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“BOTTEGA DEL VINO” DI VERONA: DAL MINISTRO DELLE POLITICHE AGRICOLE GIANCARLO GALAN AD IMPRENDITORI E PRODUTTORI … PER BRINDARE ANCORA. LO STORICO LOCALE VERONESE HA UN PATRIMONIO IN BOTTIGLIE TRA 4-5 MILIONI DI EURO. L’INTERVISTA CON SEVERINO BARZAN

Italia
Il proprietario storico e di maggioranza Severino Barzan

Appassionati di vino, forse non tutto è perduto. Parliamo della vicenda della “Bottega del Vino” di Verona, locale cult per gli appassionati di Bacco d’Italia e non solo, di cui è stata annunciata la chiusura e la liquidazione a causa dei profondi contrasti tra i due soci, il proprietario storico e di maggioranza Severino Barzan (“Uomo dell’anno” nel 1998 per l’autorevole “Revue du vin de France”) e Gianni Pascucci.
Oltre al vivo interesse per salvare il “bottegon” manifestato dal Ministro delle Politiche Agricole (ed ex governatore del Veneto) Giancarlo Galan, fonti sentite da WineNews dicono che ci sarebbero state già tante manifestazioni concrete di interessi di imprenditori e produttori, per rilevare e liquidare le quote di Pascucci e avviare un nuovo corso per la storica “Bottega”. Un interesse dovuto al prestigio del marchio, al valore simbolico del locale ma anche all’aspetto economico: un giro d’affari tra i 2 e i 3 milioni di euro all’anno, un patrimonio in bottiglie conservato in cantina stimabile intorno ai 4-5 milioni di euro, più il valore del luogo, in pieno centro a Verona a pochi passi dall’Arena. A Vinitaly, appuntamento mondiale del vino, ci passano tutti i più importanti produttori e personaggi del vino e qui hanno brindato Berlusconi, Gerhard Schroeder, Sandro Pertini e la regina d’Olanda.

Focus - L’intervista con Severino Barzan, patron de “La Bottega del Vino”
La sua prima apertura come osteria risale al ‘500, sotto la bandiera della Serenissima, nella stessa sede attuale che allora ospitava, ai piani superiori, il consolato francese, come ricorda il nome della via. Nell’Impero è diventata Osteria al Bie dermayer e nel 1890 è stata acquistata dalla cantina sociale di Soave che l’ha chiamata “Bottega Vini”, come recita tuttora l’insegna. Il nome con cui tutti la conosciamo è la Bottega del Vino, ed è questa la scritta che si legge a New York, all’incrocio tra la Quinta e la Cinquantanovesima strada, dove spopola la sua copia fedele. La formula che ne ha fatto un locale amatissimo non soltanto dai veronesi ha sancito il grande successo oltreoceano. Artefice di questa felice clonazione è Severino Barzan, friulano di nascita e veronese d’adozione, dal 1986 al timone dello storico locale. Professionista di grande esperienza internazionale, è stato eletto uomo dell’anno da un’importante rivista francese del settore enologico.
Parliamo un po’ di lei, della sua storia personale ...
Sono nato in Friuli, ad Aviano, nel 1945. Mio padre voleva che diventassi avvocato, ma non era nella mia indole. Affascinato dal mondo alberghiero, ho fatto di tutto per lasciare la scuola, e partire per Venezia, a lavorare, nonostante all’epoca il personale non fosse trattato molto bene. Da Venezia sono andato in Francia, per imparare la lingua, poi sono sbarcato a Milano, dove ho dovuto sobbarcarmi lavoro e scuola per riprendere l’istruzione lasciata per strada. Sempre per apprendere le lingue mi sono spostato in Inghilterra, in Cornovaglia, e in seguito in Germania. Ho iniziato anche l’università, senza terminarla; però ho fatto felice lo stesso mio padre, perché la Prodeo University di Albany (New York), dieci anni fa, mi ha conferito una laurea Honoris Causa in Scienze Economiche e Commerciali.
Come è arrivato a Verona?
Dalla Germania dovevo rientrare a Milano come caposervizio all’hotel New York, quando mi arrivò un telegramma dal Due Torri di Verona, originato da una segnalazione del tesoriere della Federazione Italiana Portieri d’Albergo. E così nei primi anni Sessanta sono venuto a Verona. All’inizio, devo essere sincero, ho fatto fatica ad ambientarmi, dato che la vita era molto diversa da quella che conducevo prima, ma alla fine sono rimasto ancora qui, a distanza di 40 anni. Sono diventato veronese sotto ogni punto di vista, la città è diventata la mia.
E cosa l’ha portata alla Bottega del Vino?
Nei primi anni Settanta ho iniziato a gestire vari locali, tra i quali Corte Sgarzerie, il bar Friuli e il Cantinon. Per quasi dodici anni ho cogestito Gardaland ed altri ambienti sul Lago di Garda. Negli anni Ottanta ho appreso che la Bottega del Vino era in vendita. Io ero convinto che un luogo del genere non fosse di proprietà privata, ma pubblica, del Comune o della Regione. Non mi sembrava vero poterla acquisire, era un sogno che si realizzava. La Bottega non è un ristorante, è come comprare un monumento. Non esiste un paragone tra questo e altri locali, né a Verona, né altrove, perché non esiste un locale che possa vantare la stessa storia. Credo sia un po’ la seconda casa dei veronesi, come testimoniano le poesie scritte sulla Bottega del Vino da Berto Barbarani.
Adesso però le Botteghe sono due ...
Dal primo novembre 2004, c’è una replica della Bottega, un pochino più grande, tra la Quinta e la Cinquantanovesima strada, nell’ombelico di Manhattan. Una bella scommessa vinta, perché di scommessa si è trattato. La zona ha aiutato, perché lì, tra la Quarantesima, la Settantesima e Park Avenue, vivono i ricchi del mondo, tutta gente che viaggia moltissimo e che conosceva la Bottega di Verona. Uno dei giornalisti di Usa Today l’anno scorso ci ha definiti un miracolo, perché anche i grandi brand fanno fatica ad imporsi durante i primi tre anni di apertura. A New York ci sono 6000 ristoranti italiani, ma noi siamo stati percepiti come qualcosa di diverso per l’attenzione alle tradizioni del Nord Est italiano, e di Verona in particolare. Hanno riconosciuto che il risotto all’Amarone non esisteva prima che lo portassimo noi, così come i bigoli all’anatra. Poi c’è stata la grande carta dei vini. Ho voluto portare lì le mie riserve, ed ora abbiamo un’offerta di 2000 etichette. La mescita è come qui da noi: c’è una lavagna che riporta i vini, e anche questo rappresenta, in America, una grande novità, che è piaciuta.
Chi è il vostro cliente tipo a New York?
Noi siamo giudicati “expensive” per New York, quindi costosi, ma questo, in America, ha un significato positivo, è un pregio, non un difetto. Nella Quinta e nella Cinquantanovesima non puoi essere non caro. Comunque, un po’ per bravura e un po’ per fortuna, siamo stati immediatamente presi d’assalto dai grandi nomi. Hillary Clinton organizza spesso i suoi ricevimenti da noi, così come Nancy Pelosi, il senatore dello stato, e molti grandi attori. Naturalmente quando si muovono questi personaggi, il New York Times pubblica degli articoli, riportando il nostro indirizzo e numero di telefono. Una volta è stato da noi un senatore dello stato, che aveva degli ospiti valutati dal New York Times intorno ai 100 miliardi di dollari. Sembra strano, ma nel giro di cinque ore per pura emulazione abbiamo raccolto ordinazioni per otto parties. Oggi come oggi, il nostro è un brand in America.
Anche qui in Italia, comunque, la Bottega del Vino lo è ...
Certo, anche se va sottolineato che qui godiamo di cinquecento anni di storia, mentre in America si parla di tre anni e mezzo. È ben diverso. Qui da noi è più facile dire chi non è passato che non chi c’è stato. Comunque, al mio arrivo, ventidue anni fa, davanti ad una tendenza negativa frutto di scelte discutibili, ho lavorato per riportare la Bottega alla sua tradizione. Alla fine i veronesi sono tornati a mangiare i bocconcini e a bere qualche bicchiere, com’è nella storia del locale, da sempre. Inoltre ho puntato, doverosamente, sulla selezione dei vini, anche se non mi aspettavo ci venisse assegnato il grande Award di Wine Spectator, come è accaduto. L’incoraggiamento è venuto dal trend sempre positivo del locale, che ha continuato a crescere grazie al solo passaparola. Ho trasposto questo mio sistema anche negli Stati Uniti, e vedo che anche lì è vincente.
Per quanto riguarda la cucina?
La Bottega del Vino è la tradizione, la storia di Verona, per cui i piatti che rappresentano la città sono permanentemente in menù, a prescindere dalle stagioni, dalla pastisada, alla pasta e fasoi, al baccalà. Naturalmente lo chef ha piena libertà di proporre i piatti del giorno che preferisce, magari sbizzarrendosi con il pesce, però la base è tipicamente veronese. Per quel che mi riguarda, io sono carnaciniano e sostengo, tra le altre cose, che le trippe sono un piatto da ristorante perchè richiedono molto più tempo e perizia nella preparazione rispetto, per esempio, a un filetto alla griglia che chiunque sa cucinare. Per fortuna molti la pensano come me. Non amo particolarmente i premi, però ne ho gradito uno in particolare, quello di Veronelli, che mi ha dedicato il suo Sole. Mi ha fatto molto piacere perché è stato assegnato al brasato all’Amarone, un piatto forte, nostro, di casa, contadino, del territorio e perché rappresenta la mia filosofia. Fare un grande brasato non è facile. Se non ci fossero persone che, come me, tengono alla cucina della tradizione, nel giro di una, due generazioni, appiattiremmo tutto, andremmo tutti a mangiare hamburger e non sapremmo più cosa significano piatti come le trippe alla parmigiana. In quest’ottica la Bottega del Vino è volutamente un baluardo.
Per quanto riguarda il personale?
Alla Bottega lavorano una trentina di elementi. È per me motivo di orgoglio avere collaboratori che sono qui dal primo giorno di apertura e sono per me colleghi, fratelli. Si è creato un bellissimo team, che sente la Bottega come qualcosa di proprio. Credo che lo stipendio conti, però credo anche che la soddisfazione sia altrettanto importante. In America, dove lavorano più di sessanta persone, l’unica difficoltà che abbiamo avuto è stata mettere insieme un tal numero di individui diversi, che, non conoscendosi, hanno dovuto iniziare a lavorare e collaborare tra di loro. Ora abbiamo il settanta per cento di lavoratori italiani, lo chef è pugliese, e così via.
Per il futuro possiamo immaginare che il cammino proseguirà così ...
La strada continuerà sicuramente così. La cultura, il cibo e i vini italiani hanno le porte aperte in tante zone del mondo, per cui siamo invitati spesso a ripetere l’esperienza americana in altre zone del mondo, ma si vedrà in futuro.

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