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“Di padre in figlio”: il vino italiano come filo conduttore che unisce i suoi pionieri e discendenti

Riccardo Cotarella, Masi, Antinori, Tasca, Bellavista, San Leonardo, Argiolas, Felluga: nei calici il passato ed il futuro dell’enologia del Belpaese

Dare voce alla storia di alcune tra le aziende del vino più rappresentative del Paese, tracciando il filo conduttore che unisce padri e figli, fondatori e successori: in sintesi, i pionieri e i discendenti che mantengono ed amplificano il successo ottenuto. Uno sguardo al passato e uno verso i nuovi orizzonti, assaggiando per ciascun produttore due bottiglie: una che raffigura la storia, un’annata simbolo del vino e simbolo dell’azienda, l’altra che descrive il presente, in un’annata quindi più recente. È il fil rouge che ha portato il presidente degli enologi italiani e mondiali Riccardo Cotarella e il vice direttore del “Corriere della Sera” Luciano Ferraro ad unire, a Vinitaly 2022, alcune delle famiglie che hanno costruito il successo del vino italiano nel mondo: Masi, Antinori, Tasca d’Almerita, Bellavista, San Leonardo, Famiglia Cotarella, Argiolas e Livio Felluga, raccontati in un calice del passato e un calice recente, nella degustazione “Di padre in figlio”, a suggellare un passaggio di consegne che inesorabilmente le aziende familiari devono affrontare.
“Quando tre anni fa abbiamo iniziato ad immaginare questa degustazione - ha spiegato Luciano Ferraro, vice direttore ma anche “firma del vino” del “Corriere della Sera” - volevamo rispondere ad una piccola provocazione lanciata da “Wine Advocate”, che sosteneva come le aziende del vino italiano non fossero in grado di compiere passaggi generazionali. Non trovo che sia vero e, anzi, credo che oggi, più che una trasmissione di potere “chiavi in mano”, si tratti di un percorso di formazione - anche all’estero - che porta poi i successori a scegliere di tornare in azienda, ovviamente cambiandola”. “Si parla sempre di famiglie e di storia - ha aggiunto il presidente degli enologi italiani e mondiali Riccardo Cotarella - ma non si parla mai abbastanza di passaggio generazionale. Eppure è una tappa fondamentale, che ogni azienda affronta, quando la generazione giovane cerca di capire cosa ha fatto la generazione precedente, senza copiarne gli stili e gli obiettivi”.

Focus - La degustazione: “Di padre in figlio”: Masi, Antinori, Tasca d’Almerita, Bellavista, San Leonardo, Famiglia Cotarella, Argiolas e Livio Felluga
Bellavista, Franciacorta Grande Cuvée Alma
Venendo dal settore edilizio, Vittorio Moretti ha sempre posto questa domanda per assumere persone e testarne la creatività: “come si raddrizza un chiodo storto?”. Il Gruppo Terra Moretti si è distinto grazie alle iniziali intuizioni sulle bollicine italiane, ottenendo risultati brillantissimi. “Ho fatto in modo che il territorio diventasse terroir, facendo vini piacevoli e aderenti alla zona da cui provengono. Il passaggio avviene da diversi anni specialmente con una figlia, Francesca, che si è sempre occupata di vino - ha raccontato il fondatore Vittorio Moretti - anche se è sempre un passo complesso”. Francesca Moretti ha innovato Alma, con la versione non dosata e rendendolo ancora più rappresentativo della Franciacorta: “la futura presenza di Richard Geoffroy (ex chef de cave di Dom Pérignon, come WineNews ha anticipato qui: https://winenews.it/it/rumors-richard-geoffroy-celeberrimo-ex-chef-de-cave-di-dom-perignon-vicino-a-bellavista_466137/) mi aiuterà a mettere ancora più a fuoco il nostro territorio. La Franciacorta è arrivata ad un suo limite di espansione, ma le nuove sfide ci impongono a non fermarci a ciò che abbiamo già raggiunto”
Brut: Dolce di pasticceria, fiori bianchi e pietra focaia, sviluppa note di cedro in bocca, amaricante compreso, decisamente sapido e intenso di sapori.
Pas Dosé: Più floreale venato di vegetale, in bocca è più verticale, con una fresca anima citrina che accompagna tutto il sorso.

Livio Felluga, Colli Orientali del Friuli Rosazzo Bianco Abbazia di Rosazzo
Morto di recente, il fondatore Livio Felluga acquistò i terreni quando tutti li abbandonavano. La famiglia è di estrazione contadina, ma queste radici si erano perse e Livio Felluga le ha recuperate. “Mio padre è sempre presente fra di noi - ha raccontato il figlio Andrea Felluga - nella nostra continua catena di passaggi generazionali graduali senza sosta, che ha coinvolto prima mio fratello maggiore di 11 anni e ora mia figlia Laura”. L’Abbazia di Rosazzo, da cui proviene il vino, è della curia ed i Felluga ne gestiscono la vigna. È un riferimento nazionale di storia medievale, come i fondatori di queste famiglie sono (stati) gli attori principali del rinascimento del vino dopo la Seconda Guerra Mondiale. La storia è effettivamente un leitmotiv fondante del grande vino italiano e “la carta geografica che accompagna da sempre le etichette delle nostre vendemmie - ha concluso Laura Felluga - rappresenta in modo inequivocabile le fortissimi radici da cui proviene la famiglia”.
2018: Morbido e largo, cedro e burro, ginestra, note candite e dolci, molto morbido e glicerico in bocca, ha l’agrumato del cedro che sostiene il sorso caldo e sapido.
2009: Fiori bianchi, bergamotto e pietra focaia, note vanigliate, torna la morbidezza ma c’è meno consistenza e più sapidità agrumata, con un sorso decisamente più scorrevole.

Marchesi Antinori, Toscana Rosso Tignanello
“Un grande vino è la somma di un vigneto e di un’idea”. Così dice Piero Antinori, che voleva fare il pilota, invece, ha fatto la storia del vino italiano nel mondo. Albiera Antinori entra nel 1986 a prendere in mano le redini di una famiglia indissolubilmente toscana. “È la mia prima degustazione con mio figlio Vittorio anziché con mio padre Piero, giusto per scandire il passare del tempo. Un passaggio di consegne non è una cosa virtuale: è fatta di cose concrete e creative all’interno di una tradizione lunga che si passa con la terra, i valori, le idee, la voglia di scoprire”. “Il consiglio più prezioso che mi hanno dato nonno e mamma - ha aggiunto Vittorio Antinori, figlio di Albiera - è di non smettere mai di imparare: dalle persone, dai terreni ... di stimolare la passione e fare qualsiasi cosa con curiosità”.
2018: colore quasi impenetrabile, dai profumi dolci di visciola, amarena, prugna e vaniglia, con cenni di foglia di pomodoro, liquirizia e menta; elegantissimo nella trama, scorre pepato e intenso, senza appesantire la bocca.
2010: tamarindo in prima battuta, poi tanta dolcezza scura e speziata con punte fresche e agrumi surmaturi; in bocca ha un’aderenza sorprendente, che via via si accomiata lasciando la bocca pulita e profumata di fiori essiccati.
Famiglia Cotarella, Lazio Rosso Montiano
Fondata da Riccardo e Renzo Cotarella, fratelli in simbiosi, la cantina è passata definitivamente sotto la guida delle rispettive 3 figlie. “Dal diploma di enologo nel 1968 - a 19 anni - sono rimaste poche cose - racconta Riccardo Cotarella - ma sicuramente non è mai venuta meno la passione per il vino. Per anni mi trascinò l’assoluta mancanza di volontà di fare del mio territorio una comparsa. Povera di ricchezza ampelografica, quando piantai le vigne di Merlot avevo tutto il territorio contro: oggi è una Doc”. A proposito del “non copiare i predecessori”, Enrica Cotarella ha confermato che all’inizio “noi tre cugine ci siamo sbizzarrite nella formazione e nel supporto a persone in difficoltà, per non entrare nelle orme dei nostri celebri genitori, entusiaste e grate di ciò che abbiamo ereditato: in effetti anche noi due sorelle e nostra cugina siamo in simbiosi come i nostri padri”.
2018: impenetrabile agli occhi, dà sensazioni laviche, generoso nei profumi, spezie dolci, sottobosco balsamico, frutta rossa in confettura e sotto spirito; in bocca è dolce e amaricante, fittissimo nella trama, dal finale sapido e fruttato.
2005: naso complesso di cioccolato, tabacco, spezie legnose, note balsamiche boschive ed erbacee, chinotto e alloro; in bocca è verticale, diritto, dallo scheletro vegetale e dal finale speziato.

Tenuta San Leonardo, Vigneti delle Dolomiti Rosso San Leonardo
“Questo vino è miracolosamente immune ai cambiamenti”: così ha detto Jancis Robinson riferendosi al San Leonardo. Carlo e il figlio Anselmo Guerrieri Gonzaga guidano oggi l’azienda, ma fu il nonno a piantare il Cabernet negli anni Settanta e Ottanta, ovviamente non compreso: così però creò un mito. “Le cose in verità non sempre andarono bene, anche finanziariamente: il vino era talmente classico che non interessava più. Quando entrai in azienda - ricorda Anselmo Guerrieri Gonzaga - andavano di moda gli autoctoni, quindi proposi a mio padre di aggiungere il Teroldego. Mi rispose che non capivo nulla e aveva ragione: bisogna preservare l’identità. Ovviamente le generazioni devono andare avanti: abbiamo sviluppato tanti progetti, ma il San Leonardo non si è mai cambiato, se non con adattamenti in vigna per gestire gli inesorabili cambiamenti climatici. Siamo, per esempio, tornati alla pergola per proteggere i grappoli dal cambiamento climatico”.
2015: elegante e confortevole, cassis, balsami di montagna, mon chérie, uva spina, fiori appassiti; il sorso è fresco di agrume e salato, affiora la foglia di pomodoro, la dolcezza della ciliegia e della vaniglia. Vivissimo ed elegante.
2000: affumicato, muschio dal sottobosco, liquirizia e frutta rossa in confettura, ha la calma di chi sa e si gode la vita: vivissimo, frescamente citrino e dal tannino morbido, torna la foglia di pomodoro, per chiudere con note fresche di erba di campo e mandarino.

Tasca d’Almerita, Sicilia Cabernet Sauvignon Vigna San Francesco
Tasca d’Almerita fatto la storia del vino siciliano dagli anni Sessanta in poi. “Vengo da una generazione severa - racconta il Conte Lucio Tasca d’Almerita - e per anni non presi lo stipendio pur lavorando. Quindi decisi di divertirmi facendo vino: fu l’inizio di ciò che ha reso famosa la nostra azienda”. Suo figlio Alberto ha preso in mano l’azienda, concentrandosi sulla sostenibilità ambientale: “è vero, non bisogna copiare, ma bisogna custodire un sistema di valori che personalmente mi ha fatto da ancora. Ho avuto la fortuna di lavorare con un nonno e un padre che mi hanno trasmesso questi valori. Un umanesimo che va trasferito rinnovato, anche nel custodire la terra”.
2018: dolce al naso, foglia di pomodoro accennata e amarena croccante, balsami marini, liquirizia e mirto, in bocca scorre senza sosta, rimanendo impresso man mano che avanza dolce, sapido e fresco di ribes e more.
2008: balsamico di mirto, alloro, resina e muschio, mon chérie, frutta secca; bocca freschissima, tannino morbido e sapido, lievemente amaricante e fitto nell’incedere, fino a chiudere balsamico e fruttato.
Argiolas, Isola dei Nuraghi Rosso Turriga
Francesca Argiolas ha preso in mano l’azienda dal padre Francesco, che ebbe il coraggio - a quei tempi - di fondare un’azienda in Sardegna, pensandola in modo moderno. Chiamò, infatti, Giacomo Tachis, che amava il vino e aveva una particolare passione per la Sardegna e i suoi vitigni autoctoni, che al tempo nessuno conosceva. Francesca oggi continua questo impegno a difendere gli autoctoni: “perché il Cannonau e il Vermentino sono ambasciatori della nostra isola: diversi e caparbi. Ci sono biotipi e varietà nuove da studiare dal punto di vista agronomico e enologico, che ci sorprendono. La sostenibilità me l’ha insegnata mio nonno, che con la sua tirchieria non sprecava nulla. Mio padre invece fu il maestro più severo che io abbia mai avuto e mi ha insegnato una cosa che nessuna scuola mi ha mai trasmesso: l’essere combattiva”.
2018: croccantissimo di more e mirto, eucalipto e cardamomo, pietroso persino al naso; la bocca è calda, fitta e aderente in centro, ma scorrevole ai lati, chiude sapido e fruttato, lievemente amaricante.
2011: meno teso, più rilassato, molto floreale con balsami marini e qualche nota speziata dolce; in bocca si è disteso, con tannini setosi, quasi iodato nel sapore, intensamente caldo e floreale fino a fine sorso.
Masi Agricola, Amarone della Valpolicella Classico Campolongo di Torbe
Una delle cantine più storiche della Valpolicella è sbarcata da pochi anni su piazza affari. Una piccola rivoluzione: “che ha cambiato la nostra possibilità di investimento - ha spiegato Sandro Boscaini - ma non ha di certo cambiato l’impronta famigliare della nostra azienda, visto che è rimasta per 2/3 di nostra proprietà. Proprio il marchio familiare, riconoscibile per la sua affidabilità nel tempo e la sua solidità, ci ha reso interessanti agli occhi degli azionisti”. Arrivata alla settima generazione e alla 250esima vendemmia, Masi è concentrata sul tema sostenibilità: “L’agricoltura dev’essere sostenibile per natura e nella storia - ha concluso Raffaele Boscaini, figlio di Sandro Boscaini - e non possiamo che continuare ad esserlo. Se non trattiamo con passione e amore la terra, non abbiamo la materia prima per fare questo lavoro. Il passaggio generazionale? Non l’ho deciso: l’ho sempre saputo”.
2007: more in confettura, cioccolato e menta, chinotto e fiori appassiti, si sviluppa caldo in bocca, molto balsamico e dal tannino aderente, con cristalli di sale e note agrumate a chiudere il sorso, lungo e caldo e fruttato.
1988: cuoio, sottobosco, pienezza e rotondità, wasabi, mora e agrumi rossi, in bocca è incredibilmente profondo e complesso, dove il tannino si addolcisce, lasciando affiorare freschezza e sapidità, finendo speziato e dolce.

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