Il vino, in Italia, è senza dubbio un settore che se la passa meglio di molti altri. Ma non è tutto rose e fiori: il calo dei consumi interni non si ferma (dai 120 litri a testa degli anni ‘70 ai 40 scarsi di oggi, -67%), e sembra anche destinato a continuare. L’export per ora continua a crescere, almeno in valore, ma la concorrenza nel mondo cresce, soprattutto in certe fasce di prezzo, e non è detto che puntare tutto sull’alta qualità, alla lunga, non comporti anche dei rischi. Ecco, in estrema sintesi, il messaggio che arriva dal talk show “Il vino nei numeri tra produzione e consumi”, nel Congresso n. 69 di Assoenologi, di scena a San Patrignano (1/4 giugno, www.assoenologi.it).
“Siamo il Paese che ha le maggiori potenzialità nel mondo, dai territori alle varietà di uva - ha detto il giornalista e produttore Bruno Vespa, chiamato a condurre il talk show - ma fino ad oggi le abbiamo sfruttate solo in piccola parte, perchè siamo meno bravi a raccontare la nostra cultura rispetto, per esempio, ai francesi, e meno bravi a fare squadra. Eppure produciamo il 17% del vino del mondo, il 28% di quello europeo. Ma dobbiamo fare i conti con una crescita dei consumi interni, che non sappiamo se è arginabile. E abbiamo perso anche 276.000 ettari negli ultimi 20 anni, passando da oltre 1 milione a 694.000. Come si legge tutto questo?”
“Il dato di fatto è che abbiamo fatto un percorso di crescita importantissimo in qualità, negli ultimi 20 anni - ha detto Giovanni Mantovani, dg Veronafiere, che organizza Vinitaly, il player n. 1 nella promozione del vino italiano in patria e all’estero - e il mondo ce lo riconosce, il dato sul recupero in valore ce lo conferma. Forse l’aver puntato sulla qualità ha spinto ad abbandonare certi territori, ecco perchè abbiamo perso ettari di vigneto. E, nel complesso, forse non è stato un male, visto che è cresciuto il valore medio a cui vendiamo nel mondo il nostro prodotto”.
“La perdita di superficie vitata - ha aggiunto Giuseppe Martelli, dg Assoenologi - per alcuni è un dramma, per altri un bene. Io credo che è inutile produrre quello che il mercato non vuole, e quindi forse è un bene, anche perché si produce sempre più vino di qualità, che deve essere l’obiettivo in tutte le fasce di prodotto: non solo per i vini blasonati, ma anche per quello che un tempo si chiamava “vino quotidiano”. Questa perdita di ettari non è stata un male, è servita a migliorare la qualità, e ha farci entrare sui mercati con maggiore aggressività”.
“Pensando alla perdita di ettari, dobbiamo anche considerare il grande rinnovamento che c’è stato, negli ultimi anni, del vigneto Italia - ha sottolineato Carlo Dalmonte, alla guida del colosso Caviro - e gli ettari nuovi, che sono molti in percentuale, sono più performanti dal punto di vista della qualità. Ma il mondo del vino in Italia, è a macchia di leopardo, ci sono territori che piacciono al mercato e chiedono di espandersi, altri in cui le coltivazioni vinicole non sono rivendicate da anni”.
“Però non dobbiamo essere provinciali - ha ammonito Ruenza Santadrea, presidente di un altro gigante della cooperazione, Caviro - perchè il mercato ormai non è italiano, è mondiale. E avere meno prodotto in Italia non è automaticamente legato ad un aumento del valore dei prezzi, soprattutto in certe fasce di prodotto. Perchè se noi riduciamo la produzione in Italia, il vino si prende anche dall’estero. Una buona notizia, per esempio, è che nel 2014 la vendemmia nel sud del mondo è stata in generale in calo del 10%. Dobbiamo ragionare su scala globale”.
“Dobbiamo anche ricordarci che il vino europeo, fino a qualche anno fa, era in una situazione di sovrapposizione rispetto ai consumi - ha puntualizzato Lamberto Vallarino Gancia, presidente Federvini - e non a caso gli strumenti come l’Ocm vino hanno spostato risorsa dalla distruzione delle eccedenze alla promozione. In Italia abbiamo fatto una rivoluzione, abbiamo trasformato il vigneto e migliorato le cantine, e con nuove conoscenze e tecnologie la qualità è cresciuta, e non è un caso che i nostri vini stiano andando tanto bene nel mondo, un pò in tutte le fasce di prezzo, tanto con l’altissima qualità, che è fondamentale perchè aiuta anche a fare immagine, ma anche nei vini da consumo quotidiano”.
“I numeri che abbiamo davanti ci dicono di come è cambiata e sta cambiando la nostra viticoltura - ha detto Domenico Zonin, alla guida dell’Unione Italiana Vini (Uiv) - c’è più professionalità, ed un processo di aggregazione ancora in atto e che continuerà, perchè è difficile pensare che possa sopravvivere da solo chi ha proprietà di un ettaro. É anche vero che oggi si riesce a produrre di più e con maggiore qualità da ogni vigneto. Sul fronte dei consumi, poi, va detto che se è vero che in Italia, ed in Europa in generale, sono in calo, nel mondo crescono. E ogni Paese in cui crescono vuole fare il suo business sul vino, si piantano vigneti, perchè da nessuna parte stanno lì ad aspettare il nostro vino. Io spero che il nostro vigneto torni ad aumentare perchè vorrebbe dire che siamo diventati più bravi, e che ne servirebbe di più, in tutte le fasce. Ma la competizione, oggi, più che sulla produzione, è sulla promozione globale”.
E su questo fronte c’è chi è più bravo dell’Italia. Anche in mercati dove il Belpaese è leader, come in Germania, ha spiegato Giuseppe Sorrentino, alla guida di Ges Sorrentino, uno dei più importanti importatori di vini italiani nel Paese: “avere qualità in tutte le fasce di prezzo, in Germania è davvero fondamentale, perchè è il Paese che spende meno per l’alimentare, si vede anche da pubblicità che punta sul risparmio più che sugli effetti salutari e sulla qualità, come invece accade in Italia. Ma sulla fascia di prezzo basso, se ce la battiamo con in francesi, gli spagnoli ci superano, perchè hanno un rapporto qualità/prezzo incredibile in questo segmento, dove arrivano a vini di “Riserva”, che in Germania fa molto presa, a 6-7 euro allo scaffale in gdo, che rappresenta l’80% del mercato. Il che vuol dire che si parla di vini che escono dalle cantine tra 1,5 e 3 euro al massimo”.
Una situazione di mercato, dunque, che vede i produttori italiani guarda sempre di più al mondo, e ad una concorrenza sempre più spietata. Ce la faranno tutte le 700.000 aziende che producono, e le 20.000 che imbottigliano (di cui il 60% con un volume sotto le 10.000 bottiglie) a resistere ? “Secondo me, no - risponde secco Martelli - l’aggregazione continuerà, nel giro di 20 anni, avremo la metà delle aziende”. “Anche perchè se la via è l’estero, è logico che esportare costa di più - ha aggiunto Zonin - e per chi è piccolo, eccezion fatta per alcune denominazioni importanti e famosi, sarà sempre più faticoso”. Vuol dire che tante aziende chiuderanno? “Quante aziende spariranno non lo so - ha risposto secca Ruenza Santandrea - ma di dossier di aziende in vendita ce ne sono tantissimi”.
La certezze, dunque, sono l’aggregazione e la necessità di puntare sull’estero. Dove il vino italiano, nel 2013, ha superato i 5 miliardi di euro, anche grazie ad una crescita del prezzo medio da 2,2 a 2,47 euro al litro. “Ma se questo è il livello medio, allora, la fascia bassa quale è ?”, ha provocato Bruno Vespa. “L’anno scorso in Germania lo sfuso è arrivato a 90 centesimi al litro. Ma non c’erano giacenze. Quest’anno siamo anche intorno ai 50 centesimi, perchè alle quotazioni del 2013 non ci sarebbe mercato”.
“È un aspetto da tenere in grande considerazione - ha precisato la Santandrea - perchè questo record è stato possibile grazie ad una crescita dello sfuso che oggi non c’è più. Anzi veniamo da un’annata abbondante e abbiamo già delle giacenze. Se così fosse anche nel 2014, è evidente che i prezzi calerebbero ancora, è la semplice legge della domanda e dell’offerta”.
“Proprio per questo dobbiamo puntare tutto sulla qualità: tra qualche anno il nostro Paese dovrà produrre quasi soltanto vino a denominazione, perchè vini sfusi e da tavola sono terra di conquista della Spagna e di altri Paesi. Noi dobbiamo puntare tutto sulle denominazioni che sono in nostri marchi collettivi, e sulla nostra cultura, perché altri Paesi hanno strutture e capacità di marketing più forti delle nostre”.
“Attenzione però ad abbandonare una fascia di consumo così grande e che va per la maggiore in gdo - ammonisce Sorrentino - perchè vorrebbe dire perdere spazi e visibilità. Per certi mercati, come la Germania, che per l’Italia è fondamentale, non sono così pronti ad accettare anche piccoli aumenti di prezzo. L’esempio chiaro viene dal Prosecco: appena ha alzato i prezzi in Germania, la gente si è rivolta a tanti “secco” fatti in patria meno costosi. C’è una fetta che è disposta a pagare un pò di più per una maggiore qualità, ma è una fetta minoritaria, di appassionati. In gdo è difficilissimo aumentare i prezzi anche di 50 centesimi”.
Che fare, allora? “Nel mercato estero abbiamo praterie da percorre, ma dobbiamo muoverci e farlo insieme - ha detto Mantovani - ma su quello interno non stiamo facendo niente, soprattutto per i giovani. Dovremmo raccontargli che il vino è più bello dei superalcolici e della birra. E questo devono farlo le associazioni di categoria”.
“E l’Expo 2015 è una grande occasione in entrambi i casi - ha detto Gancia - per raccontarci all’Italia e al mondo. E non solo a Milano, perchè dobbiamo portare il mondo nelle cantine Italiane”. “Dobbiamo farci capire meglio - ha aggiunto Ruenza Santandrea - perchè fino ad oggi raccontare tutta la nostra diversità e varietà, che è una risorsa, è stato molto difficile. Ma dobbiamo continuare a provarci, magari semplificando un pochino. E puntando su innovazioni e novità in genere, imparando a fare marketing”.
“Non illudiamoci che essere “made in Italy” ci dia diritti acquisiti - ha detto Dalmonte - dobbiamo affrontare i mercati a viso aperto, sapendo che sono spietati”. “Ci serve più coraggio - ha concluso Zonin - non tanto individualmente, ma a livello collettivo, per sostenere il nostro vino nel mondo”.
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