
Colpito dai dazi del 20% voluti dagli Usa di Donald Trump, che non sono più una promessa, ma una realtà da analizzare, valutare e, allo stesso tempo, alla cui reagire, e dal vento dei consumi giovanili che stanno mutando velocemente e a cui il settore è chiamato ad intervenire cambiando, in primis, il suo approccio per diventare più accessibile e aumentare il proprio appeal verso le nuove generazioni, il vino si trova ad affrontare quello che si può definire un “anno zero”. Ma un nuovo inizio significa anche opportunità e l’allarmismo può e deve essere cancellato a favore di un pragmatismo e una visione di insieme efficaci, con la convinzione che il vino italiano può continuare a scrivere la propria storia con successo e prestigio. Dei dazi Usa e della trasformazione radicale dei consumi tra i giovani se ne è parlato nel convegno “Tra dazi e rivoluzione dei consumi: il vino a una svolta storica?” organizzato, oggi, da Federvini a Vinitaly 2025, a Verona, con la partecipazione, insieme alla presidente Federvini, Micaela Pallini, del senatore Luca De Carlo, presidente Commissione permanente industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare del Senato, Albiera Antinori, presidente Gruppo Vini Federvini, Bruna Boroni, director Industry away from home Tradelab, Stevie Kim, managing partner Vinitaly, Alberto Mattiacci, ordinario di Economia e gestione delle imprese all’Università Sapienza di Roma, e di Denis Pantini, responsabile Agrifood & Wine Monitor Nomisma.
Il tema dei dazi, che sta catalizzando l’attenzione del settore, è stato ovviamente centrale. Secondo i dati elaborati dal Nomisma Wine Monitor per Federvini, l’export di vino italiano verso gli Stati Uniti vale quasi 2 miliardi di euro l’anno, con una netta prevalenza di vini Dop: il mercato statunitense rappresenta da solo il 24% dell’export mondiale del vino italiano e, l’introduzione di dazi fino al 20%, metterebbe per Federvini a rischio l’equilibrio competitivo del made in Italy, con un aumento dei prezzi medi all’importazione dei vini Dop che potrebbe variare di +0,90 euro/litro per il Prosecco e fino a +2,60 euro/litro per i vini rossi piemontesi e +2,40 euro/litro per i rossi toscani. Tutti sono a rischio, ma il peso è diverso: tra i vini più esportati nel 2024 negli Usa, i bianchi del Trentino e del Friuli hanno inciso del 48% per il valore dell’export totale, seguiti dai rossi della Toscana (40%), i rossi del Piemonte (40%), i bianchi della Toscana e del Veneto (29%), il Prosecco (27%), i rossi della Sicilia (20%), regione i cui bianchi valgono il (14%), i rossi del Veneto (12%), l’Asti (10%) e i bianchi del Lazio (8%). Tenendo conto che, fa notare Federvini, “dalla dogana allo scaffale il prezzo del vino aumenta mediamente di 4 volte (alla luce del sistema distributivo statunitense, che per legge stabilisce tre passaggi intermedi - importatore, distributore, dettagliante - prima di arrivare al consumatore) e in un contesto di mercato dove Paesi come Cile, Australia e Argentina, ma soprattutto i produttori californiani, offrono vini a prezzi più bassi (senza dimenticare la “potenza” dei bianchi neozelandesi sul mercato, colpiti in misura inferiore dai dazi ndr), il rischio di disintermediazione del vino italiano dai canali distributivi americani è concreto”.
Con i dazi di Trump i prezzi medi all’import cambiano infatti, ha spiegato Denis Pantini (Nomisma-Wine Monitor), da 6,47 euro al litro a 7,77 per il vino italiano nella categoria dei vini fermi e frizzanti, mentre per la Francia, leader in valore, da 10,97 a 13,17 euro. Per gli spumanti l’Italia passa da 5,16 a 6,19 euro, la Francia da 21,52 a 25,82 euro. Nel canale “off-premise”, e quindi della grande distribuzione, molto importante negli Usa e su cui il fattore prezzo incide molto, l’Italia, per i vini fermi, nel 2024 si è presa il 7,6% delle vendite, secondo Paese al mondo dietro soltanto ai “padroni di casa” della California (66,8%). Che adesso, questo è il timore, può crescere ancora di più, forte di un prezzo maggiormente competitivo (nel 2024, la bottiglia da 0,75 litri aveva un prezzo medio di 8,93 dollari contro gli 11,48 dell’Italia). La “consumer servery” sui principali vini concorrenti dell’Italia, vede in testa Francia (43%), Usa (39%) e Nuova Zelanda (22%) per i bianchi, Francia (47%) e Usa (37%) per i rossi, Usa (42%), Francia (41%) e Spagna (22%) per i rosè. Ma se la Francia ha da “scontare” gli stessi dazi dell’Italia è facile immaginare che la quota del vino americano possa crescere e togliere spazio al vino italiano ed europeo. Con i nuovi dazi il prezzo allo scaffale nell’off-premise salirebbe, infatti, per l’Italia a 13,2 dollari (bottiglia da 0,75 litri), e a 19 dollari per la Francia, mentre si ridurrebbe la forbice con la Nuova Zelanda (che passa da 13,4 a 14,2 dollari). Ovviamente il vino californiano resterebbe a 8,9 dollari e, nel 2025, con il dazio, il differenziale di prezzo passerebbe da +17% a +48%. Non una bella notizia, considerato che, dal 2019 al 2024, il vino italiano negli Usa è cresciuto in tutte le sue tipologie ad esclusione del rosso (-2%), ma con un forte exploit per gli spumanti (+32%) e buoni risultati per frizzanti (+6%) e bianchi (+2%). La buona notizia è invece che “un’altra metà delle nostre esportazioni - ha detto a Denis Pantini a WineNews - finisce nel canale on-premise, quello della ristorazione, e qui difficilmente i ristoranti italiani sostituiranno un vino italiano con un concorrente nella wine-list”, anche se “può capitare che quei vini che non hanno un brand molto forte rischino di essere sostituiti con vini della stessa denominazione, ma più economici”.
Federvini ha poi fatto notare che “la crescente preferenza per i vini dealcolati e low alcol sta modificando i trend di consumo. In particolare, le vendite dei dealcolati in Germania e Stati Uniti sono aumentate significativamente, con un incremento in valore nell’ultimo triennio rispettivamente del 23% e del 54%. Un’evidenza che va letta nel quadro di una generale riduzione di chi ha consumato vino in casa e fuori casa nella fascia d’età tra i 23 e i 35 anni negli ultimi 12 mesi rispetto a tre anni fa (-32% negli Usa, -37% nel Regno Unito, -39% in Germania e -24% in Francia). Le dichiarazioni di consumo raccolte da Nomisma per i prossimi 12 mesi mettono in luce un numero crescente di consumatori giovani (23-35 anni) che preferirà vini low/no alcol rispetto a quelli tradizionali: il 34% negli Stati Uniti, il 25% nel Regno Unito, il 26% in Germania e il 20% in Francia”. Riguardo, invece, “ai fattori decisivi per l’acquisto di vino nell’ultimo anno, emerge come il driver legato alle caratteristiche green sia stato importante per il 41% dei consumatori tra i 23 e 35 anni britannici, il 35% degli statunitensi, il 32% dei tedeschi, il 38% dei francesi e il 34% degli spagnoli. In Spagna invece il prezzo (per il 50% degli intervistati) diventa più rilevante nella scelta di acquisto di un vino, così come in Francia (40%), mentre negli Usa e in Germania il brand figurano in testa ai criteri, rispettivamente per il 37% e il 35% dei consumatori. Interessante notare comunque che in tutti i mercati, per i consumatori più giovani la sostenibilità di un vino supera l’interesse per il biologico”. I “frequent users”, persone tra i 23 ed i 35 anni che hanno consumato vino per 2-3 volte a settimana, sono il 18% negli Usa, il 19% in Gran Bretagna, il 21% in Germania, il 29% in Francia e il 27% in Spagna, altro segnale dei gusti che cambiano.
Capitolo “giovani & vino”. I dati evidenziati dalle indagini condotte da TradeLab per la Federazione mostrano una profonda trasformazione nel rapporto tra i giovani e il vino. In Italia i consumatori dai 23 ai 34 anni rappresentano oggi il 20% del mercato a valore e il 19% delle visite complessive del fuori casa. Una fascia d’età che genera il 18% del consumo di bevande alcoliche - preferendo cocktail e spiriti lisci (24%) rispetto a vino (13%) e bollicine (16%) - e quasi il 30% delle consumazioni analcoliche. Tuttavia, nelle occasioni serali, si intravedono significative opportunità di crescita per il consumo di vino e bollicine, specialmente durante cene e aperitivi. Quando si tratta di scegliere il vino, i giovani tendono a farlo autonomamente (95%), con un’attenzione particolare al prezzo e alla sostenibilità, fattori che influenzano maggiormente la loro decisione rispetto ad altri criteri come l’abbinamento con il cibo o l’origine del vino. Inoltre, cresce l’interesse per i vini a basso contenuto alcolico o senza alcol, segnalando una tendenza verso una bevanda più leggera e accessibile, con il 43% degli italiani che si dichiarano intenzionati a consumarli, mentre quasi il 70% è già a conoscenza di prodotti dealcolati o a bassa gradazione.
La presidente Federvini, Micaela Pallini, sempre sui dazi, ricorda che “l’Europa ci è già passata, speriamo che sia una misura transitoria. Rispetto al 2018-2019 (l’Italia, a differenza di un Paese come la Francia, non fu colpita dai dazi, ndr) ci troviamo in una fase diversa, il consumatore americano ha infatti perso potere di acquisto. La situazione è preoccupante, ma dobbiamo parlare con una voce unica. Intanto, iniziano le voci di protesta negli Usa, vediamo quello che succederà”. Ma Pallini ha sottolineato anche come, “allo stesso tempo, la platea dei consumatori sta cambiando e con loro i criteri di scelta dei prodotti. Dobbiamo essere in grado di intercettare ed agganciare i gusti in evoluzione per poter garantire un’offerta in linea con le nuove tendenze”. Per affrontare la transizione e mantenere la competitività, Federvini “sostiene come sia cruciale un’azione diplomatica unitaria a livello europeo per fermare i dazi Usa, che minacciano i vini a denominazione, simbolo dell’identità enologica italiana. È necessario adottare misure fiscali immediate, come incentivi per le aziende che investono in innovazione, sostenibilità, digitalizzazione e internazionalizzazione. Inoltre, è fondamentale lanciare una nuova stagione di promozione istituzionale all’estero, per presentare il vino italiano come emblema di qualità, stile di vita mediterraneo e consapevolezza. Per coinvolgere le nuove generazioni, è fondamentale offrire esperienze di consumo innovative e inclusive, supportate da percorsi educativi e culturali stimolanti e significativi”.
Albiera Antinori, presidente Gruppo Vini Federvini, sostiene che i dazi “avranno un effetto sui consumatori americani che avranno meno potere di acquisto. Ma è difficile dare un giudizio ora, servirà saper negoziare. Non si deve andare nel panico, ma piuttosto tenere duro con le filiere distributive. I vini francesi ebbero un crollo del 24%, ma poi si sono ripresi, noi abbiamo un asset su cui non scivolare e, vedendo anche l’andamento delle borse, chissà che non ci possa essere un ripensamento sui dazi”. Antinori ha aggiunto che “il nostro comparto oggi affronta due grandi sfide: da un lato il rischio di perdere quote di mercato all’estero, dall’altro la difficoltà di comunicare in modo efficace con le nuove generazioni. Sono due fronti che non possiamo ignorare. Dobbiamo saper innovare il linguaggio, usare i canali giusti e coinvolgere i giovani in un racconto autentico che sappia emozionare e far capire davvero cosa c’è dietro ad una bottiglia di vino: le origini, le peculiarità di ogni territorio, l’artigianalità dei processi, l’impronta dell’uomo nella ricerca dello stile e della qualità, e l’unicità irripetibile di ogni annata. Solo così potremo costruire un futuro solido e competitivo per il nostro comparto”.
Il senatore Luca De Carlo ha sottolineato come i dazi “su certe tipologie di prodotto non avranno l’effetto sperato. Ma quelli che non sono ad alto valore aggiunto, e non è il caso dell’agroalimentare, soffriranno. Per questo serve trovare buoni accordi e poi nuovi mercati, non fare una guerra commerciale”.
Matteo Zoppas, presidente Agenzia Ice, ha dato notizia della pubblicazione di una nota informativa (vedi focus) per le aziende, uno strumento che risponde alle domande e ai dubbi più frequenti. “Adesso - commenta Zoppas - siamo nel punto più basso della negatività ma si può risalire. I buyers ad ora non cedono di un millimetro ma andrà trovato un equilibrio dove tutti ci possano guadagnare”.
Alberto Mattiacci, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all’Università Sapienza di Roma, più che sui dazi, “che passeranno”, è preoccupato “per l’attacco salutista. E sui giovani dico che oggi sono disincantati, servono semplicità e leggerezza per riconquistarli”.
Focus - La nota informativa dell’Agenzia Ice per le imprese italiane sui nuovi dazi statunitensi
- “Regolamentazione delle Importazioni con Dazi Reciproci per Correggere le Pratiche Commerciali che Contribuiscono a Grandi e Persistenti Deficit Annuali della Bilancia Commerciale degli Stati Uniti”
Nota informativa dell’Agenzia Ice per le imprese italiane sui nuovi dazi statunitensi (2 aprile 2025)
La presente Nota informativa si rivolge alle imprese italiane interessate o già operative sul mercato USA, a seguito della recente decisione di adottare nuovi dazi
da parte dell’Amministrazione Trump. Nel fornire indicazioni di carattere generale si rinvia ai documenti pubblicati dall’Amministrazione USA quale riferimento ufficiale:
- Regulating imports with a reciprocal tariff to rectify trade practices …
- Fact Sheet: President Donald J. Trump Declares National Emergency …
1. Aliquota e data di entrata in vigore
Dalle 00:01 del 5 aprile si applica la tariffa del 10% a tutti i Paesi.
Dalle 00:01 del 9 aprile si applica all’Unione Europea l’ulteriore dazio del 10%.
Il dazio stabilito per i prodotti provenienti dall’UE è quindi pari al 20% salvo quanto specificato oltre.
2. Cumulabilità con dazi pre-esistenti
Dalle informazioni disponibili, le nuove aliquote si applicano in aggiunta a quelle preesistenti. Tuttavia, è consigliabile verificare caso per caso con il proprio
spedizioniere, con i consulenti doganali di fiducia o direttamente allo U.S. Customs and Border Protection.
3. Categorie merceologiche escluse alla data di oggi
Non sono colpite dalle nuove aliquote le seguenti categorie di prodotti (salvo modifiche successive); invece del codice Ateco, è stato menzionato l’Harmonized Tariff Schedule (HTS) Code perché rappresenta il codice di riferimento per le Dogane Statunitensi
all’ingresso dei prodotti negli Stati Uniti.
- Settore automobilistico (HS code 8701 - 8702 - 8703 - 8704 - 8705) e loro componenti (8407 - 8408 - 8511 - 8706 - 9401.20 - solo alcuni codici all’interno della categoria 8708) su cui già si applicano le nuove aliquote su acciaio ed alluminio;
- Prodotti farmaceutici (HS code 3001 - 3002 - 3003 - 3004 - 3005).
- Rame (HS code 7401 - 7402 - 7403 - 7404 - 7407 - 7408 - 7409 - 7411 - 7413 - 7419); e Semiconduttori (HS code 8541 - 8542);
- Componenti e ricambi di settori strategici statunitensi (aerospaziale (HS code 8802 - 8803 - 8805), difesa (HS code 9301 - 9302 - 9305 - 9306 - 8526.91 - 9014.80 - 9014.20)) che rientrano in specifiche esenzioni;
- Alcune materie prime non disponibili in quantità sufficiente sul mercato interno USA, come determinati minerali e terre rare;
- Legname (HS code 4403 - 4407 - 4412 - 4410 - 4411 - 4406 - 4404 - 4409 - 4415).
Per maggiori approfondimenti, si consiglia di consultare elenco dettagliato dei prodotti, come indicato nell’Allegato II dell’Ordine Esecutivo 14256, che non sono
soggetti alle nuove aliquote ad valorem previste dall’Ordine Esecutivo del 2 aprile.
4. Categorie merceologiche soggette a dazi diversi
Nel medesimo provvedimento, vengono confermati o introdotti dazi differenziati per alcune categorie di prodotti:
- Acciaio e alluminio: dazi rispettivamente del 25% e 10% rimangono invariati;
- Semilavorati tecnologici: potrebbero essere soggetti ad aliquote diverse (tra il 10% e il 15%), a seconda del contenuto tecnologico e della rilevanza sulla sicurezza nazionale statunitense;
- Altri prodotti di importanza strategica: sono possibili modifiche o aumenti temporanei di dazi per ragioni di sicurezza nazionale. È fondamentale rimanere aggiornati consultando la sezione Tariffa Doganale degli Stati Uniti (Harmonized Tariff Schedule - HTS).
5. Spunti di azione per l’azienda esportatrice
Le imprese italiane che esportano verso gli Stati Uniti dovranno allo stato attuale:
- Verificare la classificazione doganale dei propri prodotti (codice HS) per comprendere se rientrano nelle nuove aliquote;
- Verificare tramite i propri accordi Incoterms di consegna al cliente se il dazio è a carico del produttore o del cliente;
- Coordinarsi con spedizionieri e operatori doganali per assicurare la corretta applicazione delle procedure di sdoganamento e l’eventuale pagamento dei dazi all’atto dello sdoganamento, prima che la merce sia rilasciata negli USA;
- Monitorare possibili eccezioni o meccanismi di esclusione: l’Amministrazione potrebbe offrire esenzioni a singole imprese o prodotti, specialmente nel caso di importazioni non reperibili a livello domestico USA.
Si raccomanda di consultare il sito ufficiale della United States International Trade Commission per trovare l’ultima versione dell’Harmonized Tariff Schedule of the United States.
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