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LA RICORRENZA

Chianti Classico, il Consorzio festeggia 100 anni di bellezza e un futuro tra Unesco e sostenibilità

A Palazzo Vecchio, a Firenze, si è celebrato un anniversario prestigioso, ma parlato anche delle prossime sfide con il “gotha” del settore

Uno dei territori più iconici e rinomati del mondo, sinonimo di blasone e prestigio, ma anche per numeri ed immagine, tra Firenze “culla” del Rinascimento, e Siena, città medievale per eccellenza, e che, per molti, è anche il più bello, tanto da esser candidato all’Unesco (con il “Sistema delle Ville Fattorie nel Chianti Classico”), con un fascino capace di penetrare, ciclicamente, nelle nuove generazioni di wine lovers anche perché in grado di identificarsi con una regione, la Toscana, che vanta pochi eguali a livello paesaggistico, culturale e, ovviamente, nella produzione di grandi vini rossi. Questo è il Chianti Classico, 6.800 ettari vitati di bellezza, 486 produttori, di cui 345 fanno l’intera filiera, 35-38 milioni di bottiglie l’anno che finiscono in 160 Paesi del mondo, Usa, Italia e Canada in testa, per un valore economico di distretto che, con il vino come perno, è stimabile intorno a 1 miliardo di euro. Un appeal crescente, come dimostrano anche i 7 vini del territorio inseriti nella “Top 100” 2023 by “Wine Spectator”, e con un posizionamento sempre più alto sui mercati, effetto di un prezzo medio cresciuto del 7% nel 2023 sul 2022, e del 13% sul 2021, anche grazie all’effetto traino della “Gran Selezione”, il vertice della piramide qualitativa del Chianti Classico (composta da Riserva ed Annata) ed essenza dell’essenza del territorio (che, nel 2024, festeggia 10 anni dall’arrivo sul mercato) alla quale, con la vendemmia 2023, si sono aggiunte le 11 Unità Geografiche Aggiuntive in etichetta (realizzate dal cartografo del vino Alessandro Masnaghetti con Enogea, ndr) a conferma di un territorio, quello del Gallo Nero, che guarda al futuro con fiducia e la serenità dei numeri, nonostante, a livello globale, il mercato sembra non sorridere più come prima ai vini rossi. Ma la storia ha sempre il suo peso, e quella del Consorzio del Chianti Classico è iniziata 100 anni fa, ovvero il 14 maggio 1924, grazie a 33 lungimiranti viticoltori che decisero di investire nell’aggregazione perché solo così si poteva gestire una produzione che potesse parlare “di” e “ad” un intero territorio. Le origini del “mito”, però, partono da molto più lontano, dal bando del Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici che delimitava pionieristicamente la zona di produzione del Chianti Classico nel 1716, proseguendo con l’invenzione della “formula perfetta” del Chianti Classico da parte del “Barone di Ferro” Bettino Ricasoli nel Castello di Brolio nel 1872. Ed eccoci ad oggi, con la celebrazione “secolare” dalla fondazione del Consorzio più antico d’Italia: quello del Chianti Classico, che ha ripercorso il passato e guardato al futuro dal Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio a Firenze, dove è raffigurato, con il suo simbolo, il Gallo Nero, dal grande pittore Giorgio Vasari nel soffitto tra le allegorie dei domini dei Medici.
Un centenario che il Consorzio del Chianti Classico ha voluto celebrare aprendosi al confronto sui temi del futuro ed in particolare su quello della sostenibilità: sarà questo, infatti, il requisito su cui continuare a scrivere pagine di storia con la strada indicata da un apposito “Manifesto” presentato per l’occasione. Una giornata tra passato e futuro (“Back to the Future”, il titolo dell’evento) che è partita da un confronto sulla “sostenibilità e identità territoriale” con gli interventi dei rappresentanti di alcune tra le più illustri denominazioni e grandi vini del mondo: Champagne (con Maxime Toubart e David Chatillon, co-Presidenti del Comitaté Champagne), Porto (con Gilberto Igrejas, Presidente Port and Douro Wines Institute), Oregon (era presente Morgen McLaughlin, Direttrice Williamette Valley Wineries Association & Wine Foundation Oregon), Barolo (è intervenuto Matteo Ascheri, presidente uscente del Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe Dogliani), Borgogna (Thiébault Huber, Presidente della Confédération des Appellations et des Vignerons de Bourgogne). Ascheri si è concentrato sul concetto di sostenibilità inteso, in primis, come il rispetto per l’ambiente e le persone, illustrando quanto fatto negli ultimi anni dalla denominazione che ha guidato. “In quest’ottica si sono sviluppati progetti in relazione alla salvaguardia dell’ambiente come quello di logistica sostenibile Ecolog che prevede di ridurre i consumi di Co2 nelle colline delle Langhe diminuendo e ottimizzando i trasporti di merci da e per le cantine sia a livello di trade che di consumer. Dall’altra parte, abbiamo avviato diversi tavoli con gli enti locali e regionali per affrontare il problema dello sfruttamento della manodopera in vigna, tema caldo in tutti i settori agricoli (e non solo) in Italia. Per quanto riguarda le Langhe il problema è ancora fortunatamente sotto sviluppato, ma è necessario comunque agire per azzerare le problematiche insorte e anticiparne delle altre. L’Accademia della Vigna è una delle soluzioni che abbiamo voluto sostenere a tal proposito per formare e favorire l’inserimento di personale direttamente all’interno delle aziende”.
Gilberto Igrejas, presidente Port and Douro Wines Institute, ha spiegato che “la nostra regione copre il 41% del totale delle esportazioni di vini e il 60% dei vini Dop portoghesi. In Portogallo, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Stati Uniti, Belgio troviamo i mercati chiave per Porto e Douro. Nel 2023 il fatturato del settore è stato di 18 milioni di euro ed il mercato può raddoppiare queste cifre. La nostra regione affronta alcuni rischi, in termini di salute e sicurezza, di sostenibilità economica, ma anche legati agli ecosistemi. Abbiamo avviato importanti iniziative per proteggere la biodiversità ed i prodotti che sono molto importanti per affrontare i cambiamenti climatici, che sono molto intensi e forti in tutto il mondo. Continuiamo a lavorare sulle piante, sui terreni, ma anche sulla continuità. Il nostro lavoro si basa su quattro pilastri: vita, produzione, nutrizione e ambiente. Insieme allo sviluppo globale, questi sono i punti chiave della strategia generale del Douro, della nostra regione che è stata riconosciuta nel 2001 come patrimonio dell’Unesco. Vogliamo quindi ridurre l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, per questo siamo in linea con gli obiettivi di tutela della biodiversità, e l’impatto delle emissioni di carbonio e, per i nostri agricoltori e produttori, migliorare le materie prime, ma anche essere custodi di biodiversità. Per esempio, abbiamo sensori IoT che sono stati sparsi in tutta la regione per misurare in tempo reale l’umidità e la temperatura dell’aria”.
Morgen McLaughlin, direttore esecutivo Willamette Valley Wineries Association (Oregon), ha ricordato che “quando i pionieri viticoltori dell’Oregon immaginarono di piantare uva e produrre vino nella fertile Willamette Valley, avevano una visione che andava oltre la produzione di Pinot Nero. Hanno visto qualcosa che pochi altri hanno visto, uno degli ultimi grandi luoghi dove la terra non era stata rovinata da sostanze chimiche, pesticidi e altre pratiche agricole dannose. Videro un moderno “Giardino dell’Eden” dove l’agricoltura in generale e la viticoltura in particolare, potevano fiorire in armonia con la terra e le persone che la abitavano. L’Oregon non rappresentava solo un luogo ideale per la viticoltura, ma l’ultima frontiera in cui i viticoltori potevano esercitare il loro mestiere in un ambiente biologicamente diverso ed ecologicamente equilibrato. E fecero una promessa a se stessi e alle generazioni future: avrebbero prodotto vino della massima qualità possibile, e lo avrebbero fatto in completa sinergia con la natura. Nel vino il territorio è l’ingrediente chiave. Ogni bottiglia esprime una caratteristica autentica del suolo, del clima e della temperatura della regione, nonché l’unicità dei coltivatori e dei vinificatori locali. Nel 2009 la Willamette Valley Wineries Association ha aderito alla Dichiarazione per proteggere il luogo e l’origine del vino e nel 2021 è stata formalmente riconosciuta dall’Unione Europea attraverso l’approvazione dello status di Indicazione Geografica Protetta (Igp): è stato il culmine di quasi un decennio di lavoro. Tra le regioni vinicole degli Stati Uniti solo la Napa Valley e la Willamette Valley vantano questa distinzione. E più della metà della superficie coltivata a vigneto dell’Oregon è certificata come coltivata in modo sostenibile”.
Dagli Usa alla Francia, patria di grandi rossi, ma anche la regina delle bollicine grazie allo Champagne, Maxime Toubart, copresidente Comité Champagne, ha ricordato che “siamo stati nel 2003 la prima filiera viticola al mondo a calcolare l’impronta carbonica. Le emissioni di Co2 per singola bottiglia sono state già ridotte del 20%, l’obiettivo è raggiungere il Net-Zero entro il 2050. La Champagne è anche la prima zona viticola della Francia ad avere attuato la “confusione sessuale” con conseguente eliminazione, quasi totale, dei trattamenti insetticidi. Oggi il 69% delle superfici della denominazione è in possesso di una certificazione ambientale e la filiera punta a ottenere il 100% entro il 2030”. L’altro copresidente del Comité Champagne, David Chatillon, ha aggiunto che “con oltre 6 miliardi di euro di giro d’affari lo Champagne è la prima denominazione di origine del mondo a valore. Lo Champagne occupa lo 0,5% della superficie vitata mondiale e rappresenta il 10% a volume e il 28% a valore del consumo mondiale di vini effervescenti. La creazione di valore è strettamente connessa a un’idea di responsabilità d’impresa che la filiera persegue non solo in campo ambientale, ma anche sociale. In questo contesto l’iscrizione dei “Coteaux, Maisons et Caves de Champagne” nella lista dei Patrimoni Unesco diventa anche uno strumento per proteggere e valorizzare un patrimonio collettivodi cui è stato riconosciuto il “Valore Universale Eccezionale””.
Per Thiébault Huber, presidente Confédération des Appellations et des Vignerons de Bourgogne, terroir i cui famosi “climats”, gli appezzamenti che costituiscono il territorio vitivinicolo, sono patrimonio Unesco dal 2015, ma anche con una tradizione che ha 2.000 anni di storia, “i cambiamenti climatici, la siccità, i periodi di gelo, l’eccesso di acqua, le temperature molto elevate, sono fattori che ci hanno fatto riflettere sulla disposizione dei nostri vigneti, dobbiamo preservare queste caratteristiche tipiche, queste unicità. I vigneti e i viticoltori della Borgogna volevano continuare a fare come nel Dopoguerra. Abbiamo diverse tipologie di Pinot Nero e Chardonnay (i due vigneti simbolo della regione, ndr), ma ora abbiamo deciso di creare una sorta di “carta d’identità” per ogni vigneto al fine di comprendere meglio le caratteristiche specifiche e più importanti legate al cambiamento climatico, perché vogliamo preservare le caratteristiche tipiche dei nostri vini. Per questo motivo, abbiamo intenzione di realizzare micro-interventi e lanciato un progetto molto ambizioso e collettivo che stiamo realizzando insieme alle regioni di Champagne, Beaujolais e Giura, attraverso la costruzione di una serra di 4.000 metri quadrati per proteggere le condizioni ambientali delle nostre piante durante la clonazione. In questa serra saranno realizzati diversi settori, uno per ogni regione. I lavori termineranno alla fine di giugno e la prima pianta vi sarà messa all’inizio del 2025, in modo che nel 2027 saranno tutte disponibili. La sostenibilità implica la trasmissione, le sfide tecniche, la qualità e le condizioni fitosanitarie. Dobbiamo proteggere la nostra regione se vogliamo lasciarla alle nuove generazioni: è questo l’obiettivo di chiunque lavori nei vigneti”.
A portare i saluti istituzionali anche il Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che ha descritto il Chianti Classico come un “connubio unico tra la terra, i suoi meravigliosi frutti e l’instancabile lavoro dei vignaioli che ha plasmato il territorio rendendolo uno dei paesaggi più belli e iconici al mondo”. La novità della giornata è stata rappresentata dal lancio del “Manifesto di Sostenibilità”, e quindi dalla visione di un Chianti Classico sostenibile sia come sistema imprenditoriale sia come mezzo di salvaguardia del territorio, per poterlo restituire intatto alle generazioni future. “Abbiamo atteso fino ad oggi ad affrontare, come Consorzio, il tema così attuale della sostenibilità, per potergli dare una caratterizzazione, un’identità specifica che fosse in grado di evidenziare ed esaltare i caratteri distintivi della nostra denominazione e del suo territorio di produzione - ha spiegato Giovanni Manetti, presidente Consorzio Chianti Classico, e alla guida di Fontodi- un “Manifesto” che siamo certi i nostri viticoltori accoglieranno e renderanno vivo e attivo, fino a farlo diventare un vero impegno di sostenibilità del nostro territorio e delle sue produzioni”. Il “Manifesto di Sostenibilità” del Chianti Classico propone, infatti, una corposa serie di regole con l’intento di ridurre l’impatto ambientale, tramite una gestione del territorio, delle superfici produttive e dei boschi, volta a preservarne le caratteristiche, le potenzialità, il paesaggio e la biodiversità, e di valorizzare la crescita e l’affermazione delle risorse sociali e culturali di questo territorio unico al mondo. Le regole d’indirizzo, fanno sapere dal Consorzio, sono numerose, ambiziose e distintive della denominazione e del suo territorio. Il lavoro del Consorzio include elementi innovativi ispirati dallo studio del paesaggio culturale del Chianti Classico avviato nel 2018 dalla Fondazione della Tutela del Territorio Chianti Classico per la candidatura Unesco, che ha contributo ad esaltare i tanti volti di questo territorio che lo arricchiscono, che accompagnano la produzione del vino Chianti Classico e da sempre impegnano le aziende oltre alla viticoltura. Tra essi, i viticoltori del Gallo Nero che già hanno compiuto moltissima strada nella direzione della sostenibilità, potranno scegliere quelle che maggiormente si adattano alle loro caratteristiche specifiche, alla loro identità, ai loro programmi. “Un progetto ambizioso che pone il patrimonio culturale del territorio come suo eccezionale fattore identitario che accompagna il vino Chianti Classico, aumentando sempre più la sua tipicità e la sua territorialità, ma anche inclusivo per far crescere, tutti insieme, la sostenibilità territoriale secondo un cronoprogramma che permetterà ai viticoltori di interpretare nel tempo il percorso che il Consorzio vuole tracciare”, ha aggiunto Carlotta Gori, Direttrice del Consorzio del Chianti Classico.
Tra gli interventi nella tavola rotonda, condotta dal vicedirettore e firma del “Corriere della Sera”, Luciano Ferraro, quelli di una vera “leggenda” del territorio, Piero Antinori, presidente onorario Marchesi Antinori, il marchio del vino italiano più ammirato al mondo, figura di riferimento che fatto la storia dell’enologia internazionale, e di Monica Larner, firma per l’Italia di una delle voci più autorevoli della critica mondiale, ovvero quella di “The Wine Advocate - Robert Parker”. Il Marchese Antinori ha parlato di “rivoluzione”, in riferimento alla sostenibilità da quando, era il 1967, ha iniziato a lavorare in azienda e ad occuparsi in prima persona di Chianti Classico. “La sostenibilità - ha detto Piero Antinori - all’epoca era quasi sconosciuta, oggi ne parliamo forse troppo, si abusa di questo termine, ma la sostenibilità è una cosa completamente diversa e per fortuna, oserei dire. Per quanto riguarda il Chianti Classico, le aziende sono quasi tutte a conduzione familiare e per definizione sono molto sensibili alla sostenibilità. Perché sono sempre attente al futuro, alle prossime generazioni e cercano sempre, per natura, per definizione, di mantenere e creare le condizioni affinché le prossime generazioni siano in grado, in futuro, di fare vini che siano buoni come quelli che produciamo noi, o addirittura migliori di questi. Questo è dovuto anche al fatto che i consumatori ne sono consapevoli e pretendono la sostenibilità, ma anche i viticoltori ne hanno compreso da tempo l’importanza”. Sostenibilità che ha guidato anche gli investimenti di Marchesi Antinori, come dimostra la Cantina Antinori nel Chianti Classico, eletta, in passato, come la “Cantina più bella al mondo”. “Assolutamente - conferma Piero Antinori -, è stata improntata su questo aspetto. Una sostenibilità da diversi punti di vista, prima di tutto in termini di paesaggio, perché credo che quello toscano, come abbiamo spesso detto, sia unico nel suo genere, è meraviglioso e questo è un incredibile valore aggiunto per il nostro prodotto. E la natura ci ha fornito, ci ha regalato, questo paesaggio, ma che è anche il risultato dell’intervento dell’uomo che lo ha modificato con diverse opere nel corso degli anni, come nel caso delle chiese, dei castelli e anche dell’agricoltura. Chiunque ha lavorato nel Chianti Classico, lo ha fatto con una particolare attenzione al paesaggio, poi l’agricoltura è cambiata. Sono state introdotte nuove tecniche e anche il paesaggio è cambiato, ma credo che sia migliorato. Ecco perché penso che, come operatori del Chianti Classico, abbiamo la responsabilità di cercare di mantenere questa bellezza: dobbiamo proteggere questo bellissimo paesaggio perché si basa sull’armonia, sull’integrazione. Non c’è nulla che stona o che lo danneggi, abbiamo cercato di seguire la tradizione. E credo che anche i consumatori ed i visitatori apprezzino questo principio che abbiamo voluto rispettare”.
Monica Larner si è focalizzata sul tema ambientale e l’interesse che questo genera tra i lettori appassionati di vino. “Abbiamo un target di lettori senior, principalmente uomini. E il loro potere d’acquisto è molto elevato, spendono più di 2.000 dollari al mese in vini, ma abbiamo scoperto che quelli sostenibili non sono una priorità in questo momento. Abbiamo identificato 16 punti, come la valutazione, il suggerimento degli amici, la reputazione di una specifica area di produzione, il vitigno: i vini biologici si sono classificati soltanto alla posizione n. 13. Ma abbiamo fatto lo stesso con i nostri lettori più giovani e la loro dinamica è totalmente diversa, possiamo quindi dire che ci troviamo di fronte a un divario generazionale per quanto riguarda questo argomento. Tuttavia, noi di “The Wine Advocate” ci siamo anche concentrati sul modo in cui possiamo contribuire a cambiare questa situazione. Abbiamo quindi creato il nostro “manifesto” e stabilito le linee guida perché non è possibile per noi esaminare e dare un’opinione su tutti i vini del mondo, ma dobbiamo considerare prima di tutto la qualità. Questo “manifesto” include il rapporto con le cantine sostenibili, e abbiamo anche stabilito un modo di premiare questi vini. In altre parole, vogliamo parlare di vini che hanno un’anima, in cui la qualità gioca un ruolo fondamentale ed è strettamente legata alla tutela dell’ambiente. Prima di tutto abbiamo creato un filtro nel nostro database, in cui ogni vino certificato come biologico o biodinamico viene segnalato, in modo che il nostro lettore possa cercarlo. Ma abbiamo anche creato un Premio chiamato “Green Emblem Award” che viene assegnato alle aziende basandoci su tre pilastri: l’importanza dell’enologia e della viticoltura, quindi la tutela del suolo, la promozione della biodiversità, la riduzione al minimo dell’uso di prodotti chimici; poi c’è la gestione aziendale che deve avere un approccio olistico e, infine, dobbiamo individuare cantine che siano anche ambasciatrici nei consumatori della cultura delle loro comunità”.
E anche il teatro-simbolo di Firenze, il teatro all’italiana per eccellenza, monumento nazionale, dove si sono esibiti e continuano a solcare il palco i più grandi musicisti ed attori, guidati dai più famosi registi, dove sono i nati i palchetti, il melodramma e persino il telefono, e che, da oggi, sarà ricordato anche per essere stato il palcoscenico delle celebrazioni dei 100 anni del Consorzio Chianti Classico, il più antico d’Italia, in un reciproco omaggio tra Firenze, il suo territorio e i suoi grandi vini, ovvero il Teatro della Pergola, ha fatto da sfondo alle celebrazioni. Che, ora, proseguono le iniziative per il Centenario del “Gallo Nero”, a partire da quelle di impronta storica, come la mostra “Chianti Classico Century”, che ripercorre questi primi 100 anni del Consorzio attraverso il pensiero dei suoi 19 presidenti. Un’occasione di racconto corale a cui si uniscono anche le voci di 170 produttori, che si presentano in brevi reel sui social media del Gallo Nero per tutto il 2024, per dare un volto e una storia personale a ciascuna etichetta. Ad arricchire la narrazione parteciperanno anche figure di spicco del mondo del vino con il progetto “100 voices for Chianti Classico”, rivolto principalmente ai mercati stranieri, i cui principali attori prenderanno la parola per condividere un aneddoto, un loro ricordo del nostro vino e del suo territorio. Un anniversario celebrato, tra i vari progetti, anche attraverso la memoria del percorso compiuto, ricostruita nel libro “Sulle tracce del Gallo Nero” scritto da Daniele Cernilli in collaborazione con Paolo De Cristofaro. Inoltre l’immagine del Consorzio è stata impreziosita da un nuovo logo disegnato per l’occasione, che contraddistingue tutte le iniziative e i materiali, e una campagna pubblicitaria che raccoglie gli scatti di quasi 200 soci. “A distanza di un secolo - conclude Manetti - i soci del Consorzio sono diventati 486, ma gli obiettivi che ci accomunano sono gli stessi del 1924. Proteggere il vino che nasce da un territorio altamente vocato e di rara bellezza e accompagnare i viticoltori nell’affrontare i mercati di tutto il mondo sotto l’insegna comune del Gallo Nero”.

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