Un “convitato di pietra” alla tavola di ognuno di noi, che pesa nel piatto come nel calice, con il vino, che anche grazie al suo valore aggiunto mediamente più alto di altri prodotti che derivano dall’agricoltura, è il settore più nel mirino: è l’agromafia, il cui giro d’affari in poco più di un decennio è praticamente raddoppiato, a 25,2 miliardi di euro, “recuperando, in breve tempo, il terreno perso con la pandemia ed estendendo la sua azione a sempre nuovi ambiti, dal caporalato alla falsificazione e sofisticazione dei prodotti alimentari, dal controllo della logistica all’appropriazione di terreni agricoli e fondi pubblici, fino all’usura, al furto e al cybercrime”. È il quadro, amaro, che emerge dal nuovo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, elaborato da Coldiretti, Eurispes e Fondazione Osservatorio Agromafie, presentato a Coldiretti (Centro Congressi Palazzo Rospigliosi), alla presenza, tra gli altri, del presidente e del segretario generale Coldiretti, Ettore Prandini e Vincenzo Gesmundo, da Alberto Mattiacci, Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Sapienza Università di Roma e Presidente Comitato Scientifico Eurispes, Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Paolo Sisto, Viceministro della Giustizia, Roberto Gualtieri, Sindaco di Roma, Giovanni Melillo, Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Chiara Colosimo, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Jacopo Morrone, Presidente Commissione bicamerale d’inchiesta sugli illeciti nel ciclo dei rifiuti e su altri illeciti ambientali e agroalimentari.
“Il settore agroalimentare è diventato - spiega Coldiretti - sempre più attrattivo per le organizzazioni criminali che, secondo quanto illustrato nel Rapporto, aumentano sempre più i tentativi di estendere i propri tentacoli su molteplici asset legati al cibo. Un esempio è lo sfruttamento degli immigrati attraverso il caporalato, gestito da reti criminali italiane e straniere. Ma le agromafie usano le pieghe della burocrazia per promuovere il credito illegale, acquisire aziende agricole e riciclare denaro, mentre gli imprenditori subiscono minacce e danni per cedere terre e attività, anche a causa della crisi legata alle tensioni internazionali e all’aumento dei costi di produzione che ha caratterizzato questi ultimi anni, indebolendo molte imprese”.
L’obiettivo principale, spiega ancora il rapporto, sono i fondi pubblici e il controllo di mercati e appalti, con l’aiuto di professionisti compiacenti e documenti falsi. Ma le infiltrazioni si estendono a ristorazione, mercati ortofrutticoli e grande distribuzione, senza risparmiare vere e proprie le frodi alimentari, con prodotti adulterati o senza etichetta, spesso venduti nei discount. I settori più colpiti sono vino, olio, mangimi e riso, usando agrofarmaci vietati e false certificazioni bio da importazioni dell’Est Europa. Un capitolo a parte è poi rappresentato dal dilagare dell’Italian Sounding e delle frodi sul packaging.
“La crisi internazionale e i cambiamenti climatici stanno mettendo in crisi la filiera agroalimentare, che appare sbilanciata a favore della distribuzione e penalizza i produttori - sottolinea in una nota Gian Maria Fara, presidente Eurispes - e molte aziende agricole, pur operando nel contesto del successo del Made in Italy, faticano a sostenere l’aumento dei costi, la riduzione delle rese, i prezzi imposti dalla Gdo e la difficoltà di accesso al credito. Le mafie, grazie alla loro liquidità, offrono prestiti usurari o acquistano aziende agricole in difficoltà, seguendo un modello simile al land grabbing. Questa nuova strategia punta direttamente alla terra e alla produzione primaria, ampliando il controllo lungo tutta la filiera: dalla produzione ai fondi pubblici, fino alla manodopera sfruttata”.
“Per Coldiretti la filiera agroalimentare parte dal lavoratore agricolo e arriva al consumatore: difenderla dalle mafie significa anche garantire il giusto prezzo lungo tutto il percorso - sottolinea il segretario generale Coldiretti, Vincenzo Gesmundo - se i consumatori comprano prodotti a prezzi stracciati, e se settori deviati della Gdo o dell’industria acquistano e vendono sottocosto, quel sottocosto qualcuno lo paga, e sono quasi sempre gli agricoltori e i lavoratori agricoli. Erano dieci anni che aspettavamo l’approvazione della proposta di legge elaborata dal procuratore Caselli che ancora nessuno aveva avuto il coraggio di fare e che invece l’attuale Governo ha avuto la determinazione politica di concretizzare, potenziando per la prima volta gli strumenti a disposizione delle forze dell’ordine e della magistratura contro la criminalità dell’agroalimentare. Chiediamo ora che il Parlamento proceda ad una rapida approvazione definitiva superando le resistenze trasversali che arrivano da pezzi della grande industria in mano alle multinazionali e da segmenti della Gdo”.
“Coldiretti è da sempre in prima linea contro le agromafie che oggi puntano alla filiera agroalimentare allargata il cui valore è salito alla cifra record di 620 miliardi di euro e con un export da 69,1 miliardi - dichiara il presidente nazionale di Coldiretti e dell’Osservatorio agromafie Ettore Prandini - è stata la prima e unica organizzazione agricola a sostenere con forza la legge sul caporalato. Allo stesso modo denunciamo lo sfruttamento in ogni parte del mondo perché la problematica delle agromafie non è solo italiana come dimostra il rapporto. Si va dal caporalato trasnazionale allo sfruttamento dei bambini che per noi si combatte anche con accordi internazionali basati sul principio di reciprocità. L’Europa dovrebbe puntare l’attenzione su questi fenomeni utilizzando il modello di controlli e contrasto come quello italiano”. La presentazione del Rapporto, peraltro, coincide con l’approvazione del disegno di legge che introduce, su iniziativa del Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, nel codice penale, un nuovo titolo dedicato ai delitti contro il patrimonio agroalimentare, accogliendo le proposte della cosiddetta “Legge Caselli”.
“Il ddl introduce importanti misure per tutelare la filiera agroalimentare e i consumatori - sottolinea Coldiretti - con particolare attenzione alla repressione delle frodi. Tra le principali novità, spicca l’introduzione del reato di frode alimentare, che punisce tutte le condotte ingannevoli nella produzione e commercializzazione di alimenti, soprattutto quando danneggiano il consumatore su qualità, quantità o provenienza dei prodotti. Viene inoltre istituito il reato di commercio di alimenti con segni mendaci, per contrastare false etichettature e indicazioni ingannevoli, e quello di agropirateria, rivolto a chi commette frodi alimentari in modo sistematico e organizzato. Completano il quadro misure più severe per la tutela di Dop e Igp, la possibilità di donare alimenti sequestrati a fini assistenziali e l’introduzione di sanzioni proporzionate al fatturato aziendale, per garantire maggiore equità”.
“Dobbiamo combattere le agromafie partendo dalla tutela di quella stragrande maggioranza di imprese che si comportano bene, seguendo le leggi, e spesso faticando perchè hanno la concorrenza sleale di tanti generi, e ovviamente tra le più importanti quella delle agromafie. Il Governo con il ddl che ho fatto approvare in Consiglio dei Ministri - ha detto il Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida - introduce una cabina di regia istituzionale, di concerto con le realtà che si occupano di questo fenomeno, per essere ancora più incisivi e operativi. Il business delle agromafie cresce perchè il settore è sempre più interessante, come testimonia anche il record di quasi 70 miliardi di euro di export, e servono forme di deterrenza e sanzioni commisurate per questo fenomeno che è estremamente grave”.
Una lotta sempre più complessa, in ogni caso, perchè il fenomeno ha ormai un orizzonte globale. “Una novità rilevante dell’analisi del Rapporto - spiega Coldiretti ed Erispes - è la nascita di organizzazioni transnazionali tra Italia e Paesi extra-europei, che agiscono come agenzie informali di intermediazione illecita della manodopera agricola. Indagini recenti hanno rivelato come queste reti, sfruttando anche i decreti flussi, organizzino l’arrivo di lavoratori dal subcontinente indiano (soprattutto India e Bangladesh), in cambio di ingenti somme. Una volta in Italia, questi lavoratori vengono sfruttati, privi di tutele, e costretti a lavorare per saldare il debito contratto, magari destinati ad altri settori, mentre gli imprenditori agricoli si ritrovano senza manodopera. Un meccanismo che si basa principalmente sul fenomeno delle “imprese senza terra”. Si tratta di realtà che assumono la forma giuridica di cooperative e che si propongono alle aziende agricole come fornitrici di addetti per le varie attività, soprattutto stagionali. Ai lavoratori viene imposta l’adesione formale alla cooperativa, ma questa non porta in realtà nessun vantaggio. Al contrario, le retribuzioni possono risultare fino al 40 % inferiori rispetto a quanto previsto dai contratti nazionali o provinciali, all’insaputa delle stesse aziende agricole che pagano il servizio direttamente alla cooperativa”.
Inoltre, rileva ancora il Rapporto, “se l’Italia si è dotata di un sistema sanzionatorio e di controllo all’avanguardia, il rischio è che il fenomeno agromafie sia sottovalutato nel resto d’Europa. Un pericolo tanto più grave se si considera la dimensione ormai sovranazionale dell’azione dei sodalizi criminali. L’individuazione delle agromafie in Europa risulta estremamente deficitaria. Oltre che in Italia, gruppi criminali organizzati che operano nel settore primario sarebbero stati individuati in Austria, Belgio, Germania, Slovacchia, Spagna e Paesi Bassi. Tuttavia, le loro attività non risultano monitorate e catalogate con sistematicità. Un discorso a parte merita il caso delle attività legate alle mafie cinesi, che starebbero aumentando l’interessamento per il settore agricolo mediante l’acquisto di terreni e piccole aziende, e per la stessa logistica”.
Senza dimenticare il fenomeno dell’Italian Sounding, ovvero il commercio di prodotti che di italiano hanno il nome o segni distintivi sulla confezione ma che in realtà non hanno alcun legame produttivo con il nostro Paese. “Il caso più evidente è quello dell’agropirateria internazionale, di cui il Parmesan, clone di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, o le varie imitazioni del Prosecco (l’ultimo, il Calsecco californiano) rappresentano i simboli più noti. Un mercato - denuncia Coldiretti - che ha raggiunto il valore record di 120 miliardi di euro, pari a quasi il doppio di quello dell’export agroalimentare totale. Ma a danneggiare gli agricoltori e i consumatori italiani è anche l’italian sounding di casa nostra, quella zona grigia dove, grazie al principio di ultima trasformazione contenuto nell’attuale codice doganale, è consentito spacciare per cibo italiano quello che italiano non è. Uno scandalo che ha portato oltre diecimila agricoltori della Coldiretti alle frontiere, dal Brennero ai porti di Civitavecchia, Salerno e Bari, per chiedere un cambio di passo, con una raccolta di firme per una legge popolare che garantisca l’introduzione dell’obbligo dell’indicazione del Paese d’origine in etichetta su tutti i prodotti alimentari in commercio nell’Unione Europea”.
Una battaglia enorme da combattere, dunque, quella contro le agromafie. Che ha bisogno di azioni concrete, in primis, ma anche di simboli. Come il ramoscello dell’Albero di Giovanni Falcone - il giudice simbolo della lotta alla mafia ucciso, con la scorta, il 23 maggio 1992, a Capaci, in Sicilia - da piantare e far crescere sui terreni confiscati al clan dei Casalesi, donato da Coldiretti, Comando del Corpo Forestale dei Carabinieri e Distretto Rotary 2080 alla Cooperativa Sociale Terra Felix, un acceleratore di attività e di progetti culturali e sociali a vocazione ambientale attivo nell’area che si estende dalla periferia nord di Napoli a quella sud di Caserta, già vincitrice del Premio all’Innovazione Oscar Green byColdiretti.
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