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Dopo la consacrazione della spumantistica italiana come responsabile del record in valore dell’export enoico 2016, quali le prossime mosse per fare di più? A WineNews progetti, opinioni e stati d’animo dei Consorzi top delle bollicine italiane

Italia
Progetti, opinioni e stati d’animo dei Consorzi top delle bollicine italiane

Il mondo della spumantistica italiana, preso nella sua multiforme totalità (Prosecco Doc e Docg in testa, passando per Franciacorta, Trentodoc, Oltrepò Pavese e Asti, ndr), sta vivendo un momento di grazia senza precedenti: oltre a essere stato responsabile del nuovo record in valore delle esportazioni enoiche del Belpaese nel 2016, (5,6 miliardi di Euro, +4,3% sul 2015), e a fronte di un settore dei fermi che ha rallentato la sua crescita, il comparto sta trovando una buona presa anche sul mercato domestico. E le cose sembrano andare decisamente bene anche in questa prima parte del 2017. Ma, soprattutto, l’export della tipologia è esploso, secondo i dati contenuti nel “Dossier Spumanti” n. 5 de “Il Corriere Vinicolo” di Unione Italiana Vini (Uiv), passando dai poco meno di 0,5 milioni di ettolitri del 2005 ai 3,4 milioni dello scorso anno (contro gli 1,7 milioni di Francia e Spagna) e dando così all’Italia la corona di esportatore top in volume. La performance è stata altrettanto lusinghiera anche in valore, passando da 0,33 a 1,32 miliardi di dollari, e questo ha garantito il 16% dell’export in volume e il 21% in valore nell’anno passato (dato, quest’ultimo, che è triplicato nel periodo compreso tra 2000 e 2016). Come è possibile, quindi, capitalizzare al massimo questo ottimo momenti, e declinarlo nel breve e medio periodo, secondo le caratteristiche, le unicità, gli scopi e le opportunità delle declinazioni delle bollicine tricolori dentro e fuori il nostro Paese?
WineNews lo ha chiesto ai vertici di alcuni dei Consorzi più rappresentativi del mondo degli sparkling del Belpaese, cominciando dai due che rappresentano il nome che più di ogni altro è divenuto simbolo dell’exploit globale del comparto, ovvero Prosecco Doc e Conegliano e Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg. Per Stefano Zanette, presidente del Prosecco Doc, i punti chiave sono promozione e comunicazione, sia nei mercati più di riferimento che in quelli più “di frontiera”, oltre al consolidamento di una crescita qualitativa, e di valore, che accompagni quella avvenuta in volume (secondo i dati dell’ente, nel solo primo trimestre del 2017 sono stati imbottigliati 750.596 ettolitri di Prosecco Doc, circa la metà di quanto fatto nell’intero 2012, e ampiamente in linea con i 3.081.699 del 2016, 2.060.404 dei quali hanno varcato i confini nazionali). Una crescita sorprendente, ma che, ha dichiarato Zanette a WineNews, “ha dietro un progetto, non un’improvvisazione”. Attuato con interventi che sono stati messi in campo fin dal primo momento, “e mi riferisco a scelte che sono state decise in un momento in cui erano impopolari, come quella di mettere la denominazione sotto blocco dei nuovi impianti per avere una gestione del potenziale, o lo stoccaggio per il governo dell’offerta per alcuni anni, per mantenere in equilibrio domanda e offerta, e una scelta libera ma fondamentale, quella della fascetta obbligatoria”. Inoltre la crescita vertiginosa “non è stata a discapito del valore, che sarebbe stato anche logico e giustificato, ma c’è stato un raddoppio del valore della materia prima: vuol dire che i produttori, di fronte a una crescita del numero delle bottiglie, hanno avuto anche una crescita di reddito, che è stato più che raddoppiato in questi anni”. Una crescita che però va guidata e sostenuta, e per farlo l’ente presieduto da Zanette ha scelto la via delle “Case del Prosecco”: “quest’anno abbiamo annunciato al ProWein “Casa Prosecco” ad Amburgo, a Vinitaly ne abbiamo annunciata una a New York, e quando andremo a Londra avremo la nascita di “Casa Prosecco” anche nel Regno Unito”. Un progetto che permette “di avere la sensibilità di quelle che sono le richieste del consumatore locale”, e che si declina nei principali mercati non solo della denominazione, ma del comparto globale degli spumanti, ovvero Uk, Usa e Germania (ma che, per il macrocosmo Prosecco, vogliono dire il 38, il 24 e il 6% dell’export totale, seguiti dal sorprendente 5% circa della Francia, e con un ulteriore 25% che si declina in più di 146 destinazioni diverse). C’è anche però attenzione all’Asia: “il mercato cinese è uno di quelli in cui stiamo sicuramente cercando di lavorare, e cominciamo a vedere risultati incoraggianti: ci sono poi i cosiddetti paesi obiettivo, come da quest’anno anche il Canada, e il Giappone, dove andiamo a fare delle azioni promozionali di una certa incisività. Tutto questo”, nota il Presidente del Consorzio del Prosecco Doc, “per riuscire a diversificare quello che è in questo momento uno dei limiti che siamo consapevoli di avere, una concentrazione molto importante in tre mercati”. Il primo dei quali, oltretutto, è avviluppato in un’aura di incertezza palpabile a causa della Brexit. Sicuramente il distacco del Regno dall’Unione, quando avverrà, e secondo modalità ancora tutte da definire, “porterà sicuramente degli scompensi generali”, ha detto Zanette, ma “le conseguenze andranno sicuramente ad interessare anche altri ambiti, e altri vini europei di grande tradizione. Siamo in buona compagnia. Certo che per noi in questo momento, essendo il primo mercato, una certa preoccupazione è doverosa. Non possiamo far finta che non possa esserci questo problema, cerchiamo di stare attenti a come operiamo e di essere pronti”.
Un’attenzione condivisa anche da Innocente Nardi, presidente del Consorzio di tutela del Conegliano e Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg: “siamo consapevoli che la Brexit ci sarà. Però non a brevissimo: fra due anni, se non un anno e mezzo, di conseguenza credo che in questo momento la nostra strategia debba essere quella di far conoscere il più possibile le qualità e il territorio. Ci possono essere due effetti, al di là di regole di chiusura delle importazioni che non credo siano da immaginare, ovvero sul cambio e sulla tassazione. Il mercato del Regno Unito è già uno di quelli con le accise più alte, quindi credo che cambierebbe relativamente poco: per il cambio, resto dell’idea che i fondamentali economici del Regno Unito non sono certamente peggiori di quelli del sistema Paese Italia, Francia e Spagna, quindi penso non si possa pensare a una grande svalutazione della Sterlina. Inoltre, dal mio modesto punto di vista di modesto viticoltore, il Regno Unito, a parte qualche milione di bottiglie di metodo classico, non ha un prodotto concorrente che possa portare il Governo a fare azioni di protezionismo”. A differenza del Prosecco Doc, il Conegliano Valdobbiadene ha un mercato domestico che assorbe il 59% dei 90 milioni di bottiglie prodotti, e di conseguenza il focus dell’azione risiede nel rafforzamento di quel trend positivo (specialmente nell’horeca, che “pesa” per il 30% del mercato nazionale) che ha portato a crescite a doppia cifra al centro-sud nel 2016: “il primo trimestre 2017 conferma il dato dello scorso anno. Il trend è positivo, con qualche punto percentuale in aggiunta”. Oltreconfine, comunque, il Conegliano Valdobbiadene sta crescendo “in modo particolare nei mercati legati al fenomeno Prosecco: storicamente i nostri mercati erano quelli di lingua tedesca, in questo momento riscontriamo una crescita significativa nel mercato anglosassone, il mercato del momento. La nostra azione è quella di far conoscere i 3 elementi valoriali del Conegliano, quindi in primis il territorio, che adesso con il proprio paesaggio è candidato ufficialmente come Patrimonio dell’Umanità Unesco; la storia, perché Conegliano è un centro di ricerca e di sapere a livello internazionale, dove è nata la prima scuola enologica nel 1876; e poi il saper fare, la cultura di imprenditorialità diffusa che sta diffondendo una sapienza positiva legata all’artigianalità. Abbiamo 3.200 viticoltori e 187 aziende imbottigliatrici: una “sapienza diffusa” che permette di far conoscere questo fenomeno artigianale”.
Dal Martinotti passiamo poi al metodo classico, e dal Veneto alla Lombardia, dove l’outlook è altrettanto positivo, come descritto a WineNews da Silvano Brescianini, vice presidente del Consorzio Franciacorta Docg: “nel 2016 abbiamo spedito 17,4 milioni di bottiglie, il Saten è cresciuto del 14% e il Rosè dell’11%. L’export è aumentato del 15% nel 2016, e stiamo facendo meglio nel 2017”. Per la denominazione bresciana, però, va detto che i mercati esteri di riferimento, in un quadro nel quale le esportazioni sono ben sotto al 30% del totale, sono molto diversi da quelli del Prosecco: “il principale è sicuramente il Giappone, con il 22% delle vendite, poi la Svizzera col 15% e la Germania col 13%, seguita dagli Usa con il 12%”. Tutti mercati “che stanno crescendo a doppia cifra, oltre il 20% per Giappone, Germania e Usa”, e anche il Regno Unito, pur nell’ambito di quote di mercato e volumi ben più contenuti, “sta crescendo di oltre il 20%”. E se in Giappone la recente tensione geopolitica dovuta all’irrequietezza della Corea del Nord sembra al momento essere rientrata, altrettanto sembra potersi dire per le dichiarazioni d’intenti protezionistiche dell’inquilino della Casa Bianca: “per fortuna Trump non sta facendo quello che ha dichiarato in campagna elettorale, e dubito che gli Usa introdurranno dazi sul vino, anche perché stanno diventando un Paese produttore interessante, California in primis, e il loro primo mercato di sbocco è proprio l’Unione Europea. Quindi non credo che sia ragionevole come possibilità”. Per quanto riguarda il futuro, la Franciacorta vuole crescere oltreconfine, ma in mercati maturi più che di frontiera: “il nostro presidente attuale, Vittorio Moretti, e anche il suo predecessore, Maurizio Zanella, hanno dichiarato che l’export della Franciacorta deve arrivare almeno al 30-40%. La nostra esperienza ci dice che abbiamo bisogno di mercati che conoscono il vino, e che hanno già presente il concetto di vino di qualità. C’è bisogno di un consumatore evoluto”, ha concluso Brescianini.
Di metodo classico in metodo classico, WineNews si è poi rivolta all’Istituto TrentoDoc, il cui presidente Enrico Zanoni ha innanzitutto rimarcato le performance delle “bollicine di montagna” del Trentino: “il 2016 ha visto una crescita a volume del 10%, arrivando a superare di poco gli 8 milioni di bottiglie, e tra il 13 e il 14% in valore”. Per quanto riguarda l’estero, l’opinione di Zanoni è che “la forte crescita del Prosecco sta attirando l’attenzione sull’Italia come paese di produzione spumantistica, e quindi stiamo assistendo a un crescente interesse anche sui metodo classico”. Tuttavia, anche la denominazione trentina vede come core market l’Italia, dove ha luogo l’80% delle vendite, e che per il TrentoDoc è cresciuto più dei mercati stranieri, quindi “anche a livello di strategia la priorità viene data al mercato domestico, dove crediamo di avere spazio, sia perché il metodo classico ha spazio di crescita, sia perché riteniamo di avere capacità per prendere quota di mercato a qualcun altro”, ha rimarcato. Essendo queste le priorità, la strategia per il futuro della denominazione passa per azioni che “rimangono in coerenza e in continuità con quelle attuate negli ultimi anni, vale a dire un rapporto stretto con l’Ais, una serie di eventi sul territorio nelle zone di maggior vocazione turistica per dare opportunità a chi è qua in vacanza per trovare il prodotto sul territorio da cui proviene, quindi un esempio di marketing esperienziale, in più una serie di eventi sul territorio”. Così come per il Conegliano Valdobbiadene Docg, ad ogni buon conto, è l’horeca ad alimentare la crescita del mercato interno: “deduco dai dati che stanno crescendo molto più i millesimati a riserve, che sono un prodotto principalmente da horeca. I prodotti della gran parte dei nostri associati vengono venduti al 90% in quel circuito, quindi la crescita in questo settore è sicuramente importante”. L’estero, comunque, non passa del tutto in secondo piano, con particolare attenzione agli Stati Uniti: “riteniamo che siano un mercato su cui cominciare a lavorare in un’ottica prospettica, e anche quest’anno, come i due passati, abbiamo delle attività rivolte a opinion leader del settore, ma da oggi sono allargati a influencer di costume e società, con degustazioni, incontri e presentazioni”. Nessuna cifra per il 2017 dall’osservatorio economico della denominazione, ma il sentiment è positivo: “abbiamo un trend di crescita, e mi sento di dire che anche questi primi mesi lo confermano”.
Forse più defilata, ma sicuramente interessante, è la situazione in un altro grande territorio della spumantistica tricolore, l’Oltrepò pavese: un distretto di gloriosa e antica tradizione, e che sta recentemente trovando un nuovo slancio. Secondo Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese, “ci sono problematiche, ma partiamo da dati positivi. Nel nostro caso l’Oltrepò pavese metodo classico Docg, nella sua versione bianca e Cruasè, ha fatto registrare una crescita del 21% in volume negli ultimi 5 anni. C’è molto da fare per consolidare il mercato italiano in primis - ha ammesso - e poi, purtroppo, si esporta poco metodo classico nel mondo: c’è molto spazio di crescita. Non credo che la situazione generale debba fare paura, forse deve fare paura considerare competitor le altre zone italiane. In realtà bisognerebbe fare gruppo e creare una grande colonna del metodo classico italiano da portare nel mondo”. Un’azione corale, quindi, e di sistema, in un quadro nel quale il distretto lombardo può vantare buone performance e tutte le carte in regola: “13.500 ettari di vigneti, 3.000 dei quali a Pinot Nero, e 1.700 aziende. Dall’Oltrepò proviene il 65% del vino di Lombardia - ha sottolineato Bottiroli - e vogliamo andare lontano col metodo classico Docg, che per noi è anche un pezzo di storia importante. Abbiamo voglia di riconquistare spazio nelle grandi città nell’horeca italiano, ma anche di guardare all’estero: da due anni siamo concentrati sui mercati degli Stati Uniti, della Svizzera e del Giappone”. E, in quest’ottica, ha proseguito, “ci aiuterà senz’altro anche il ritorno in attività della storica Cantina La Versa, a partire dalla prossima vendemmia”. In ultima analisi, però, la svolta che Bottiroli auspica per il territorio del Consorzio è da declinare sulla qualità, e quindi del prezzo medio: “oggi probabilmente l’Oltrepò pavese ha bisogno di smettere di ragionare a volumi e ragionare a valore, e senz’altro la maturità raggiunta dai nostri produttori, soprattutto sul metodo classico, ci può aiutare in questo”.
Infine, un territorio le cui bollicine si trovano ad un punto di svolta rilevante, dopo qualche difficoltà, nella loro blasonata storia, ovvero quello dell’Asti Docg: un cambio di passo, se si vuole, rappresentato non solo dall’innovazione dell’Asti secco, ma anche dalla necessità di trovare una nuova ragion d’essere in un momento storico ampiamente positivo per l’Italia degli sparkling. Le direttrici di marcia, per il direttore del Consorzio, Giorgio Bosticco, sono quattro: “il mercato statunitense, dove abbiamo ottenuto per i prossimi tre anni direttamente dalla Comunità Europea un contributo di sei milioni di euro, insieme all’Istituto Salumi Italiani e al Consorzio del Provolone della Val Padana. Faremo educazione sulle denominazioni, e punteremo sull’aperitivo in molti rinomati ristoranti americani, dove abbineremo Asti dolce, Asti secco, se sarà disponibile per ottobre/dicembre, e il Moscato d’Asti nel momento di attesa del sedersi a tavola. L’altra area alla quale sicuramente continuiamo a prestare attenzione è quella del sud-est asiatico, Cina in primo luogo, che sta dando segnali molto interessanti, e terzo il mercato che era il più importante, e che a seguito delle crisi economiche si è fermato, che è quello russo. Quarto quello italiano, dove stiamo preparando una strategia di comunicazione e riposizionamento”. I numeri del primo quadrimestre 2017, ha puntualizzato Bosticco, sono positivi: “vedono la denominazione con il Moscato d’Asti al +13% in volume, e l’Asti con un +1,7%, per un totale di +10%”. Di conseguenza, il momento è propizio per l’Asti secco, il cui “battesimo” avverrà nei confini nazionali: “il battesimo si fa solitamente in casa, quindi la “parrocchia” sarà il mercato italiano - ha puntualizzato Bosticco - il lancio nazionale e poi internazionale si svolgeranno appena avremo il riconoscimento della pubblicazione di modifica sulla Gazzetta Ufficiale. Poi cercheremo di avere i nostri spazi in un contesto che non va a togliere niente a nessuno: dalle nostre analisi di mercato l’Asti secco, pur considerandolo un’integrazione all’Asti Doc tradizionale, dovrebbe andare a toccare nuovi consumi. Abbiamo investito in ricerche di mercato in Italia e Germania, e in minima parte il consumatore ha propensione di acquisto sostitutiva rispetto al Prosecco: diventa un’occasione di consumo aggiuntiva, e questo è confortante per tutto il settore spumantistico italiano”. Infine, ha sottolineato, “va riconosciuto tutto il merito per quello che gli amici del Prosecco sono riusciti a fare in questi anni”.

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