Denominazioni d’origine, croce e delizia del vino italiano. Nel 2013 appena concluso si sono festeggiati i 50 anni della legge che le istituì, e non sono mancate gli spunti di riflessione su uno strumento che da una lato ha sicuramente aiutato la crescita qualitativa e di immagine del vino italiano, ma dall’altro, a detta di molti (ma non di tutti), soffre oggi di una sorta di “ipertrofia” (siamo a 521 denominazioni, 330 Doc, 73 Docg e 118 Igt) che andrebbe rivista. E proprio da quel Piemonte che alle “legge Desana”, dal nome del senatore piemontese Paolo Desana che firmò il testo, arriva una proposta per un nuovo sistema delle Doc e Docg di una della Regioni più importanti dell’Italia enoica e del mondo, elaborata da un comitato spontaneo (coordinato dal figlio di Paolo, Andrea Desana) che si è auto costituito ad hoc (vedi focus in basso), e su cui uno dei produttori e degli imprenditori più rappresentativi del Piemonte e del Belpaese vinicolo, Angelo Gaja, ci ha inviato le sue riflessioni, che volentieri riceviamo e pubblichiamo:
“La proposta intende suggerire il metodo di accorpamento delle Do esistenti in Piemonte. La premessa metodologica recita: “è il marketing a dover dare l’indirizzo sul sistema delle Do, nel senso che per il prodotto vino è primaria l’esigenza di venderlo”. Il marketing debbono imparare a farlo individualmente ed a modo loro le cantine, non deve invece diventare il principio ispiratore del nuovo assetto che si vorrebbe dare al sistema Piemonte delle Do.
Viene esposta una classificazione gerarchica/per gruppi delle attuali denominazioni. Dalla quale si fa derivare l’ammissione oppure l’esclusione all’ottenimento dei contributi previsti per la promozione sui mercati esteri. L’esclusione colpirebbe molte denominazioni compresa quella dell’Arneis che, nonostante produca oltre 5 milioni di bottiglie e possa contare su numerosi produttori già attivi a costruire domanda sui mercati esteri, non avrebbe diritto a beneficiare del sostegno all’export: è sfuggito che unitamente al Gavi, il Roero Arneis sia il vino bianco fermo piemontese maggiormente conosciuto in diversi mercati oltre-confine. E’ tutto molto discutibile. E’ ridicola la proposta di staccare la denominazione “Langhe”, dal consorzio “Barolo e Barbaresco” e dal contesto storico dei produttori che l’avevano fortemente voluta, per farla confluire in un costituendo consorzio che dovrà comprendere le denominazioni “Piemonte” e “Monferrato”. Il “comitato spontaneo” vuole dare prova di saper suggerire non soltanto progetti di accorpamento ma anche di smembramento?
Non è facile scrollarsi la storia di dosso. Con la 164/92, legge Goria, l’Italia del vino introduceva correzioni alla legge quadro 930/63. In quell’occasione il Piemonte commise due errori clamorosi: si decise di rinunciare alla Igt privando così il vino piemontese delle possibilità di crescita che invece si dischiusero per le altre regioni che la adottarono (Toscana docet); venne istituita la prima Doc regionale, “Piemonte”, con la quale si sarebbe voluto beneficiare del marketing di territorio mentre in effetti si contribuì a svilirne l’immagine non riuscendo/volendo contrastare la vendita a prezzi stracciati dei superi e degli scarti di qualità più scadenti della Barbera, proseguita per troppi anni. Così oggi diventa arduo imporre a numerose Do piemontesi di rinunciare alla propria denominazione per vestire quella “Piemonte”. La cura dimagrante suggerita ridurrebbe il numero delle Do piemontesi dalle attuali 66 alle futuribili 23. Con il rischio di trasformare in un caravanserraglio la nuova “Dop Piemonte” che ne deriverà: con oltre 40 diverse varietà d’uva, diversissimi gli usi, costumi, tradizioni e condizioni pedo-climatiche. Ma che Dop sarebbe mai?
E se invece, quello dell’accorpamento forzoso delle Do, fosse un falso problema? La frammentazione delle Do piemontesi è frutto di una cultura che ci appartiene e delle nostre ambizioni (talvolta anche mal riposte). Occorre imparare a portare il peso della propria storia. Le denominazioni, se riconosciute ed affermate, costituiscono una ricchezza. Ma possono rimanere anche solo a livello di potenziali opportunità, e sopravvivere in attesa di condizioni più favorevoli, di imprenditori capaci di metterle in luce e valorizzarle. L’Italia ne ha in abbondanza perché sono moltissime le diversità che caratterizzano il nostro Paese. È proprio necessario eliminarne più della metà (il 65%) come vorrebbe la proposta avanzata dal “comitato spontaneo”? La Borgogna, nonostante l’uniformità pedo-climatica e varietale (Pinot nero e Chardonnay) non ha mai messo mano all’accorpamento delle oltre 150 Appellation d’Origine che possiede. E sì che molti riconoscono che siano troppe e difficili da fare entrare nella testa dei consumatori. Al loro numero elevato viene attribuita un’utile funzione: la larga maggioranza di esse copre pochi ettari di vigneto e viene rivendicata da un modesto numero di produttori, ma costituisce un eccellente riparo ai “vini di luogo”, ai vini artigiani.
Purtroppo, pensando al Piemonte del vino, io ho solo in mente misure di difficile applicazione: Dare la massima trasparenza a dove va a finire il denaro pubblico. Chi sono le cantine che con incrollabile continuità ne intercettano i flussi? Per quale ammontare anno dopo anno? L’assistenzialismo perpetuo concesso ad alcuni soggetti, acceca la libera concorrenza e frena la crescita. Reintrodurre, per il passaggio alle nuove Docg, il principio del “particolare pregio”, rendendo più stretta e rigorosa la griglia di accesso.
Istituire per il nord-ovest una Igp che abbracci Piemonte, Lombardia occidentale (Oltrepò Pavese), Valle d’Aosta, piacentino ... ne trarrebbe vantaggio il Piemonte del vino che verrebbe finalmente dotato dello scalino ora mancante: quello tra i vini a Do ed i vini da tavola. Di questo progetto credo di averne già intravisto il disegno nella proposta.
Angelo Gaja
Focus - La proposta di modifica delle denominazioni piemontesi
“In Piemonte 66 doc sono troppe; ne bastano 23. Proposta tecnica da parte del Comitato per la celebrazione del 50° anniversario della legge Desana: una drastica revisione che semplifichi e faciliti i commerci mondiali.
Il sistema delle Doc e Docg del Piemonte deve essere profondamente revisionato, correggendo situazioni anacronistiche e incompatibili e soprattutto mettendo gli operatori del settore in condizione di utilizzare al meglio le comunicazioni commerciali. Questa è un’opinione diffusa, di cui si è fatto carico il Comitato di esperti che quest’anno ha realizzato un programma di celebrazioni e un libro sul 50° anniversario della prima legge italiana sulle denominazioni d’origine. Presentata ufficialmente ad una manifestazione della Regione Piemonte, la proposta del Comitato (coordinatore è Andrea Desana) prefigura dettagliatamente un nuovo sistema, articolato su 4 tipi di denominazione:
1) le “premium” cioè quelle prevalentemente indirizzate all’esportazione (Asti, Barbaresco, Barolo, Gavi, Moscato d’Asti) tendenzialmente in crescita verso i 130 milioni annui di bottiglie; la proposta prevede che ai 5 vini se ne aggiunga un sesto (Barbera d’Asti, nella denominazione “Nizza”);
2) una fascia di 9 altre Doc, prevalentemente limitate alla diffusione nazionale (circa 165 milioni annui di bottiglie tendenzialmente in riduzione verso 150 milioni);
3) le “terroir” cioè quelle destinate ad un’area interregionale (35 doc attuali per complessivi 5 milioni annui di bottiglie) che il Comitato propone di ricondurre all’unica Doc Piemonte;
4) infine un limitato numero di 7 Doc “speciali” (per un milione di bottiglie) considerate da collezione.
In sostanza dai 58 decreti istitutivi delle doc attuali scaturiscono ben 66 diverse denominazioni in etichette (per giunta con tante altre sottodenominazioni e specificazioni), quindi una massa esagerata di denominazioni, che il consumatore italiano e il mercato mondiale non potrà mai memorizzare nel suo complesso. Il Comitato propone quindi una drastica riduzione a sole 23 denominazioni: gli spumanti Asti e Alta Langa; i bianchi Gavi e Arneis; i rossi Barbaresco, Barbera d’Asti, Alba, Barolo, Carema, Gattinara, Ghemme, Ruchè di Castagnole Monferrato, inoltre le tre Piemonte, Langhe, Monferrato che possono essere sia bianchi che rossi; infine gli aromatici Brachetto d’Acqui, Caluso Passito, Loazzolo, Moscato d’Asti, Strevi. E’ un progetto articolato e complesso, su cui inizia ora la discussione. Si registra fin d’ora il sostanziale consenso di qualificati ambienti rappresentativi della produzione vinicola piemontese”.
Fonte: www.baroloeco.it
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025