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REPORT

Capire il passato (ed il presente) per costruire il futuro del mercato globale del vino

“State of the International Wine Market in 2022”: il surplus produttivo è una costante, i consumi sono polarizzati, Cina e Generazione Z le incognite

Forse mai come in questo momento storico, c’è bisogno di fare ordine nella storia, più e meno recente, del commercio globale di vino, per provare a capire, lucidamente, cosa riserva il futuro ad un comparto, che nelle enormi difficoltà di un presente compresso dal calo dei consumi, dall’inflazione e dalle conseguenze dell’invasione russa in Ucraina, rischia di perdere la bussola. È, in qualche modo, l’obiettivo del report “State of the International Wine Market in 2022: New market trends for wines require new strategies”, curato da Rafael Del Rey dell’Observatorio Espanol del Mercado del Vino (Oemv) e dal professor Simone Loose della Geisenheim University, analizzando ed incrociando i dati dell’Oemv e delle tante ricerche firmate dall’Università tedesca, insieme alla ProWein.

Prima di tutto, facendo un rapido salto indietro: fino agli anni Settanta meno del 15% del vino consumato nel mondo veniva scambiato tra diversi Paesi, e nel 2022 questa percentuale era più che triplicata, arrivando al 46%. Quindi, quasi una bottiglia di vino su due viene ora consumata in un Paese diverso da quello in cui è stata prodotta. A guidare il cambiamento sono state per prime Italia e Francia, seguite dalla Spagna, dopo il suo ingresso nella UE (nel 1986), e quindi dai Paesi del Nuovo Mondo e dell’Est Europa. Le esportazioni enoiche, così, sono arrivate a registrare, nei primi 11 anni del 2000, una crescita annua del 4,3%, per poi rallentare drasticamente, fino ad un flebile 0,4%. In maniera quasi speculare, tra il 2000 e il 2010 i prezzi medi sono rimasti costanti, per cambiare improvvisamente marcia e crescere di poco più del 4% ogni anno, passando da 2,32 euro al litro nel 2011 a 3,59 euro nel 2022. Dal 2000 al 2022, quindi, il valore del commercio enoico globale è passato da 14 miliardi di euro a oltre 37 miliardi di euro.

Sull’andamento dei dati più recenti, secondo gli autori del report, la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina avrebbero avuto un impatto minimo: nel 2022, nonostante le incertezze causate dall’invasione russa dell’Ucraina, dalla crescente deglobalizzazione e dall’inflazione generalizzata, il valore complessivo del commercio mondiale di vino è infatti aumentato del 9,3%, mentre i volumi sono diminuiti del 4,5%. È la premiumizzazione, che premia le produzioni di Francia e Italia molto più di quanto non faccia con quelle della Spagna, dove il prezzo medio è rimasto quasi inalterato. Al contempo, l’andamento delle produzioni di Italia e Francia sui mercati è profondamente diverso. Il vino francese è molto più sensibile al contesto economico internazionale, segnando crescite rapidissime e cali altrettanto fulminei: il valore dell’export è cresciuto da meno di 6 miliardi di euro nel 2009 a sfiorare i 10 miliardi nel 2019, e dopo essere precipitato a 8,7 miliardi di euro nel 2020 è rimbalzato fino a 12 miliardi di euro nel 2022. L’Italia mostra invece un aumento del valore dell’export più stabile e costante, ed una minore influenza delle crisi economiche.

Un altro aspetto fondamentale, nel lungo termine, è stato lo spostamento geografico dei consumi, con il vino che nel tempo è diventato di moda in Paesi che tradizionalmente preferivano birra e superalcolici, perdendo contestualmente quote di mercato proprio nei suoi mercati tradizionali. Oggi nelle aree in cui il vino non è una bevanda tradizionale, come la maggior parte dei Paesi dell’America Latina o dell’Africa, il valore delle importazioni continua a crescere più rapidamente che nelle regioni vinicole più tradizionali, come l’Europa. Si parla comunque di due Continenti che, insieme, rappresentano meno del 5% del mercato globale del vino, che non riescono quindi a compensare il calo dell’Europa. Il merito di questa globalizzazione dei consumi, secondo i ricercatori, deriva dalla forza dei marchi territoriali di Francia e Italia: Bordeaux, Borgogna, Côte Rôtie, Provenza, Champagne, Barolo, Brunello, Chianti, Etna, contro cui fatica a competere la Spagna.

Per quanto sia esteso, il mercato globale, comunque, negli ultimi 25 anni, si è sempre consumato meno vino di quanto ne è stato prodotto, con l’eccezione del 2017, quando produzione e consumo raggiunsero un punto di equilibrio. Questo surplus annuale (ben esemplificato, in Italia, dall’attuale condizione delle cantine, dove con la vendemmia alle porte sono stoccati ben 45,5 milioni d ettolitri di vino) è una caratteristica permanente del settore, e non mostra segni di risoluzione. Nel periodo 2002-2021 il surplus medio è stato di 28,5 milioni di ettolitri, e dal 2017 al 2021 la media è stata addirittura di 31,8 milioni di ettolitri.

Nel frattempo, è cambiata la distribuzione dei consumi: tra i primi cinque mercati in termini di valore, il Regno Unito, e in modo più evidente gli Stati Uniti, sono cresciuti molto più velocemente dal 2000 ad oggi rispetto a Germania, Canada e Giappone. Anche Russia, Paesi Bassi e Cina sono stati i protagonisti, ma le vendite verso Pechino sono diminuite in modo spettacolare dopo aver raggiunto il picco nel 2017. Nel 2022, le spedizioni verso la Cina, a valore, erano di 1,3 miliardi di euro più alte che nel 2000, ma le stime preliminari dell’OIV per il 2022 evidenziano che il consumo cinese è sceso a 8,8 miliardi di ettolitri, la cifra più bassa dal 1998.

Quello cinese è ormai diventato un vero e proprio rebus per l’industria enoica mondiale, che sta ancora cercando di capire se si tratti di una vera e propria marcia indietro o se sia invece uno stop temporaneo. Secondo il report, è difficile prevedere lo sviluppo futuro del consumo di vino e delle importazioni in Cina. I dati dell’IWSR indicano un aumento delle vendite di alcolici importati con la ripresa dei consumi fuori casa, ma siccome il consumo di vino in Cina è strettamente legato ad un atteggiamento positivo nei confronti dello stile di vita occidentale, non è chiaro quali effetti avranno i cambiamenti geopolitici in corso, la deglobalizzazione, lo sviluppo della produzione interna e l’invecchiamento della popolazione cinese sulle future importazioni di vino. Guardando ai volumi, la storia recente degli Usa racconta una dinamica che, almeno in teoria, potrebbe essere ricalcata proprio dalla Cina: dopo aver toccato i 9 litri di vino pro capite nel 1985, il consumo statunitense è sceso nei 21 anni successivi fino a toccare il minimo di 6,3 litri nel 1992, prima di tornare a crescere, nel 2007.

Se la Cina desta preoccupazione, la disaffezione per il vino da parte delle giovani generazioni di consumatori rischia di rivelarsi sconfortante. Secondo il California Wine Institute, nel 2022 la disaffezione dei Millennials e della Gen Z ha fatto precipitare i consumi di vino statunitensi, a 10,8 litri pro capite, la cifra più bassa dal 2015. Diventa difficile, in questo modo, secondo Rafael Del Rey ed il Professor Simone Loose, immaginare che in futuro gli Stati Uniti possano sostenere gli attuali livelli delle importazioni enoiche.

Cambiando le generazioni, cambiano i trend di consumo, non solo a livello quantitativo: se per lungo tempo il vino è stato sostanzialmente rosso, fruttato e potente, oggi il gusto internazionale guarda a vini più leggeri, freschi, come racconta la crescita dei consumi dei vini bianchi e degli spumanti, e la contrazione del mercato dei rossi, anche se in Usa e Gran Bretagna la popolarità dei grandi rossi affinati in barrique è tutt’altro che scemata. Più ancora dello stile, però, potrebbe essere il prezzo il vero volano del cambiamento. La nicchia dei vini premium e super-premium rappresenta il 10-15% dei volumi, ma esiste un ampio segmento di consumatori altamente sensibili al prezzo, che preferiscono vini più popolari e facili vini da bere - più leggeri, più freschi, più dolci, bianchi, rosati, frizzanti - a prezzi molto competitivi. Una quota di questi consumatori, inoltre, ha ridotto il consumo di vino e abbassato il prezzo medio di acquisto, aumentando la concorrenza in questo ampio segmento.

I beneficiari di questa tendenza saranno così le grandi aziende, quelle con un portafoglio di marchi noti al consumatore, e le imprese più efficienti, in grado di fornire prodotti economicamente vantaggiosi. I produttori con costi troppo alti per sostenere la concorrenza sui prezzi ed un profilo troppo basso per stare sulla fascia premium, rischiano invece di restare ai margini del mercato. In questa cornice, neanche il tradizionale sistema delle Dop europee riuscirebbe ad offrire garanzie, perché i consumatori dei Paesi non produttori sono più interessati al gusto che a questi indicatori oggettivi di qualità.

È, questo, un aspetto che apre un ulteriore riflessione. Secondo il report, infatti, i vini Igp e i vini monovarietali, che possono reagire in modo più flessibile ai cambiamenti delle preferenze del mercato, sono meno colpiti dalla crisi attuale rispetto ai prodotti tradizionali, e quindi alle Dop fortemente regolamentate, come Bordeaux e Rioja. All’interno della famiglia delle Dop, ci sono comunque grandi differenze, con vincitori, ossia i vini premium e super-premium, capaci di aumentare le vendite e i prezzi medi, e vinti, quei vini tradizionali che prendono di mira un segmento di consumatori più popolare ed in sofferenza, finendo per soffrire di un forte eccesso di offerta, che ha spinto alcuni territori, come la Laguedoc-Roussillon, a richiedere la distillazione di crisi alle autorità europee e nazionali.

In un cerro senso, è la “classe media” del vino a rischiare maggiormente, e questo vale sia per i produttori che per i territori. Secondo gli autori del report, infatti, se il segmento dei vini Dop di alta qualità è ben delimitato e non cresce ulteriormente, per le produzioni regionali e locali istituire una nuova Dop potrebbe non essere più un obiettivo desiderabile, come è stato per lungo tempo. In definitiva, i nuovi consumatori dei nuovi Paesi, così come le ultime tendenze di consumo, stanno costringendo le aziende a seguire nuove strategie per essere economicamente sostenibili nel lungo periodo. Le piccole e medie imprese familiari potranno scegliere se puntare su prodotti di alta qualità o su prodotti commerciali economicamente vantaggiosi, mentre le grandi aziende internazionali potranno scegliere di avere un portafoglio di prodotti mirati ai diversi segmenti, ma avere ben chiare le preferenze dei consumatori sarà fondamentale per avere successo nel mercato del vino del futuro.

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