità, è trasversale in Africa. “Anche in Ghana, come in molti altri Paesi del Continente, si fa festa per celebrare la vita, nascite, lauree, fidanzamenti, matrimoni, ma si festeggia anche la morte in memoria dei defunti - ha spiegato Vanessa Koko Djaba, ghanese laureata con lode al London College of Fashion nel 1997 e amministratore delegato e proprietario di Vdb Consultancy and Trade Ghana Limited con interessi e investimenti in moda e abbigliamento, immobili e industrie alimentari e delle bevande. Le feste coinvolgono fino a mille persone che vogliono sentire il “pop” del tappo che salta, e quindi sono un buon businness. Il Ghana ha una popolazione con un’età media inferiore ai 35 anni, ma la fascia tra i 18 e i 35 anni non molto spesso ha un reddito adeguato per comprare il vino. È quindi necessario guardare al reddito più che all’età. Considerando che dei 33 milioni di abitanti del Ghana anche solo un milione beva un bicchiere di vino al giorno, si può valutare un consumo quotidiano che si aggira su 250 mila bottiglie, che escludendo i 50 giorni di festività in cui si beve di più, vuol dire almeno 75 milioni di bottiglie all’anno”. Insomma anche nel Paese della stella nera c’è spazio per i vini italiani che attualmente sono poco presenti.
“Gli italiani stentano ad avventurarsi su terreni che ritengono ignoti e scontano delle limitazioni dovute all’ignoranza del mercato - ha continuato Vanessa Koko Djaba, che ha per sviluppato le sue capacità imprenditoriali in UK seguendo con successo di ricavi anche progetti innovativi di aziende come Nike e Adidas. Gli italiani sono diffidenti. Quando ho contattato una cantina per importare Amarone mi è stato chiesto “se lo possono permettere?. Il Prosecco, meno costoso dello Champagne, potrebbe essere molto interessante perché adatto all’abbinamento con le nostre ricette, ma non viene dato ascolto a chi conosce i mercati per iniziare a esportarlo. Il vino italiano prodotto da tante e diverse varietà ha molte opportunità perché il Pinotage è inflazionato e quindi vini diversi sfondano. Inoltra da parte dei consumatori c’è l’aspirazione a consumare vini migliori e di prezzo più elevato, per esempio rispetto a quelli spagnoli che esportano volumi a basso prezzo”. Attualmente Vanessa Koko Djaba importa vini prevalentemente dal Veneto - per i fermi Pinot Grigio e varietali Cabernet e Merlot - e poi da Trentino Alto Adige, Friuli Vg e Toscana. Il 90% del vino arriva in Kenya dall’Europa e poi Sudafrica, Cile e Argentina. Si tratta di un mercato favorevolmente influenzato dal flusso turistico che porta nel Paese ospiti da tutto il mondo “a cui offrire buon vino - ha sottolineato Soraiya Ladak, managing & sales director di The Wine Shop-Kenya che in Kenya e Uganda che importa, distribuisce e vende al dettaglio e su una piattaforma di e-commerce molto attiva anche di vini pregiati. Su una popolazione di oltre 55 milioni, la classe media è in crescita e le persone giovani sono 16 milioni. La disponibilità di vino sul mercato sta crescendo e l’e-commerce è molto importante con consegne rapide in 24 ore. C’è spazio perché i consumatori sono stanchi dei vini cileni, spagnoli e sudafricani. Cercano delle novità e il vino italiano può esserlo. Peraltro in Kenya ci sono molti eventi e molti italiani (ndr: al secondo posto dopo gli inglesi) che potrebbero facilitarne l’ingresso; i requisiti per l’etichettatura sono facili, ma bisogna investire per superare le barriere che esistono, ma sono superabili. È necessario avere buoni importatori, controllare il mercato nelle cinque province del Paese e prevedere delle scorte per dare continuità alle forniture. Da una partnership di lungo periodo con l’importatore si può ottenere una crescita graduale, ma duratura”.
La Nigeria, seconda economia africana dopo il Sudafrica con 211 milioni di abitanti di religioni diverse, è uno dei Paesi africani con il più elevato consumo di bevande alcoliche pro capite, più elevate soprattutto tra i più giovani. Secondo gli ultimi dati Onu, avrà la crescita demografica maggiore nei prossimi 28 anni. Un orizzonte al 2050 dovuto alla numerosità “di giovani ambiziosi che cercano vini di qualità” a detta di Victor Ikem, fondatore e direttore di Drinks Revolution Limited, in precedenza national brand manager per le attività del Gruppo Campari in Nigeria e dg Wine & Things Limited Nigeria. Nel mio Paese il mercato dei vini ha grandi opportunità di crescita, è recettivo ai vini sia del Vecchio sia del Nuovo Mondo: importiamo da Francia, Spagna, Italia Sudafrica e altri. Per entrare e insediarsi serve costruire rapporti basati sulla collaborazione, anche perché è necessario avere un partner nigeriano per interfacciarsi con il Nafdac-National Agency for Food & Drug Administation”.
Lo stesso Victor Ikem denuncia anche diverse criticità del Paese africano, secondo per potenza economica e militare dopo il Sudafrica. “In Nigeria ci sono molti fattori sfavorevoli da prendere in considerazione - ha avvertito. C’è molta disoccupazione e quindi un elevato consumo di vini di prezzo basso, dazi e tasse elevati. La pubblicità ha vincoli rigidi: è vietato il consumo di alcol prima dei 18 anni e non si può fare in vicinanza di scuole e istituti religiosi. Particolare è la struttura del mercato, con il retail al 20%, l’horeca al 5% e il restante 75% di mercato aperto. Si tratta di punti vendita “informali” nei mercati di molte grandi aree urbane della fascia mediana e del sud, visto che a nord si concentra la popolazione di fede musulmana (60%). Poi c’è l’inflazione che però apre grandi possibilità per il Prosecco a danno dello Champagne”, su cui, per inciso, si concentrano le esportazioni della Francia.
Esportare vino italiano in Sudafrica, maggior produttore del Continente e porta di accesso privilegiata all’Africa grazie ai suoi porti, è una sfida. “Non sono il nemico: importo anche vini italiani in Sudafrica” ha esordito scherzosamente Nicolaas Wilem Smit, unico di pelle bianca al tavolo, con lunga esperienza alle spalle, e oggi direttore di Cape Wine Group, azienda di vendita e distribuzione specializzata in soluzioni per supermercati e commercio all’ingrosso, e co-proprietario di Clear Mountain Wines (Pty) Ltd, azienda di importazione e distribuzione di prodotti sfusi. “Le opportunità in Sudafrica si concentrano sugli spumanti e sui bianchi - ha suggerito - ma i vini devono superare i criteri specifici del nostro sistema regolatorio, diversi dai vostri. Bisogna prestare molta attenzione a questo aspetto, essere in contatto stretto con gli importatori, pena il blocco alla dogana del prodotto. Il Prosecco ha grandi chance, ma state cercando di entrare sul mercato dalla gdo che è l’ingresso sbagliato. I prezzi di vendita, infatti, devono offrire margini sufficienti ai retailer. E tornando ai requisiti, per esempio, la classificazione degli spumanti in base al residuo di zucchero è differente e quindi ignorandolo si corre il rischio di dover rietichettare il vino. Meglio cominciare con piccole quantità e distributori di nicchia con un orizzonte di 10 anni guardando oltre la gdo”.
In quasi tutti questi Paesi africani la vendita on line di vino è una realtà, che ha avuto un ulteriore impulso con la pandemia da Covid-19. In Africa l’e-commerce è destinato a crescere, come sta avvenendo in Sudafrica anche dopo la pandemia, e come accadrà in particolare in Ghana, “perché molti - ha spiegato Vanessa Koko Djaba, considerata un pilastro per la diffusione del vino italiano in Africa - si vergognano ad acquistare il vino di persona perché non ne sanno molto. Ecco perché è fondamentale dare delle informazioni che facilino l’acquisto e delle indicazioni di abbinamento con il cibo adeguate, cioè con i piatti locali e non, per esempio, con le pappardelle ai funghi”.
L’informazione e la formazione sui vini italiani sono assolutamente necessarie in tutti i Paesi africani, come hanno sottolineato tutti i relatori, da cui ha preso le mosse Vinafrica, ideata da Vanessa Koko Djaba per portare le cantine al cliente. Una modalità per creare un rapporto personale tra produttori, clienti e appassionati di vino in Ghana. Si tratta di un festival-fiera internazionale in cui le cantine vivono la realtà dei loro clienti africani sperimentando come e dove vengono consumati i vini e con quali cibi.
“Certamente quello dell’Angola è un mercato molto aperto al commercio - ha confermato a questo proposito Monteiro Deslandes, specializzato in marketing e commercio internazionale e in mercati finanziari - ma è necessario sopperire alla mancanza di conoscenza del vino italiano presso i consumatori, come d’altra parte anche negli altri Paesi Africani potenzialmente interessanti”.
“In Kenya vogliamo educare delle persone al vino - ha raccontato sul tema Soraiya Ladak, che vanta il livello 3 del Wset. I sommelier sono importanti per diffondere la cultura del vino e io stessa aprirò una scuola. Per far conoscere il vino italiano è necessaria una promozione con pochi investimenti. Non bastano i weekend e le settimane italiane. Servono eventi e formazione, come fanno i francesi. Serve costruire un rapporto di fiducia invitando noi da voi a vedere aziende e vigneti e venendo voi da noi con una certa continuità”.
Non differente la situazione in Nigeria dove “le potenzialità di crescita per il vino italiano sono importanti, ma solo se supportate da informazione e formazione per aumentarne il consumo”, come ha specificato Victor Ikem, che ha oltre 15 anni di esperienza nel Consumer Marketing per il settore Wine and Spirits nigeriano. La formazione sui vini italiani manca anche in Sudafrica. “I francesi hanno lavorato sui mercati emergenti convincendo i giovani a bere bollicine, non necessariamente di elevato livello - ha osservato Nicolaas Wilem Smit, che è anche consulente con la sua Wine Biz Consult (Pty) Ltd. Dovreste fare lo stesso collaborando con distributori, anche intermedi, e retailer che conoscono il mercato”. Insomma, un mercato, quello africano, con tante possibilità ancora tutte da scoprire, per il vino italiano.
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