02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

CONVEGNO “LO STATO DEL VINO” - ZONIN: “IL VINO È L’OTTAVA VOCE DI FATTURATO IN GDO … I PRODUTTORI DEVONO TORNARE AL MARKETING DIRETTO, A RECUPERARE IL CONTATTO CON I CONSUMATORI, NON AFFIDANDOSI TROPPO ALL’INTERMEDIAZIONE DI MEDIA ED ALTRI SOGGETTI”

Italia
Gianni Zonin

Ecco la comunicazione di Gianni Zonin, presidente della Zonin Spa, una delle aziende più importanti del mondo del vino, realizzata il 7 maggio a Roma, nel convegno del “Gambero Rosso” alla Città del Gusto.

“ … grazie per avermi consentito di prendere parte a questi lavori che sono indubbiamente un momento utile di riflessione per il nostro settore. La mia esperienza al vertice di un gruppo vitivinicolo che ha fatto della ricerca della qualità uno dei suoi obiettivi prioritari negli ultimi decenni, mi consente di esprimere alcune riflessioni.
La prima riflessione è la straordinaria valenza che ha per il nostro settore la proprietà della vigna. La casa vinicola Zonin ha progressivamente conseguito i suoi obbiettivi di sviluppo e di consolidamento economico procedendo a massicci investimenti in campagna: sia nelle vigne, che nelle cantine. Non disgiunta questa “patrimonializzazione” da una costante ricerca nell’affinamento delle tecniche enologiche e delle cure di coltivazione. Due sono infatti i capitali indispensabili a una cantina: la terra e gli uomini che la lavorano. Da questi due capitali discende la capacità produttiva soprattutto in termini qualitativi.
La capacità di assicurare volumi importanti è centrale per un produttore che voglia essere protagonista in un rapporto con la grande distribuzione. Avere volumi significa da una parte poter soddisfare le esigenze della distribuzione moderna, dall’altra vuol dire avere maggiore potere contrattuale nei confronti del distributore.
L’equazione volumi-grande distribuzione non è un postulato: essa può conoscere delle variabili soprattutto nel momento in cui anche le grandi catene distributive tendono a qualificarsi territorialmente, ma è un dato d’esperienza che per essere fornitori qualificati ed avere anche potere contrattuale nei confronti di chi gestisce la distribuzione moderna sono necessarie notevoli quantità di prodotto. Ciò è ancora più vero se guardiamo oltre i confini nazionali.
Partendo proprio da questa prima considerazione si può inquadrare in generale l’evoluzione del rapporto “vino di qualità - distribuzione moderna”. E’ noto - come ha evidenziato l’ultima ricerca condotta da Partesa, uno dei maggiori gruppi di distribuzione dell’agroalimentare, presentata il 10 aprile 2010 a Verona - che ormai il vino rappresenta per le grandi catene l’ottava referenza in termini di fatturato e che circa il 60% della vendita di vino in Italia passa attraverso le forme moderne di distribuzione.
Vi è dunque un convergere d’interessi tra chi produce e chi vende: il vignaiolo non può più fare a meno del supermercato, ma al tempo stesso il supermercato non può più ignorare il vino. E a maggiore ragione quello di qualità. Il vino serve a qualificare il punto vendita ed anzi spesso a personalizzarlo (si pensi ad esempio alle grandi catene che hanno bisogno di farsi percepire dal consumatore come territoriali), serve a generare attenzione nel consumatore rispetto alle proposte complessive della grande superficie, serve al supermercato a innalzare lo scontrino medio in termini di fatturato.
Ma questo rapporto vino di qualità-distribuzione moderna ha segnato anche un’evoluzione di approccio da parte dei distributori. Fino a qualche anno fa le trattative si svolgevano prima sul prezzo, poi su quanto la cantina era disposta a riconoscere al venditore per affittare gli spazi della grande superficie. Oggi si vende alla grande distribuzione su parametri assolutamente diversi: la qualità (i buyers della grande distribuzione degustano e poi decidono l’acquisto) gli ettari di vigneto di proprietà, le quantità e solo molto dopo viene la trattativa sul prezzo. E’ una rivoluzione assai positiva!
Tuttavia nell’ “utilità” del vino per la distribuzione moderna c’è anche un rischio che i produttori devono assolutamente evitare. E’ quello che potremmo chiamare: l’effetto Parmigiano-Reggiano. Se il vino, soprattutto quello top di gamma, diventa un “prodotto civetta” che serve a generare “pedonabilità” nel punto vendita, rischia di veder depresso il proprio valore per effetto di politiche di prezzo puntate sulla scontistica che tendono ad incrementare il valore attrattivo del vino medesimo.
Quello della “pedonabilità” del punto vendita è uno degli aspetti di maggior vantaggio della grande distribuzione del quale i produttori non possono non tener conto. Vi sono, al proposito, numerosi e autorevoli studi sulla psicologia dei consumi in rapporto alla struttura del punto vendita della grande distribuzione. E’ indispensabile per chi colloca i propri prodotti nella distribuzione moderna conoscerne i meccanismi per poter profittare al meglio di questa opportunità senza subire o limitando al massimo i contraccolpi per aver collocato un prodotto ad alto valore aggiunto immaginario in un punto vendita comunque mass market. Perciò approfittare della grande distribuzione per proporre al pubblico i vini di qualità richiede ai produttori un profondo adeguamento delle strategie e delle politiche di marketing.
La più recente indagine sull’argomento è quella che è stata presentata all’ultimo Vinitaly a Verona ed è stata condotta da Iri-Infoscan. Contiene un dato confortante e la conferma di una tendenza. Il primo è il fatto che dopo la stasi del 2008 nello scorso anno la vendita di vini a Denominazione (docg-doc-igt ) nella distribuzione moderna è ripresa a salire segnando un più 3,9 per cento in volume e un più 4,9% in valore. Disaggregando il dato si osserva che vi è una lieve crescita del prezzo medio, 3 euro a bottiglia, ma soprattutto che è in aumento la domanda di vini al di sopra dei 5 euro a bottiglia con un incremento - in questo segmento - di vendite del + 8,5% in volume.
L’elemento statistico che mi fa dire che oggi per il vino di qualità la distribuzione moderna è il primo canale è constatare come si stia affermando questa tipologia a discapito del vino così detto da tavola ivi compresi i vini venduti in brik o in contenitori di plastica.
Su un totale di vendite nel 2009 per 1 miliardo e 421 milioni di euro corrispondenti a poco meno di 578 milioni di litri (dato stabile anno su anno) si ha che in volume e in valore i vini da tavola hanno registrato una contrazione del -1,4 % in valore e del - 2,1% in volume per un fatturato di circa 536 milioni di euro, mentre i vini a denominazione ( docg-doc-igt) hanno fatto registrare gli incrementi di cui ho già detto , ma con un fatturato che vale circa 876 milioni di euro.
Ma dato ancor più significativo è l’incremento del + 8,8% in valore e del + 8,5% in volume delle bottiglie di prezzo pari o superiore a 5 euro che valgono all’incirca 178 milioni di euro di fatturato. Questi dati macro ci dicono anche che il consumatore che acquista vino nella distribuzione moderna è sempre più consapevole e informato, che è attento alla qualità nell’acquisto, tant’è che, ad esempio, quello che si pensava fosse un fenomeno destinato a crescere, quello della mezza bottiglia, è sostanzialmente stabile a valore e in decisa flessione (meno 6%) in volume.
Una conferma indiretta di questa maturità del consumatore è data ad esempio dall’analisi del mercato degli spumanti dove lo Champagne arretra ma non perché insidiato da spumanti di basso prezzo, bensì perché i Metodo Classico Italiani fanno quasi il 6% in più a valore a fronte di una semi-debacle degli altri spumanti esteri (meno 25,3% a valore) e si è verificata una fortissima affermazione dei metodo charmat italiani tra i quali il Prosecco è ormai diventato la prima referenza tra le bollicine vendute al supermercato.
Ulteriore indicatore che si ricava è l’attenzione alla territorialità. Se infatti si scompongono per regioni i dati di vendita si vede come i vini territoriali siano sempre ai vertici delle classifiche di vendita. Vuol dire che il consumatore ha trasferito le sue modalità di acquisto nella distribuzione moderna, ma che l’attenzione all’origine del vino, la compatibilità con la gastronomia tradizionalmente consumata, l’appartenenza di un determinato vino ad un territorio restano valori che il consumatore va cercando anche nella distribuzione moderna.
Vorrei far riflettere sul fatto che in distribuzione moderna anche in anno di forte crisi il prezzo medio del vino comunque ha tenuto o si è incrementato: abbiamo avuto un prezzo medio al litro di 2,5 euro a fronte di un prezzo medio di 2,45 euro del 2008.
E qui soccorre un’altra analisi da condurre in parallelo. Non è affatto vero che il consumatore non sia disposto a spendere un po’ di più per avere maggiore qualità. Non è vero in assoluto, non lo è a maggior ragione nella distribuzione moderna. Se infatti si osservano le curve di volume di vendita dei vini cosiddetti da tavola (compresi i brik) quelle dei vini di qualità e si confrontano anche le curve di prezzo, si scopre che nel periodo 2006-2009 si è assistito a questo fenomeno: il vino di qualità ha guadagnato il più 3,5% in volume e il vino da tavola ha perso il 19,5, il prezzo medio del vino di qualità si è attestato nel periodo considerato a 4,18 euro e il vino da tavola a 3,6 euro. Dunque appare confermato che gli italiani bevono meno ma bevono meglio.
Dall’indagine di Mediobanca (condotta nel 2010 con interviste a 90 dei maggiori produttori italiani) si ricava invece una fotografia interessante della centralità della distribuzione moderna anche per le imprese vitivinicole a più alta qualità. La Gdo rappresenta il 44,1 per cento della distribuzione (con un incremento di quasi tre punti sul 2005) l’Horeca nel quadriennio considerato passa dal 23 al 21,7 per cento, sostanzialmente stabile è la quota delle enoteche-wine bar (10,8% nel 2009).
Anche l’indagine di Mediobanca, dunque, conferma che l’acquisto di vino, anche di alta qualità, nella distribuzione moderna è ormai un dato consolidato. Ed è una tendenza non solo nazionale: basti citare il caso della Spagna dove dal 2008 al 2009 le vendite di vini bianchi italiani nei supermercati si sono incrementate del 21% a fronte di una flessione dei francesi del 31%, o il caso degli Usa dove nei supermercati il vino italiano ha messo a segno un più 2,2% in volume e un più 5,3% a valore anno su anno. E siamo nel tristemente noto annus horribilis! Indicazioni più o meno simili si hanno dai mercati esteri di riferimento per il vino italiano: Germania in testa. Una considerazione di ordine generale ci porta dunque ad affermare che il vino di qualità trova ormai come punto vendita di riferimento proprio la grande distribuzione.
Ma questo - come già ho evidenziato - pone ai produttori il necessario adeguamento della marketing policy . Sostanzialmente il marketing del vino è rimasto ancorato alle teorizzazioni degli anni ’80, frutto peraltro dell’esperienza maturata soprattutto in Francia secondo le quali sono gli opinion maker coloro i quali determinano il passa parola e dunque la notorietà del vino. Già in anni trascorsi avevo più volte lanciato l’idea di destinare una quota dei proventi delle fascette di stato per le denominazioni a costituire un fondo di promozione del vino.
Resto infatti persuaso che il rapporto diretto con il consumatore finale sia stato sottovalutato dai produttori. Ci si è molto affidati alla intermediazione del sistema dei media per raggiungere gli obbiettivi promozionali, ma credo che recenti “emergenze” come quelle legate ai tassi alcolemici per chi guida ci abbiano dimostrato come sia indispensabile poter dialogare direttamente con il mercato. Non foss’altro per educare al bere responsabile e per evitare l’equazione perniciosa e fondata sul nulla:
vino=alcol
vino=trasgressione,
che è quanto più lontano si possa immaginare dalla fruizione del vino di qualità.
Vi è poi un fattore di carattere strutturale che ha condizionato il marketing del vino. Un’azienda vitivinicola partecipa di una triplice natura: è azienda agricola, è azienda industriale in quanto trasforma, è azienda commerciale. Soltanto le case produttrici più strutturate riescono a segmentare le politiche di gestione per massimizzare l’efficienza di questi tre momenti. Nella stragrande maggioranza chi produce vini di qualità è costretto a recitare le tre parti in commedia. Ma c’è un elemento ulteriormente culturale che ci impone una riflessione sul marketing del vino. Abbiamo vissuto una fase lunga di cura soprattutto dell’offerta. Era indispensabile per migliorare la qualità del prodotto. Oggi è venuto il momento di occuparsi della domanda, soprattutto in considerazione del fatto che l’acquisto da parte del cliente nella distribuzione moderna avviene senza mediazione.
Da questa prima osservazione discende che fino ad ora di fatto le aziende vitivinicole hanno operato un marketing di risposta: la gente chiede vino e noi glielo diamo. Anzi in alcuni casi si è andati oltre: i critici ci dicono che la gente chiede quel vino e noi produrremo quel vino. Io credo che invece un vignaiolo attento debba fare almeno del marketing di anticipo. Deve cercare di antivedere i bisogni del consumatore e i suoi cambiamenti del gusto perché ha un ostacolo in più rispetto ad altri produttori: i tempi della vigna e della natura. Ma penso che si debba andare ancora oltre: bisogna cominciare a impostare azioni di driving market, di guida del mercato. Proprio perché ci troviamo a vendere il vino di qualità a scaffale dobbiamo essere noi produttori a proporre uno “stile di vino” che diventa “stile di vita”.
Per fare questo dobbiamo però conoscere a fondo la domanda. Da questo punto di vista c’è una innegabile debolezza del sistema vino. Prendo spunto dall’indagine di Partesa, presentata al Vinitaly 2010, che ci racconta di un consumatore di vino evoluto, attento e moderno. Sostanzialmente, ci dice questo report, che le intenzioni d’acquisto del vino sono determinate da tre fattori principalmente: il marchio, il territorio/paese d’origine del vino, la denominazione, con percentuali che oscillano dal 50,7% del primo fattore, il brand, al 37,9% della denominazione.
Il fattore prezzo viene quarto e incide sul 21,4% delle intenzioni di acquisto, ancora forte è il fattore raccomandazione del venditore, cioè l’expertise, che incide per circa il 21% quasi la stessa quota dell’etichetta di prestigio.
Questo mi porta a dire che vanno perseguite - a maggior ragione quando si opera nella distribuzione moderna- forti politiche di affermazione del brand non disgiunte dall’enfatizzazione della territorialità. Per perseguire questi due obbiettivi servono energiche azioni di comunicazione diretta con il consumatore finale e dobbiamo dare al marketing la stessa centralità che affidiamo all’agronomo e all’enologo, dobbiamo renderci conto che non dobbiamo più solamente vendere, ma conoscere il mercato per vendere. E del pari dobbiamo farci riconoscere dal mercato.
Faccio questa osservazione perché se volessimo condurre qui in questa sede una rapidissima, e perciò stesso approssimativa, analisi della distribuzione moderna in funzione di canale primario per la vendita del vino, ne emergerebbero almeno due punti di forza, due di debolezza e altrettanti rischi e opportunità.
I punti di forza sono indubitabilmente la pedonabilità del punto vendita della distribuzione moderna che moltiplica le occasioni di acquisto e la propensione all’acquisto che il punto vendita, per come è strutturato, amplifica.
I punti di debolezza sono la spersonalizzazione del rapporto con il cliente finale e la massificazione dell’offerta.
I rischi sono la generalizzazione del prodotto vino e la “civettizzazione” dei vini di qualità.
Le opportunità sono la possibilità di interagire direttamente con la domanda e la massimizzazione dell’offerta.
Se le cose stanno così, è di tutta evidenza che si deve agire per personalizzare di più il corner di vendita del vino nella distribuzione moderna in modo da enfatizzare anche nei supermercati i valori aggiunti immateriali del vino di qualità, che si devono fare delle azioni di marketing esperienziale (attraverso ad esempio la degustazione in situ) di co-marketing con altre eccellenze gastronomiche, di marketing virale diretto a incrementare il passaparola tra i frequentatori del punto vendita della distribuzione moderna.
In conclusione, l’approccio con il canale moderno pone alle cantine l’esigenza di una triplice alleanza.
La prima è con il gestore del punto vendita per insieme sostanziare la qualità del vino, metterlo al riparo dalla civettizzazzione, farlo emergere nella sua completa valorialità in forza della quale può essere una sorta di amplificatore dell’acquisto di altri prodotti gastronomici di qualità legati ai territori, specializzare il punto vendita e far diventare il punto vendita sede di eventi legati al vino.. Del resto a conferma di quanto vado affamando si potrebbe citare la strategia che alcuni gruppi di distribuzione stanno attuando: quella di creare delle enoteche moderne all’interno delle grandi superfici.
La seconda alleanza che i produttori devono stipulare è quella con i territori e con i Consorzi che devono sempre di più diventare promotori del valore territorio in rapporto al vino. Si devono vestire i punti vendita con i valori territoriali e vanno create strategie di promozione integrata.
La terza alleanza è proprio quella con il consumatore finale: attraverso il brand supportato dalla territorialità si deve costruire un rapporto fiduciario con chi acquista in distribuzione moderna per sopperire alla spersonalizzazione dello scaffale.
Dobbiamo essere consapevoli che quando vendiamo prodotto alla distribuzione moderna dobbiamo anche trasferire valore e non semplicemente merce.
Solo così trasformeremo una situazione di fatto, e cioè che la distribuzione moderna sta diventando ormai il primo canale di commercializzazione del vino di qualità, in un’opportunità di sviluppo: trasformare il punto vendita in luogo d’incontro diretto tra prodotto e cliente finale per una sorta di alleanza del valore. Il valore del vino!”.
Gianni Zonin

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024