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BILANCIO

Con le uve in cantina (e i primi vini), un viaggio tra le denominazioni del vino del Belpaese

La vendemmia 2020 è praticamente terminata, ed una nuova annata è pronta a farsi largo. La fotografia di WineNews: grande qualità e quantità in calo

La vendemmia è alle battute finali, le uve sono in cantina già da qualche giorno se non da settimane, in diversi territori chiave della viticoltura italiana il vino è già pronto, in attesa del periodo di affinamento ed eventualmente di invecchiamento, che lo porterà in bottiglia. Per ora, la 2020 è un’annata in fasce, che a livello qualitativo è stata capace di regalarsi picchi importanti, ma le premesse della viglia, in termini quantitativi, non sono state rispettate. Nulla di grave, siamo comunque ben dentro la media statistica degli ultimi cinque anni, e comunque la straordinarietà del momento fa sì che quello delle quantità sia realmente l’ultimo dei problemi. Il primo, e a ben vedere praticamente l’unico, dei grattacapi che turba i sonno delle grandi denominazioni del Belpaese - dal Barolo alla Franciacorta, dal Prosecco alla Valpolicella, dal Trentodoc a Bolgheri, dal Chianti al Chianti Classico, dal Brunello di Montalcino al Morellino di Scansano, dal Verdicchio dei Castelli di Jesi e di Matelica al Primitivo di Manduria, dalla Doc Sicilia alla Doc di Castel del Monte - è il mercato, interno ed estero, che deve fare i conti con le chiusure e le restrizioni locali che, a partire dall’Europa, rischiano di fermare (di nuovo) i consumi fuori casa.
WineNews, però, per ora resta virtualmente in cantina, ci sarà tempo per pensare ai grandi temi dell’economia. Nelle botti e nei tini, intanto, prende forma un’annata dalle sfumature assai diverse, ma che gode di un andamento climatico generalmente ottimale, con qualche grado di troppo in alcuni casi, e la grandine ospite sgradita di fine estate, che ha comunque fatto danni limitati. Partiamo, in questo viaggio a tappe, dalla denominazione più preziosa, per quotazioni dei filari e per prezzi delle bottiglie più celebrate, il Barolo. Dove, a fare un primo punto, sono i vignaioli riuniti nell’Associazione Deditus: Azelia, Cordero di Montezemolo, Sandrone, Michele Chiarlo, Pio Cesare, Poderi Gianni Gagliardo, Poderi Luigi Einaudi, Prunotto e Vietti.
“Vorrei che questa vendemmia rappresentasse un atto di riconquista della normalità e consolidamento della positività, con la certezza di un futuro sereno per tutti coloro che vivono seriamente e generosamente il mondo del vino, dice Gianni Gagliardo, presidente dell’Associazione. I cui vignaioli parlano di “una vendemmia sorprendente, dal punto di vista agronomico e gestionale, nonostante le evidenti difficoltà in termini di manodopera e adeguamento dei protocolli di sicurezza.
Il Nebbiolo è un vitigno adatto ai cambiamenti climatici e infatti ha risposto molto bene soprattutto nell’altalenante fase finale della maturazione. Il ciclo della vite è iniziato in anticipo, per poi resistere alle temperature elevate di agosto e dare quel colpo di coda tipico del nebbiolo quando sono arrivate le notti fresche da metà settembre in poi che hanno favorito una maturità fenolica perfetta delle uve, preservandone i profumi. La primavera anticipata ha portato con sé un germogliamento precoce, seguito da temperature più fresche nei mesi di maggio e giugno e decisamente più calde ad agosto ma con una buona escursione termica. La qualità delle uve raccolte è ottima. Sono sane, con un grado zuccherino alto e la giusta maturità fenolica. Chi ha saputo aspettare il momento giusto della raccolta non ha perso il potenziale, cioè la complessità che l’uva nebbiolo porta con sé, potando in cantina un’uva strepitosa. Questo ha reso tutto più semplice anche in cantina con percorsi fermentativi lineari dopo pigiatura e diraspatura. Un profumo di rosa, tipico del nebbiolo, che si sente in pochissime annate, ha accompagnato le uve, dalle bianche alle rosse e i nebbioli in special modo, sin dal loro arrivo in cantina, concludono i produttori di Deditus
Spostandoci in Franciacorta, aspettando ovviamente la primavera per capire la qualità delle basi spumante 2020, a fare un primo bilancio a WineNews è Silvano Brescianini, a capo del Consorzio delle bollicine metodo classico simbolo dell’Italia enoica, ma anche direttore generale della griffe Barone Pizzini. “Fermo restando che i numeri definitivi ed ufficiali arriveranno solo tra qualche settimana, dalle informazioni che ho avuto dalle diverse aziende del territorio direi che la vendemmia è andata bene. Le quantità sono in crescita del 10% rispetto allo scorso anno, in termini qualitativi, in primavera saprò anche dirvi come sono, ma siamo ottimisti. In questo momento non è la vendemmia a preoccuparci, ma il mercato. Avere le cantine piene non ci preoccupa, il nostro è un vino da invecchiamento, ma rischiamo di non poter neanche giocare la partita: se chiudono di nuovo ristoranti e bar, in Italia e all’estero, non possiamo fare il nostro lavoro, e questo è un problema. Speriamo che questo incubo passi alla svelta, non c’è altra soluzione, il momento è difficile, mi auguro che questa sia la coda e che passi in fretta, così da ripartire...”.
L’attesa, in modo diverso, e forse ancora più importante, è anche il leit motiva tra i vigneti della Valpolicella, dovenasce l’Amarone e, come spiega Olga Bussinello, direttrice del Consorzio Vini Valpolicella, “siamo ancora in corso d’opera, perché la raccolta è terminata, ma la vendemmia non è conclusa, aspettiamo i tempi dell’appassimento. Se guardiamo gli ultimi anni, abbiamo anticipato costantemente la raccolta, dalla metà di settembre siamo arrivati a ridosso della fine di agosto, a causa delle estati sempre più calde che accelerano la maturazione dei grappoli. Quest’anno, invece, siamo tornati nella norma della raccolta in Valpolicella, inizio a metà settembre e conclusione nella prima decade di ottobre. È stata una raccolta altalenante, a causa della pioggia, però il caldo degli ultimi 15 giorni ha portato ad una conclusione tutto sommato positiva, in un “annus horribilis”. Non ci sono stati problemi in vigneto - aggiunge la direttrice del Consorzio Vini Valpolicella - e questo ci ha permesso di gestire al meglio la raccolta. Stiamo superando il primo mese di appassimento in fruttaio, teniamo sotto controllo la disidratazione per poi procedere alla vinificazione di Recioto e Amarone, ed è interessante notare come i gradi zuccherini siano a livelli superiori all’anno scorso, quindi in media. Dobbiamo considerare che il cambiamento climatico si vede in ogni aspetto, con eventi meteo imponderabili e temperature medie che si alzano. Di conseguenza, cambia anche il modo di gestire le pratiche tradizionali, dalla vendemmia all’appassimento. Nel complesso - conclude Olga Bussinello - è un’annata difficile soprattutto dal punto di vista economico, ma dal punto di vista del prodotto siamo nella norma. In un parallelismo climatico, l’annata 2020 da un punto di vista agronomico ricorda una delle vendemmie dei primi anni 2000, per andamento in vigna e gestione della raccolta. Quando ci sarà la vinificazione, si capirà quale sarà il giusto termine di paragone a livello enologico”.
Poco distante, nascono i metodo classico del Trentodoc, dove, come spiega il presidente
dell’Istituto Trento Doc, Enrico Zanoni,
“la vendemmia 2020 è iniziata in anticipo rispetto all’anno scorso. Nei vigneti, l’equilibrio vegeto-produttivo si è rivelato molto buono, con grappoli compatti, acidità ottimale e PH bassi. Le temperature, corredate dalla caratteristica escursione termica tra giorno e notte presente in Trentino, hanno determinato una vendemmia abbondante e di qualità. La posizione altimetrica del vigneto, infatti, così come l’escursione termica influisce sulla maturazione delle uve, influenzando l’acidità dei grappoli nel periodo fra l’invaiatura e la vendemmia. Il giorno che segna l’inizio della vendemmia viene stabilito quando l’uva ha raggiunto il giusto grado di acidità, fattore chiave per determinare la qualità dell’uvaggio destinato a diventare metodo classico. La data del raccolto viene scelta anche dall’analisi degli zuccheri, dei sali minerali e delle sostanze aromatiche presenti negli acini”. Somma di fattori che hanno portato in cantina ottime uve e vini che, come in Franciacorta, solo in primavera sveleranno tutto il loro potenziale.
Per due territori in stand by, uno, fondamentale per le bollicine del Belpaese in Italia e nel mondo, ha già tutto per stilare un bilancio. Nelle aziende del Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene,
“la vendemmia del 2020 si è conclusa con un segno positivo in particolare per quanto riguarda la qualità delle uve portate in cantina. In un anno non particolarmente caldo e che ha subito alcuni periodi più piovosi della media, la vocazione del territorio alla viticoltura, ancora una volta, ha fatto la differenza. Infatti, grazie alla morfologia delle colline, che presentano pendii molto ripidi, e l’esposizione dei vigneti al sole si sono evitati pericolosi ristagni idrici potenzialmente dannosi per la vite. L’annata in vigneto - si legge nel comunicato del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Docg - ha avuto un corso molto regolare, anzi con una progressione lenta che ha giovato alla qualità dei frutti. È stata caratterizzata da clima mite e secco fino all’inizio dell’estate, durante la quale si sono alternati episodi piovosi e giornate di caldo mai eccessivo. La condizione metereologica ha portato la vite a sviluppare il frutto e a farlo maturare gradualmente fino ad arrivare al momento della raccolta quando un meteo clemente ha regalato giornate soleggiate, notti fresche e ventilate, perfette per asciugare bene l’uva prima del suo ingresso in cantina. Queste sono le migliori premesse per iniziare a lavorare in cantina uno spumante che poi porterà nei calici quella carica aromatica che lo ha reso celebre e apprezzato nel mondo.
“La raccolta di quest’anno ci ha posto di fronte a una sfida importante e completamente nuova.” commenta Innocente Nardi, presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco. “Abbiamo lavorato consapevoli di avere davanti ancora molte sfide da affrontare ed è per questo che il Consorzio ha adottato politiche improntate alla “sana” prudenza per garantire qualità e valore della Denominazione nel mercato. Politiche che non pregiudicano eventuali scenari economici particolarmente positivi grazie alla possibilità di ricorrere all’utilizzo del prodotto messo a stoccaggio. Al momento il mercato continua a premiare la Denominazione, l’andamento delle certificazioni è in linea con lo scorso anno. Il valore e il posizionamento del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg si difende continuando a lavorare nel segno della qualità che è l’unico asset vincente per affrontare questa crisi e le trasformazioni che ci aspettano”.
Come di consueto la raccolta è iniziata nella parte più orientale della denominazione, la zona di sud est, sui versanti maggiormente esposti al sole, e gradualmente si è spostata verso ovest per risalire le Rive più fresche dei pendii del valdobbiadenese, dove la vendemmia accentua i suoi tratti eroici e le caratteristiche del territorio richiedono una maestria che è vera sapienza locale. Le uve raccolte ai due estremi della Denominazione porteranno a vini altrettanto distanti, dimostrando l’eccezionalità di un vitigno, la Glera, che nell’ambito di pochi chilometri riesce a esprimersi e declinarsi in numerose sfaccettature dai frutti più maturi ai fiori bianchi, da acidità più o meno marcate e ancora da sapori sapidi che si intensificano all’incresparsi delle colline. Qui sulle Rive più scoscese, nel corso dell’anno si impiegano fino a 6/700 ore di lavoro manuale per ogni ettaro. Per questo, la vendemmia eroica rappresenta il momento di massima ingegnosità dei viticoltori del territorio e uno degli elementi che costruiscono il valore del prodotto, la sua unicità.
Zigzagando, scendiamo sulla costa tirrenica, dove nascono i grandi vini di Bolgheri, diventato ormai punto di riferimento qualitativo in tutto il mondo, ma anche territorio capace di dare dimora ai due principali vitigni internazionali, Cabernet Sauvignon e Merlot, dandone un’interpretazione sempre più propria e riconoscibile, uscendo dagli stilemi dei vigneron di Bordeaux. Con la vicepresidente del Consorzio Bolgheri, Cinzia Merli, che qui è arrivata nel lontano 1983, fondando Le Macchiole, partiamo però dalla fine, ossia da un mercato che offre poche garanzie ed ancora meno risposte. “Per fortuna il tempo è dalla nostra parte, perché i primi vini di questa annata usciranno nel 2022, per cui un po’ di respiro ce l’avremo. Speriamo che la situazione migliori, anche perché, tutto sommato è stata un’annata positiva, forse con meno quantità delle attese. Non abbiamo ancora dati definitivi, mentre la qualità, nonostante le premesse che ci hanno tenuto in allerta, è decisamente soddisfacente. Abbiamo in cantina vini di grande equilibrio, certo non è una grande annata come la 2016, ma comunque molto buona. Se vogliamo fare un parallelo con le annate del passato, potrebbe assomigliare alla 2015 o alla 2008, è stata un’annata da gestire, come accade sempre quando ci sono picchi di caldo o di freddo”.
Come in ogni angolo ed in ogni piega dell’economia e della società italiana, anche a Bolgheri, riprende Cinzia Merli, “si respira incertezza, ma ce la stiamo mettendo tutta. Lavoriamo e restiamo ottimisti, ma se guardiamo avanti ci prende un po’ di scoramento, specie per chi, come noi, è abituato a guardare lontano, a fare programmi a lungo termine, che oggi è assolutamente impossibile fare. In cantina e tra i filari, invece, la vendemmia è andata persino meglio di quanto mi aspettassi. I ragazzi hanno lavorato con i dispositivi di sicurezza ed i distanziamenti, accortezze già adottati in precedenza. Non nego che c’era preoccupazione, perché fermarsi in vendemmia sarebbe stato un disastro, e l’eventualità ci poteva essere”.
Dalla costa, si resta in Toscana, verso l’entroterra, per il resoconto della vendemmia, quantitativamente, più grande, quella del Chianti. Che copre un’area gigantesca, che comprende, in tutto o in parte, le province di Firenze, Siena, Arezzo, Pisa, Pistoia e Prato. In un flash, “Meno ma ottimo”. È così che si preannuncia il Chianti dell’annata 2020. “ È una vendemmia favolosa: la produzione di vino è minore rispetto agli altri anni, ma la qualità è ottima”, spiega Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti. Un calo della produzione era nei programmi: “avevamo deciso di ridurla del 20% per garantire un equilibrio di mercato, mantenere i prezzi dello sfuso e la remuneratività per le imprese, ma poi non c’è stato bisogno che gli agricoltori facessero nessun intervento nelle vigne”. Ci ha pensato la natura: sulle viti quest’anno sono maturati meno grappoli così la diminuzione è stata spontanea. E segnali positivi arrivano, oltre che dalle vigne, anche dal mercato. “Al 31 agosto abbiamo registrato a consuntivo un calo solo dello 0,5% rispetto all’anno precedente, mesi fa ci aspettavamo perdite del 5-10%. Invece siamo sostanzialmente in pareggio”, dice Busi. Il Chianti è venduto per il 70-75% nella grande distribuzione, dove ha fatto registrare numeri in aumento nonostante la crisi dovuta alla pandemia Covid-19. “Nella grande distribuzione le vendite sono anche aumentate e hanno compensato le perdite del canale Horeca, che invece è completamente fermo”, conclude Busi. Ma le oltre 570 aziende del Consorzio che hanno come sbocco commerciale solo il canale Horeca (ristoranti ed enoteche) sono in forte crisi economica. “Durante il lockdown questo canale è rimasto completamente chiuso. Ora sta riaprendo, ma la ripresa è lenta, mentre in campagna i costi, compresi quelli per la vendemmia, sono invariati e non si possono ridurre e l’accesso al credito è difficile”, spiega Busi che al Governo nazionale e al nuovo Governo regionale sollecita “un sostegno importante per traghettare le nostre imprese verso la ripartenza economica salvaguardando mano d’opera e investimenti fatti”.
Il cuore della produzione toscana, è lì, tra Siena e Firenze, regno della storia della viticoltura nazionale, dove per il Chianti Classico, il 2020 si preannuncia un’altra ottima annata. In questa annata così particolare, il territorio del Gallo Nero non ha, per sua fortuna, sperimentato eventi climatici estremi, come purtroppo si sono verificati in altre regioni d’Italia. A una primavera abbastanza fresca è seguita un’estate calda e lunga, ma con buone escursioni termiche fra il giorno e la notte (le temperature minime sono state sempre contenute sia a luglio che ad agosto) consentendo il completamento ottimale del processo di maturazione delle uve. Da evidenziare anche l’assenza di stress idrico grazie alle piogge di giugno e di settembre. Tutti questi sono i presupposti per un’altra ottima annata di Chianti Classico, di grande struttura e di grande equilibrio. Per quanto riguarda le quantità prodotte, da una stima provvisoria, si prevede una flessione di almeno il 10% rispetto alla produzione 2019, una riduzione naturale principalmente legata al freddo notturno dei primi giorni di aprile che ha avuto un impatto sulla fase di germogliamento della vite.
“Nonostante la tendenza degli ultimi anni di venire sorpresi dalle bizzarrie del clima, il Sangiovese del Chianti Classico si sta dimostrando un vitigno sempre più capace di adattarsi ai cambiamenti climatici, rispetto ad altre varietà più precoci”, commenta Giovanni Manetti, presidente del Consorzio Chianti Classico, a WineNews. “ La vendemmia è terminata ovunque da una decina di giorni e c’è grande soddisfazione tra i nostri viticoltori per la qualità eccellente delle uve portate in cantina. La fermentazione e la macerazione sono ancora in molti casi in corso ma i vini sono ricchi e ben strutturati grazie alla buccia spessa ma anche equilibrati, succosi e freschi. I vigneti hanno senz’altro beneficiato delle maggiori attenzioni del maggior tempo speso in vigna da parte dei viticoltori costretto a casa dal lockdown e dall’assenza di fiere ed eventi. A livello quantitativo stimiamo un meno 10% a causa di un paio di notti fredde ai primi di aprile che hanno penalizzato il germogliamento nelle zone più precoci”, aggiunge Manetti.
Ma se il Sangiovese ha un re, oggi, è il Brunello di Montalcino, dove la vendemmia, come racconta a WineNews il presidente Fabrizio Bindocci, “segna un calo produttivo tra il 5 e il 10%. La qualità, invece è alta, da ottima a eccellente, nonostante le piogge, che hanno solo rallentato il periodo vendemmiale, ma senza influire. Semmai, ha mitigato il caldo estivo e restituito energia e respiro alla vite. I produttori sono contenti, ci sono bellissimi colori, bei profumi, belle acidità ed un grado alcolico più contenuto di annate come la 2017 o la 2019. Nell’insieme la sensazione è ottima, si va verso un’annata all’insegna dell’eleganza più che della potenza. L’andamento climatico ci ha garantito uve sane, e fermentazioni che non hanno avuto problemi. I primi vini hanno finito la fermentazione alcolica e stanno svolgendo la malolattica, quelli dalle uve raccolte più tardi, nella parte alta di Montalcino, stanno ancora finendo la fermentazione alcolica”.
Spostando lo sguardo al mercato, “le fascette ci dicono che la 2015 sta andando bene. Bisogna ricordarsi sempre da dove siamo partiti, da come eravamo messi l’11 marzo. E allora, possiamo dire che sta andando bene, perché le vendite sono in ripresa, il mercato continua a comprare Brunello, se c’è un rallentamento è sul Rosso di Montalcino. Certo, il mondo non è facile per nessuno oggi, ma possiamo dire che Montalcino rispetto a tanti altri territori è stata un’isola felice, c’è stato lavoro durante l’estate, e abbiamo aperto il mercato domestico, con tanti turisti italiani che forse neanche conoscevano le bellezze e le eccellenze del nostro territorio, accogliente ed incontaminato. Dobbiamo e possiamo essere contenti, purtroppo non è un momento semplice neanche per il mondo dl vino”, chiosa Fabrizio Bindocci.
Altra denominazione storica toscana, il Morellino di Scansano, dove si registra un calo dei volumi importante, ma ottime prospettive sul fronte della qualità alla conclusione della vendemmia 2020, che incassa le prime impressioni, positive, di buona parte dei produttori della denominazione.
“Questo 2020 ha messo alla prova tutti noi, con scenari che solo un anno fa erano inimmaginabili. La denominazione ha saputo mantenere le proprie quote di mercato, nonostante tutto. La natura sembra averci ascoltato in questa annata, compensando le rese ridotte con una qualità che si prospetta alta”, spiega il direttore del Consorzio Alessio Durazzi. La principale causa del consistente calo di produzione è da attribuire ad un mese di agosto sostanzialmente siccitoso. La svolta è arrivata nel mese di settembre, a ridosso della vendemmia. “A fine agosto e poi per tutto il mese di settembre le piogge hanno permesso alle viti di riequilibrarsi e l’uva si è indirizzata verso una maturazione praticamente perfetta, aspetto fondamentale per ottenere una qualità di livello superiore”, conclude Durazzi.
Lasciando la Toscana ed il Tirreno, ci dirigiamo idealmente verso Est, nelle Marche, dove c’è una delle denominazioni bianchiste di riferimento per tutto il settore enoico italiano, il Verdicchio (dei Castelli di Jesi e di Matelica). Al centro anche dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, il super Consorzio di dimensione regionale diretto da Alberto Mazzoni. Che a WineNews ammette:
“dobbiamo ritoccare al ribasso le nostre stime pre vendemmiali, perché abbiamo avuto un agosto che è durato 45 giorni, che ha fatto sì che la resa uva/vino sia più bassa. Registriamo, fortunatamente, un 5% in più dell’anno scorso, ma siamo nella media quinquennale. La qualità è buona, a livello regionale il calo più evidente lo registrano i rossi, Lacrima di Morro d’Alba e Montepulciano, mentre gli altri sono nella media prevista. Scontiamo qua e là i danni della grandine e della tignola di terza generazione, che ha dato qualche piccolo problema”.
Guardando al Verdicchio, oggetto del nostro interesse, “a Jesi abbiamo quantità in crescita del 7% sul 2019, però, al di là di qualche grandinata, abbiamo un grande prodotto. Abbiamo vendemmiato prima del solito, da metà agosto, e a fine mese le uve erano già in cantina. In questo modo, ci siamo salvati dall’ultima ondata di caldo, e l’acido malico è rimasto, regalandoci vini di grande freschezza. Le gradazioni sono comunque medio/alte, la struttura è ottima e ci soddisfa molto. Se devo fare un paragone, direi che ricorda molto da vicino la 2015 e la 2016, perché facendo un giro per cantine, ci troviamo di fronte a belle acidità ed ottima freschezza. A Matelica, invece, si sta ancora raccogliendo, siamo più o meno a metà vendemmia, ma le altitudini importanti e gli sbalzi termici ci fanno ben sperare, è un’annata molto promettente. Così come per il Bianchello del Metauro, per il Pecorino e per il Falerio”, conclude Alberto Mazzoni.
Scendendo lungo lo Stivale, e restando sulla costa adriatica, arriviamo a Manduria, terra della declinazione più prestigiosa del Primitivo, dove la vendemmia, leggermente posticipata, si è rivelata di ottima qualità, e con una quantità diminuita del 40%, come rivela l’analisi del Consorzio del Primitivo di Manduria .
“I vigneti di primitivo nella nostra areale sono apparsi appaiono vigorosi e in ottima salute”, spiega soddisfatto il presidente Mauro di Maggio. “La vendemmia ha avuto 12 giorni di ritardo a causa di una primavera fredda e di una estate che ha tardato ad arrivare. Tuttavia dal punto di vista fitosanitario le uve si sono subito presentate buone e, a determinare la giusta maturazione, ci ha pensato il nostro clima caldo con tramontana e la scarsità di piogge. Tutto ciò ha impedito la formazione di peronospora e altre malattie del vigneto. La resa è bassa, circa il 35 - 40% in meno rispetto all’annata precedente - continua di Maggio - ma il frutto è di eccellente qualità con un’alta concentrazione di zuccheri”.
A livello qualitativo, “è sicuramente una vendemmia che sarà ricordata come una delle migliori. Si è iniziato dando spazio alla raccolta per gli alberelli che hanno subito presentato un carico basso per poi proseguire nelle zone costiere e, infine, nelle zone dell’entroterra. Ci sono tutti i presupposti per trovare nei calici vini ottimi, corposi e con un bouquet tipico del Primitivo di Manduria Dop - conclude di Maggio - Il lavoro in vigneto si è svolto in questi mesi in modo regolare, compatibilmente con le restrizioni e con le nuove norme emanate per la gestione dell’emergenza Covid-19. Ringrazio tutti i nostri viticoltori per l’impegno che quest’anno è stato ancora più intenso subito dopo il lockdown. Un lavoro che ha garantito la consueta cura dei vigneti e la qualità finale del prodotto. Il merito va soprattutto a loro”.
Meno nota, ma numericamente ancor più rilevante in termini produttivi, l’altra grande realtà pugliese è quella del Consorzio Castel del Monte, che rappresenta la Doc Castel del Monte e le Docg Castel del Monte Bombino, Castel del Monte Rosso Riserva e Castel del Monte Nero di Troia Riserva. A pochi giorni dalla fine della raccolta, come racconta il presidente del Consorzio Castel del Monte, Francesco Liantonio, “la qualità delle uve è ottima, grazie a un andamento climatico pressoché perfetto. Quest’anno le stagioni hanno scandito egregiamente il tempo e hanno permesso una maturazione delle uve giusta ed equilibrata. L’eccellente qualità purtroppo non corrisponde alla medesima quantità. Abbiamo già riscontrato un calo produttivo nelle uve bianche, bombino bianco, chardonnay, moscato. Da una prima ipotesi legata alla vendemmia delle uve nere, che sta per iniziare, possiamo stimare un calo delle rese del 20% relativo al bombino nero e al nero di troia. Siamo molto ottimisti e positivi relativamente alla produzione 2020, sicuramente un’annata che rimarrà nel cuore dei consumatori”.
Andando più nel dettaglio, “il Nero di Troia esprime le sue massime potenzialità soprattutto nei vigneti in altura; questa condizione facilita il percorso qualitativo di questo vitigno, sempre più apprezzato dai consumatori italiani e internazionali. Quest’uva dà vita a vini dal gusto rotondo, armonioso, importante ed elegante. Un vino che racconta millenni di storia della nostra terra, che sorge alle pendici del maniero federiciano. Una terra che vede sempre il sole e che permette lo sviluppo di rigogliose piantagioni. Il Bombino nero d’altro canto, nel 2020 sarà il principe del vino rosa italiano, fragrante, ricco, vanigliato, acidulo. Una qualità eccezionale, seppure anche in questo caso, la quantità non sarà in linea con le aspettative. Andrà letteralmente a ruba. Gli amanti del vino lo adoreranno”.
Il nostro giro d’Italia, rigorosamente in cantina, termina in Sicilia, casa dell’omonima e assai estesa Doc Sicilia, con le uve di Grillo e Nero d’Avola eccellenti, capaci di garantire l’ottima qualità di tutti gli altri vitigni del “continente Sicilia”, che hanno beneficiato di condizioni climatiche generalmente favorevoli. Si confermano, essenzialmente, le previsioni di inizio vendemmia, con un calo della quantità, già inizialmente stimato, che si attesta su una media del 15% rispetto al 2019.
Secondo i coltivatori del Consorzio Vini Doc Sicilia, l’esito della vendemmia 2020,
“il bilancio di questa vendemmia è abbastanza positivo per diverse ragioni. La prima di tutte è che puntiamo da tempo a privilegiare la qualità dei nostri vini - commenta Antonio Rallo, presidente del Consorzio di tutela vini Doc Sicilia e ad della griffe Donnafugata-. Il calo di uve raccolte, registrato mediamente in tutta l’isola durante la campagna che è ormai al termine, ci conferma che anche nel 2020 non avremo una grande produzione. Il vino che verrà confezionato sarà di qualità eccellente”.
Segnali importanti arrivano anche dai dati delle giacenze del vino siciliano, sia Igt sia Doc. Alla data dell’11 settembre 2020, tra imbottigliato e sfuso, in Sicilia risulta in giacenza il 18% di vino in meno rispetto allo stesso periodo del 2019: da 2,52 milioni di ettolitri si è passati ai 2 milioni di ettolitri attuali. Inoltre, dal primo luglio al 15 di settembre, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, si registra un incremento del 15% di bottiglie prodotte dalla denominazione Doc Sicilia. “La qualità delle uve quest’anno ha una marcia in più. Una vendemmia con così buoni risultati non la registravo da almeno dieci anni”, racconta Alessio Planeta, alla guida della griffe dei vini siciliani e nel Cda della Doc Sicilia. “Le condizioni meteorologiche sono state fantastiche: è stata un’estate non troppo calda e le piogge recenti hanno aiutato le varietà tardive. Nella zona del Mamertino la raccolta è finita venerdì con la vendemmia del Nocera. A Menfi stiamo ultimando la raccolta delle uve tardive come Grecanico e Cabernet. Il calo generale di quantità è in linea con il momento attuale in cui si registra una prudenza nei consumi di vino, e questo ci consente di poter vedere il bicchiere...mezzo pieno. Il Nero d’Avola e il Grillo, in particolar modo nella Sicilia occidentale, hanno una qualità straordinaria, con grande concentrazione e freschezza delle uve”.

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