02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2025 (175x100)
SIMPOSI

Artimino, dove un tempo i Medici producevano cultura, oggi si parla del futuro del vino

Nella Villa Medicea e tenuta vitivinicola, la prima Giornata di Studi sulla svolta tecnoculturale e l’Ai nel settore, promossa dalla Fondazione Olmo

“Sono stato hoggi à Artimino et credami Vostra Altezza che vi ho trovato un Primavera”: non è difficile immaginare la fonte di ispirazione di un capolavoro del Rinascimento come la “Primavera” del Botticelli, dalle parole scritte nel 1596 dal Granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici alla moglie Cristina di Lorena alla vista della Villa di Artimino, detta anche Villa La Ferdinanda o dei Cento Camini, che aveva fatto costruire tra i vigneti del Montalbano e del Carmignano al grande architetto Bernardo Buontalenti, ultima delle Ville Medicee, sintesi del modello della villa aristocratica di campagna in Toscana, dedicata al tempo libero, alle arti e alla conoscenza diffuso dalla famiglia Medici, e oggi Patrimonio Unesco (come WineNews ha raccontato in un video). E non è difficile immaginarvi Galileo Galilei, intento a studiare il rapporto tra uomo e natura, o Leonardo da Vinci progettare il girarrosto automatico per le cucine e la cacciagione cacciata nel Barco Reale. Ma è anche qui che, prima degli Uffizi, si ammirava anche la sintesi perfetta della bellezza del vino: il “Bacco” di Caravaggio.
Ed è qui che ,nella Tenuta di Artimino, di proprietà dagli Anni Ottanta del Novecento della famiglia Olmo, che guida Olmo Group - fondato da Giuseppe Olmo, grande ciclista prima, con il record dell’ora nel 1935, e poi, dopo la guerra, fondatore della fabbrica di biciclette Olmo, da cui è nato il gruppo leader nella produzione di poliuretano, ma impegnato anche nel fronte del turismo di montagna in Valsassina, in Lombardia, oltre che, ovviamente, in Toscana, nei 700 ettari, di cui 70 a vigneto, il resto bosco ed oliveti, guidata dai nipoti di Giuseppe, Francesco Spotorno Olmo e Annabella Pascale - nella prima Giornata di Studio dedicata a “La svolta tecnoculturale: intelligenza artificiale, viticoltura, enologia e nuove culture del vino”, promossa dalla Fondazione Giuseppe Olmo, si è parlato di come integrare saperi provenienti dalle scienze agrarie e ambientali, dalle tecnologie digitali, dalle neuroscienze, dal marketing e dalle scienze umane per analizzare l’attuale mutamento paradigmatico che investe il comparto vitivinicolo e la sua relazione con la cultura materiale vitivinicola, il paesaggio e i consumi contemporanei.
Se Annabella Pascale, presidente Fondazione Olmo, ha ricordato come il nonno Giuseppe Olmo “imprenditore visionario, acquisì la Tenuta di Artimino nel 1989 riconoscendone il potenziale come ecosistema integrato di storia, agricoltura, viticoltura, arte e turismo”, il presidente degli enologi italiani Riccardo Cotarella ha evidenziando come “oggi il vino non sia più soltanto un prodotto agricolo, ma un sistema complesso e valoriale che interseca filiere tecnologiche, modelli di consumo emergenti e nuovi significati culturali”. Nella prima sessione si è parlato di innovazione scientifica e tecnologica in viticoltura ed enologia, focalizzandosi sull’analisi dei cambiamenti epistemologici, tecnici e produttivi indotti dall’adozione di tecnologie avanzate e di intelligenza artificiale nei contesti agricoli. Attilio Scienza, professore di viticoltura all’Università di Milano, esperto di genetica della vite e innovazione vitivinicola e direttore dell’area “Cultura del Territorio” della Fondazione Olmo, ha riflettuto sulla “Viticoltura tra tradizione, scienza e nuove tecnologie”, con una premessa semantica sulla parola tradizione: tradere, infatti vuol dire trasmettere, trasferire, tramandare, ma anche tradire che vuol dire venir meno ad un impegno. “Penso che questa sia la sinossi del mio intervento, tradizione e innovazione non sono fattori antitetici, ma due aspetti che devono essere integrati e forse, presto, con l’Intelligenza artificiale, riusciremo a farlo - ha detto Scienza - si dice che l’innovazione sia una tradizione ben riuscita. Il Sangiovese in California è tradizione o innovazione? La formula del Chianti del Barone Ricasoli, stravolta dall’arrivo dei Supertuscan, può essere considerata un tradimento? In questo contesto è necessario riflettere sul concetto di autoctonia, la tradizione del vino italiano. I vitigni autoctoni in Italia sono davvero pochi, ottenuti dalla domesticazione delle viti selvatiche, tutti gli altri sono frutto di introgressioni ed incroci con genotipi provenienti dai luoghi più disparati.
Emblematico è il caso del Sangiovese, considerato autoctono della Toscana, ed invece originario della Calabria e della Sicilia, ma che ha trovato qualità e prestigio solo sulle colline toscane ed in alcune zone della Romagna. Nella tensione tra continuità e trasformazione c’è una chiave di lettura per il futuro della viticoltura. Solo un uso sapiente degli strumenti offerti da genetica, sensoristica avanzata e sistemi intelligenti consentirà di affrontare i cambiamenti climatici in atto”. In questo contesto il professore ha indicato “l’opportunità dell’introduzione dei vitigni Piwi (resistenti alle malattie fungine) come strumento di sostenibilità e di riduzione dell’impatto ambientale, anche se il vero progresso si raggiungerà con l’adozione delle Tea (Tecniche di evoluzione assistita), i cui risultati porteranno alla selezione di vitigni e portinnesti più resilienti nei confronti delle malattie e del cambiamento climatico. L’applicazione dei metodi di Intelligenza artificiale consentirà, inoltre, di realizzare delle forme di allevamento ideali, capaci di sfuggire alle alte temperature e di ridurre i tagli di potatura, allungando così il ciclo di vita dei vigneti”. Luca Toninato, esperto di viticoltura di precisione e remote sensing, parlando delle “Rilevazioni satellitari e gestione intelligente del vigneto”, ha approfondito il ruolo delle tecnologie spaziali e dell’elaborazione dati georeferenziati. Attraverso i sensori dei satelliti Sentinel-2 è oggi possibile costruire modelli predittivi e mappe di vigoria vegetativa ad altissima risoluzione. Toninato ha mostrato come la gestione integrata delle informazioni (geolocalizzazione, pendenza, composizione suolo, umidità, esposizione, microclima) consenta pratiche di viticoltura 4.0, basate su strategie differenziate per singolo appezzamento, sino a livello pianta per pianta. L’uso combinato di dati satellitari, sensori di campo, droni e algoritmi di Intelligenza artificiale permette un’agricoltura site-specific, riducendo input chimici, ottimizzando la gestione idrica e migliorando la qualità della produzione. Franco Achilli, docente di Visual Identity all’Università Iulm di Milano, e direttore dell’area “Cultura d’impresa” della Fondazione Olmo, con l’intervento “Oltre natura/cultura: verso una nuova antropologia del Genius Loci Vitivinicolo”, ha affrontato - attraverso un framework interpretativo transdisciplinare - il valore del Genius Loci nella cultura e nello sviluppo dei luoghi e del paesaggio, in un contesto di auspicabile recupero dell’armonia tra umani, altre specie e i cosiddetti beni comuni costituiti dal patrimonio naturale e dal paesaggio antropizzato. Dalla definizione del tema, anche attraverso le sintesi delle posizioni di filosofi, antropologi e anche registi e artisti, è emersa l’evoluzione storica del rapporto uomo-paesaggio-natura, per introdurre le prospettive neoumanistiche contemporanee (rif. Tim Ingold), per poi concludere specificamente con uno sguardo antropologico sulla viticoltura contemporanea. Vincenzo Russo, docente Iulm e fondatore e direttore del Centro di Ricerca di Neuromarketing, ha approfondito, nella sua relazione “Neuromarketing del vino: neuroscienze, emozioni e scelte di consumo”, il ruolo delle emozioni nei processi decisionali legati al vino. “L’analisi evidenzia che il brand e l’immagine sono fondamentali nella scelta e nella percezione anche di un prodotto vitivinicolo. Gli esseri umani sono più macchine emotive che pensano che non macchine pensanti che si emozionano. Il nostro cervello si attiva emotivamente lasciandosi condizionare dalle stimolazioni esterne capaci di influenzare anche il gusto di un prodotto. Nei test di mercato il consumatore percepisce come migliore il vino presentato ad un prezzo più alto rispetto a quello di prezzo più basso anche se si tratta esattamente dello stesso prodotto. Il cervello del consumatore non esperto guarda il grado alcolico, la certificazione biologica, la capienza della bottiglia, ma, in realtà, il 70% delle etichette in commercio sono fortemente autoreferenziali e non raccontano ciò che i consumatori cercano”. Secondo Russo, il consumatore è guidato da stimoli multisensoriali che alterano la percezione del gusto.
Comunicazione, marketing e nuovi scenari di consumo sono stati, invece, al centro della seconda sessione che ha esplorato le dinamiche culturali, percettive e strategiche connesse alla rappresentazione e comunicazione del vino nell’ecosistema contemporaneo. Alberto Mattiacci, professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese a La Sapienza di Roma, ha illustrato, nel suo intervento “Branding, reputation e strategie di marketing vitivinicolo nel tempo dell’incertezza”, come la marca diventi un elemento di significazione e rassicurazione in contesti socioeconomici frammentati e instabili. “Il consumatore si esprime attraverso “la scelta” ecco perché il marketing deve focalizzarsi sul branding, elemento fondamentale della formula competitiva aziendale, ma non ancora gestito nelle aziende come il principale asset. Lo hanno intuito, per primi, i grandi imprenditori visionari, creatori di brand globali come Apple e McDonald’s. Il vino è oggi sempre più percepito come esperienza culturale e il branding deve quindi riflettere i valori, la coerenza e la narrazione del territorio e del produttore, in dialogo con il consumo e dei suoi nuovi segmenti”. Gabriele Gorelli, primo italiano Master of Wine, ha analizzato il tema delle “Oscillazioni del gusto e nuovi trend internazionali nel consumo di vino”, evidenziando come “i consumi appaiano orientati, sempre più, verso prodotti meno alcolici, leggeri, sostenibili, capaci di rispondere alla crescente richiesta di trasparenza, autenticità e responsabilità ambientale, anche in chiave generazionale e cross-culturale. L’oscillazione del gusto, come quella di un pendolo, non passa mai per lo stesso punto. Il consumo del vino cambia, prima era in famiglia che si cominciava a conoscerlo come alimento sano. Da sempre ha avuto un ruolo di lubrificante sociale, un collante per le amicizie e per trovarsi con gli altri. Adesso ci incontriamo online e il settore cambia continuamente. Eraclito diceva che non c’è realtà permanente, a eccezione della realtà del cambiamento, e la permanenza è un’illusione dei sensi. Le influenze sul consumo del vino sono tante, articolate, interconnesse a volte, ma oscillazione vuol dire anche opportunità, nuovi mercati, come per esempio il Messico, nuove occasioni di consumo, anche in alternativa ai super alcolici. I trend rappresentano forme di evoluzione, una parte del mercato che si trasforma, ma i buoni vini, quelli con personalità, restano”. Vanni Codeluppi, professore dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ha condotto un’analisi sociosemiotica nel suo intervento “Il vino come patrimonio simbolico e semiotico del Made in Italy”. A partire da eventi epocali come l’11 settembre e il climate change si rileva “un cambiamento antropologico nei consumi e un generale senso di incertezza e insicurezza negli individui. Ci sono tanti segnali: cerchiamo di compensare questa paura attraverso l’acquisto di macchine più voluminose, apparentemente più protettive, cerchiamo un’evasione facendoci conquistare dal lusso, magari quello più accessibile, o verso prodotti che portano a una regressione ludica. La siccità, il problema dell’acqua e l’inquinamento ambientale ci portano a una percezione di precarietà, di una natura problematica, il consumatore ne è consapevole e cerca di trovare un equilibrio con sé stesso. In Italia, cresce il popolo dei vegetariani - oggi l’8% - e la domanda di prodotti naturali per cercare un rapporto pacificato con la natura; questo ha effetti anche sul settore del vino che viene oggi vissuto come simbolo identitario e rifugio emotivo. L’eccesso di offerta dei prodotti dà al consumatore una sensazione di saturazione che lo porta verso la snack culture, verso consumi veloci e superficiali, ma contemporaneamente si cercano, quasi in modo ossessivo, anche prodotti sicuri, ben fatti, trasparenti, autentici, radicati in un territorio, creati da piccoli produttori, una realtà importante anche per il mondo del vino. Nella società dei grandi consumi prevale la standardizzazione dei prodotti e il filosofo francese Michel Le Gris nel suo libro “Dioniso crocifisso” parla proprio della domesticazione del gusto del vino che soddisfa grandi mercati, ma nel contempo s’impoverisce”. Al contrario, “oggi il vino deve parlare di identità vera e coerente” secondo Codeluppi.
Guido Di Fraia, prorettore all’Innovazione alla Iulm e Ceo di “Iulm Ai Lab”, ha delineato le “Nuove frontiere della comunicazione del vino con l’Intelligenza artificiale”: “l’Intelligenza artificiale riconosce le immagini, comprende il linguaggio umano, elabora i dati e, oggi, sa anche essere generativa, capace di creare contenuti. L’integrazione di queste quattro capacità può essere utile a tutti i reparti di un’azienda del settore vinicolo. Nella vigna, l’Ai controlla le esigenze dei vigneti e di ogni singola vigna, particolari sensori comunicano lo stato di salute di una pianta per poter intervenire nel luogo giusto al momento giusto. Oggi, le rilevazioni in vigna sono coadiuvate da assistenti speciali, i sensori ottici in grado di ricavare parametri in funzione delle variazioni della riflessione della luce e da un’elettronica di tipo SiP (system on a package). Inoltre, è possibile migliorare la strategia di difesa delle piante attraverso lo studio dei Voc, i composti organici volatili, segnali o odori che consentono alle piante di comunicare tra di loro a lunga distanza. In pratica, quando sono sotto attacco, le piante emettono percorsi molecolari come meccanismi di segnalazione. L’Ai è oggi uno strumento generativo, capace non solo di analizzare dati e riconoscere immagini e linguaggi, ma anche di elaborare contenuti. Dalla gestione predittiva della vigna, tramite sensori avanzati alla pianificazione logistica; dalla gestione finanziaria alla creazione di campagne personalizzate, l’Ai potenzia ogni livello dell’impresa vitivinicola, della filiera alla cantina. Speciali algoritmi gestiscono tutta l’amministrazione dell’azienda e individuano percorsi migliori sotto il profilo dell’impatto ambientale e per il contenimento delle risorse. Una particolare Intelligence sviluppa ricerche di mercato, anche a livello internazionale, per il controllo dei prezzi, della concorrenza e delle scontistiche. L’obiettivo non è sostituire l’intelligenza umana, ma aumentarla: liberare risorse creative, migliorare le performance, dedicarsi alla gestione della complessità”.
Vincenzo Ercolino, coordinatore della Fondazione Olmo, figura di riferimento del settore vitivinicolo italiano, ha concluso come “da tutte le relazioni emerge una considerazione: non esiste un prodotto resistente alle mode e ai cambiamenti epocali quanto il vino. La rivoluzione tecno-antropologica di questi anni deve indurre una riflessione corale che richiama in causa tutte le categorie, a vario titolo, coinvolte nella produzione o nel consumo di vino. Ogni bottiglia che facciamo è già il risultato di un’alleanza tra natura, cultura e territorio oggi e se lo facciamo con rispetto della qualità, con impegno, con visione delle persone giuste, confrontandoci con chi ha conoscenza e competenza, il risultato sarà buono. Buono come il vino”.

Copyright © 2000/2025


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025