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LO SCENARIO

Dazi Usa, vino e agricoltura made in Italy preoccupati per i dazi al 15%, e non solo

Timore tra le organizzazioni di categoria per la perdita di quote di mercato e per la maggiore apertura dell’Ue ai prodotti agroalimentari americani
AGRICOLTURA, CEEV, Cia, CITTÀ DEL VINO, Coldiretti, Confagricoltura, DAZI, FEDERVINI, USA, vino, Mondo
Dazi Usa, vino e agricoltura made in Italy preoccupati per i dazi al 15%, e non solo

La nota positiva, forse l’unica, è che il quadro adesso è certo, che la soglia dei dazi è al 15% per tantissimi prodotti; quelle negative sono la non esclusione di vino e alcolici Ue diretti verso gli Usa, ma anche preoccupazione sia per il rischio di perdita di competitività per le produzioni made in Italy negli States, sia per l’accesso facilitato che avranno diverse produzioni agricole e alimentari americane nel mercato europeo. Emerge dalle reazioni delle organizzazioni di categoria alla nota congiunta, annunciata ieri da Bruxelles e Washington. Se, come già riportato ieri da WineNews, il danno per il vino italiano nel suo primo mercato sarà di oltre 317 milioni di euro, stima Unione Italiana Vini (Uiv), il cui presidente, Lamberto Frescobaldi, ritiene “fondamentale attivare un’alleanza tra la filiera italiana del vino e i partner Usa - distributori, importatori e ristoratori - che, per primi, si oppongono ai dazi nell’interesse comune delle imprese italiane e statunitensi”, arriva anche il commento Federvini, guidata da Giacomo Ponti, che “esprime profonda preoccupazione e rammarico per l’assenza di vini, spiriti e aceti tra i prodotti europei esclusi dal dazio del 15% previsto dalla Dichiarazione congiunta tra Unione Europea e Stati Uniti. I comparti rappresentati dalla Federazione restano quindi penalizzati, nonostante il loro storico valore economico, culturale e simbolico”.“Ci troviamo di fronte a un’occasione mancata - ha dichiarato Giacomo Ponti - l’intesa avrebbe potuto sancire il pieno riconoscimento della rilevanza strategica dei nostri settori nelle relazioni transatlantiche. Prendiamo invece atto che, almeno per ora, vini, spiriti e aceti restano esclusi da qualunque esenzione, nonostante siano eccellenze italiane ed europee esportate in tutto il mondo”. Apprezzando comunque l’impegno delle istituzioni europee nel favorire un clima di cooperazione commerciale, Federvini ribadisce “che il ritorno a un regime di dazi zero per le categorie rappresentate deve restare una priorità assoluta nei prossimi negoziati settoriali. È fondamentale - aggiunge Ponti - che le prossime fasi del dialogo confermino che la Dichiarazione odierna rappresenta solo un primo passo. Serve ora un’azione decisa per reintegrare al più presto i nostri comparti tra quelli beneficiari di una piena apertura del mercato Usa. La posta in gioco riguarda migliaia di imprese, posti di lavoro e investimenti su entrambe le sponde dell’Atlantico”.
Anche il Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), guidato da Marzia Varvaglione, “esprime profonda delusione in seguito alla pubblicazione della dichiarazione congiunta Ue - Usa sull’accordo quadro sul commercio, che non include il vino tra i settori esentati dal nuovo dazio generale statunitense del 15%. Questa omissione è particolarmente preoccupante - scrive il Ceev - dato lo status del vino come prodotto di punta dell’esportazione europea e il suo significativo contributo alla creazione di valore lungo tutta la catena di approvvigionamento statunitense. Solo nel 2024, il settore vinicolo dell’Ue ha esportato negli Stati Uniti vino per un valore di oltre 4,88 miliardi di euro, rendendo gli Usa il più grande mercato di destinazione per i vini europei. Allo stesso tempo, per ogni dollaro generato dalle esportazioni di vino europeo verso gli Stati Uniti, i settori americani della distribuzione e dell’ospitalità ne guadagnano 4,50. Il dazio statunitense del 15% in vigore dall’inizio del mese sta danneggiando il settore e continuerà a ridurre il nostro fatturato, sospendere gli investimenti e diminuire i volumi di esportazione. Il Ceev insiste con forza affinché il vino venga incluso nelle prossime discussioni tra le autorità statunitensi ed europee. Restiamo fiduciosi. È urgente eliminare questo dazio dannoso e proteggere un settore che porta prosperità, sostenibilità e connessione.
Tornando all’Italia, ancora, secondo il presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, “la dichiarazione comune Ue/Usa presentata dal vicepresidente della Commissione europea, Maroš Šefčovič, segna un passo avanti nei rapporti commerciali transatlantici e dà certezze alle due economie, ma penalizza pesantemente alcuni comparti strategici del made in Italy agroalimentare”, sottolineando come, comunque, l’accordo fissi un del 15% “non aggiuntivo” su quasi tutti i prodotti. Se per comparti come quello dei formaggi, già soggetti a questa aliquota, la misura viene percepita come un compromesso accettabile, assai diverso è per settori sensibili come quelli del vino e del Pecorino Romano, sottolinea ancora Confagricoltura. “Per il vino, gli Stati Uniti valgono 2 miliardi di euro e rappresentano circa il 25% dell’export italiano verso gli Usa. Per il Pecorino Romano, gli Usa valgono 170 milioni di euro. Anche se il commissario Šefčovič ha confermato che l’accordo potrà essere rivisto in futuro, al momento non ci sono aperture e tempistiche concrete. Una rigidità che alimenta le preoccupazioni. Il vino deve tornare a beneficiare di un dazio zero. Lavoreremo con Governo e Parlamento europeo per proteggere il comparto”, sottolinea ancora Giansanti. Rimane poi aperta, sottolinea ancora l’organizzazione delle imprese agricole, la questione delle barriere non tariffarie. “Gli Stati Uniti accusano da anni l’Europa di utilizzare standard e requisiti tecnico produttivi come strumenti di protezionismo, ma - commenta Giansanti - non possiamo accettare che arrivino da Paesi terzi prodotti che non rispettano le nostre regole e i nostri standard. Se l’intesa di oggi offre maggiore stabilità alle relazioni commerciali, lascia tuttavia aperti fronti delicati che toccano direttamente alcune eccellenze del made in Italy. Il rischio - conclude il presidente Confagricoltura - è che il compromesso si trasformi in un vantaggio per pochi settori e in un pesante freno competitivo per altri”.
Parla di “stangata da 1 miliardo di euro”, invece, la Coldiretti guidata da Ettore Prandini:
“se la riduzione dei dazi sull’automotive rappresenta una buona notizia per il Sistema Paese, le tariffe al 15% sui prodotti agroalimentari italiani senza alcuna esenzione rischiano di far perdere oltre 1 miliardo di euro alla filiera del cibo made in Italy, con vino, olio, pasta e comparto suinicolo tra i settori più colpiti, confermando come sia sempre l’agricoltura a essere sacrificata”, affermano Coldiretti e Filiera Italia, sulla base di dati del Centro Studi Divulga. “La pubblicazione dell’accordo - continuano - conferma lo squilibrio di una trattativa, che avevamo già denunciato, decisamente a favore degli Stati Uniti rispetto all’Europa. Occorre proseguire il negoziato per ottenere l’esclusione dei prodotti agroalimentari di eccellenza dalla lista dei dazi, risultato che ci aspettavamo almeno per il vino e che invece non è arrivato e ogni giorno in più che passa in questo modo si lascia spazio ad altri Paesi per un mercato, quello vinicolo, che storicamente ci appartiene. È necessario garantire sostegni economici alle filiere più colpite, che già si trovano in grande difficoltà. Non è accettabile che il settore agroalimentare continui a essere il più penalizzato da una conduzione delle trattative troppo remissiva da parte della Commissione Ue, che si somma peraltro al taglio senza precedenti delle risorse destinate all’agricoltura proposto dallo stesso esecutivo nel prossimo bilancio comunitario. Allo stesso tempo va assicurato il rispetto dei rigidi standard di sicurezza alimentare europei, senza pericolosi passi indietro sulla tutela della salute dei cittadini. Ci vuole chiarezza - ribadiscono Coldiretti e Filiera Italia - sulle intenzioni rispetto all’ingresso dei prodotti dagli Stati Uniti: non possiamo accettare di aprire ai cibi che non siano prodotti con gli stessi standard di qualità e sicurezza alimentare”. Gli Stati Uniti, ricordano ancora Coldiretti e Filiera Italia, appresentano il principale mercato extra-Ue per l’agroalimentare italiano, con un valore che nel 2024 ha sfiorato gli 8 miliardi di euro. “Il prodotto più colpito sarà il vino, prima voce dell’export, che subirà dazi per un impatto di oltre 290 milioni, cifra che rischia di salire ulteriormente in base all’andamento del dollaro. Subito dopo c’è l’olio extravergine di oliva, dove i dazi porteranno un costo aggiuntivo superiore a 140 milioni. Colpita anche la pasta di semola, con quasi 74 milioni di euro in più. Stabili invece i formaggi, già gravati da dazi tra il 10% e il 15%”. A preoccupare le imprese, spiegano Coldiretti e Filiera Italia, è il trend registrato nei primi tre mesi di applicazione dei dazi aggiuntivi al 10%, che hanno inciso negativamente sull’export agroalimentare italiano verso gli Usa. “A giugno le vendite di cibo made in Italy in America hanno segnato un calo del 2,9% in valore, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat del commercio estero. È il primo calo mensile dell’agroalimentare negli Stati Uniti dal settembre 2023, in controtendenza con il dato generale dell’export italiano in Usa, cresciuto a giugno del 10,3%. Dopo un primo trimestre dell’anno in cui le esportazioni agroalimentari negli States erano cresciute in media dell’11% in valore, nei tre mesi di applicazione dei dazi aggiuntivi al 10% si è passati al +1,3% di aprile e al +0,4% di maggio, fino ad arrivare al calo di giugno. A pesare è stata l’incertezza degli importatori sulle mosse della strategia del presidente Usa Trump, oltre al fatto che le nuove tariffe si sono sommate a quelle già esistenti, penalizzando in particolare alcune filiere cardine”.
Preoccupazione soprattutto per il settore del vino anche da parte della Cia-Agricoltori guidata da Cristiano Fini, secondo cui “più che un accordo continua a sembrare una resa. Viene sacrificato l’agroalimentare per avvantaggiare l’automotive. Ora l’export del made in Italy agroalimentare verso gli Usa (7,8 miliardi di euro nel 2024) rischia grosse perdite in settori chiave come vitivinicolo senza ottenere niente in cambio. Oltre all’impatto diretto, si corre il pericolo anche di un grave danno all’intero indotto agroindustriale, con pesanti ripercussioni sull’occupazione. Oltre alla attuale chiusura politica sul vino - sottolinea Fini - si dovrà monitorare anche e con attenzione l’apertura agevolata a importazioni agricole Usa a prescindere dalla reciprocità delle regole commerciali che rappresenta la lina di confine invalicabile’’. Secondo gli Agricoltori - Cia, il rischio concreto di un calo dell’export è molto alto, con danni a comparti strategici e un aumento dei costi per le imprese italiane, che tenderanno a perdere margini di profitto oppure a dover trasferire parte di questi costi sui consumatori, rischiando di ridurre la domanda nel mercato Usa. L’effetto combinato di dazi e fluttuazioni del cambio euro-dollaro non potrà che aggravare l’impatto delle misure doganali, traducendosi in costi aggiuntivi reali per le aziende nazionali e rendendo complessivamente meno competitivo il made in Italy. “Chiediamo adesso con forza al governo italiano, alle istituzioni europee parlamento e consiglio di continuare a fare pressioni sull’accordo, che proseguiamo nel definirlo - conclude Fini - una totale resa a favore degli Usa. Chiediamo anche misure di sostegno e indennizzi per le aziende italiane per la maggiorazione dei costi nell’export verso gli Usa’’. Per il vino italiano, ribadisce la Cia, “gli Usa sono la prima piazza mondiale con circa 1,9 miliardi di euro di fatturato nel 2024. A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni)”.
Una preoccupazione, quella di chi rappresenta le imprese, del vino, che ricade anche sui territori, ovviamente, come sottolinea Angelo Radica, presidente delle Città del Vino, di cui fanno parte oltre 500 Comuni a vocazione vitivinicola: “anche il settore enologico subirà i dazi al 15 per cento nelle esportazioni negli Stati Uniti, a meno che non si configuri l’opportunità di entrare a fare parte di un ventaglio di eccezioni. Sosteniamo lo sforzo che viene profuso per ottenere questo risultato. Nell’auspicio che il confronto abbia buon esito per un comparto come quello del vino, così strategico per l’economia del nostro Paese, e centrale per la cultura e l’identità dei territori, rivolgiamo al Governo l’invito a valorizzare il percorso aperto nelle settimane scorse, quando fu la presidente del Consiglio in persona a prendere parte a un incontro con la filiera vitivinicola. Bisogna infatti essere pronti, e fare in modo che questo momento di rischio e di incertezza possa essere foriero di un nuovo slancio. Le nostre proposte le abbiamo esposte al Governo, e le ribadiamo ora, come possibili pilastri di una strategia unitaria per un nuovo inizio. Servono investimenti e misure per: ricambio generazionale alla guida delle aziende, semplificazione amministrativa, aiuti al credito, supporto ai consorzi per l’accesso ai mercati esteri, sgravi a vantaggio della concentrazione dell’offerta cooperativa, potenziamento del fondo per le calamità naturali, riduzione dei tempi di erogazione delle indennità assicurative”.
Questo, dunque, ad ora è lo scenario in cui si dovranno muovere le imprese. Nella speranza che migliori e che si allarghi la lista dei prodotti esenti da dazi, come lascia intendere anche una nota ufficiale del Governo: “la dichiarazione congiunta Ue - Usa che ha formalizzato l’intesa politica raggiunta il 27 luglio in Scozia tra la presidente Von der Leyen e il presidente Trump fornisce finalmente al mondo imprenditoriale un quadro chiaro del nuovo contesto delle relazioni commerciali transatlantiche. Non si tratta ancora di un punto di arrivo ideale o finale ma alcuni punti fermi importanti sono stati già raggiunti, a partire dall’aver evitato una guerra commerciale e dall’aver posto le basi per relazioni commerciali mutualmente vantaggiose. Di particolare importanza il carattere onnicomprensivo della tariffa orizzontale del 15%, che include il settore dell’auto e i settori strategici (farmaceutici, semiconduttori, legname) tuttora sotto indagine da parte statunitense, così come l’esenzione per settori quali aereonautica, farmaci generici, principi attivi e precursori chimici. Il Governo resta impegnato, insieme alla Commissione Europea e agli altri Stati membri Ue, per incrementare ulteriormente nei prossimi mesi, come previsto dalla dichiarazione congiunta, i settori merceologici esenti, a partire dal settore agroalimentare. Particolare impegno sarà allo stesso tempo riservato alla conclusione di un’intesa in tema di acciaio e alluminio, anch’essa prevista nel quadro della dichiarazione congiunta”.

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