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ECONOMIA

Export, la tenuta del vino (-2,2% nel 2020 sul 2019) letta in “chiaro-scuro” dai produttori

Risultato positivo, ma, secondo molti, il dato aggregato non racconta la difficoltà reale sui mercati di gran parte del mondo del vino italiano
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Export, la tenuta del vino (-2,2% nel 2020 sul 2019) letta in “chiaro-scuro” dai produttori

Un segnale importante di tenuta del vino italiano, una conferma del suo apprezzamento nel mondo anche in pandemia, e da cui ripartire. Ma il -2,2% nelle esportazioni di vino italiano nel 2020 (sul 2019) messo nero su bianco dall’Istat (come già riportato da WineNews), nasconde in parte la reale difficoltà che sta vivendo molto del tessuto imprenditoriale del vino italiano, soprattutto quelle piccole e medie realtà focalizzate nell’alto di gamma che, nonostante uno scenario distributivo meno polarizzato nel mondo rispetto all’Italia, hanno sofferto lo stop, ancora in gran parte in atto, della ristorazione e dei viaggi, che, per una certa fascia di vino, resta predominante. Senza contare che molto ha inciso il primo bimestre 2020, con il mondo ancora fuori dalla pandemia, Cina a parte, e con le spedizioni di vino italiano molto accelerate sulla norma (soprattutto in Usa e Uk), da un lato per la paura dei dazi poi mai arrivati, dall’altro per anticipare gli effetti della Brexit che iniziano, invece, a farsi sentire. Inoltre, un altro aspetto reale da capire è quanto del vino italiano che ha raggiunto i mercati sia finito davvero nelle mani dei consumatori, e quanto sia ancora nei magazzini di importatori e distributori, con un’onda lunga del Covid che rischia di rivelarsi più impattante di quanto visto finora, in attesa di una ripartenza ancora da vedere, ma che il procedere delle campagne vaccinali nel mondo fa sperare sia sempre più vicina. È la lettura, a WineNews, di imprenditori e manager di aziende piccole e grandi, storiche e più giovani, imprese private e cooperative, che rappresentano un buon spaccato di quello che è il mondo produttivo del Belpaese.
“Se questo è il dato ne prendiamo atto, vuol dire che il modello distributivo del vino italiano nel mondo ha fatto si che alcuni canali hanno vissuto crescite molto importanti rispetto ad altri che invece hanno sofferto moltissimo. Vuol dire che il vino italiano è un prodotto che conferma una grande attrattività e fa bene sperare per la ripresa quando le cose ripartiranno davvero. Certo, a sensazione, guardando ai bilanci di molte aziende, viene da chiedersi come sia stato possibile”, commenta laconico Renzo Cotarella, ad Marchesi Antinori, la più storica delle realtà private del vino italiano.
“Tanto più l’impresa aveva una parte di mercato spostata nell’off-trade tanto più ha retto la crisi, chi è concentrato sull’horeca ha sofferto di più, non c’è dubbio. E c’è la preoccupazione che questa crisi porterà delle conseguenze sociali enormi. Speriamo nei vaccini che stanno proseguendo, soprattutto in Usa che sono importantissimi per il mondo del vino, e speriamo che quando le cose ripartiranno, lo faranno a pieno regime, ma fino a maggio-giugno 2021 lo scenario sarà molto simile al 2020”, aggiunge Roberta Corrà, dg Gruppo Italiano Vini (Giv) e presidente di Italia del Vino Consorzio.
“L’export del 2020 è una media che racconta situazioni diverse, le etichette destinate al mondo horeca hanno sofferto tanto, chi è andato sull’off-trade, invece, è cresciuto anche in modo importante. Il -2,2% - dice Matteo Lunelli, alla guida di Ferrari Gruppo Lunelli - è la una media di una forchetta con situazioni molto negative su alcune fasce di mercato, e molto positive su altre. Nel complesso è un dato importante, racconta una buona tenuta del vino italiano, vuol dire che il vino italiano ha un’immagine e una percezione positiva da parte del consumatore, ma poi tra e pieghe nasconde tante situazioni diverse”. Positivo, ma prudente, il commento anche di Ettore Nicoletto, alla guida del gruppo Bertani Domains, con tenute in Valpolicella, nelle Marche e nei territori più importanti di Toscana: “vediamo un dato di sintesi, il 2020 è stato un anno difficile in cui l’Italia si è difesa molto bene, se si guarda al paragone con i grandi distretti mondiali. Poi bisogna capire le ragioni di questo. La Francia, per esempio, ha patito una forte dipendenza dal fuori casa, maggiore della nostra, e i dazi in Usa. Dobbiamo non esaltarci troppo nei paragoni, ma neanche buttarci troppo giù. Una sintesi per spiegare questa buona performance difensiva del vino italiano, direi che è “duttilità”, e la capacità di adattarsi. Il fuori casa ha patito molto, il retail no, e il vino italiano ha mostrato trasversalità, capacità di essere protagonista su più canali. Vediamo che succede da qui in avanti: per noi i primi mesi sono partiti bene rispetto al 2019, e l’outlook per il trimestre è positivo”.
“I dati Istat si riferiscono al mondo del vino in generale, ma vi sono sostanziali differenze fra le fasce medio basse e le medio alte. Per Terra Moretti Vino - spiega Francesca Moretti, ai vertici del ramo vinicolo del Gruppo Terra Moretti - a farne la spese maggiormente sono le aziende franciacortine (Bellavista e Contadi Castaldi), che perdono attorno al 15%, soprattutto su Germania, Uk e Giappone. Bene, invece, la Toscana di Petra, che, grazie al lavoro impostato negli ultimi anni, chiude in positivo nonostante la pandemia con ottime performance in Usa, Svizzera e Russia. Sella & Mosca e Teruzzi si attestano attorno ad un -10%. Tutto sommato, per un gruppo come il nostro che dipende all’80% dall’horeca non è un risultato del tutto negativo. Ci fanno ben sperare i dati del primo trimestre 2021, che ai attestano su quelli del 2019, ma la strada è ancora in salita, soprattutto se non inizia una campagna vaccinale tempestiva e non riaprono i locali”.
“È un dato che va interpretato. Prima di tutto l’estero, come sappiamo - sottolinea Giampiero Bertolini, dg Biondi Santi Tenuta Greppo, cantina icona e culla del Brunello di Montalcino - ha dei tempi più lunghi di realizzazione delle vendite effettive sul mercato rispetto alle spedizioni. Ad inizio del 2020 la crescita degli Usa ha sicuramente favorito questo dato, poi c’è da capire se il vino è finito sul mercato o è ancora negli stock degli importatori. Altro fattore da sottolineare è che, comunque, l’estero ha continuato a comprare vini italiani, vini di alta gamma e brand riconosciuti, noi siamo cresciuti a doppia cifra per esempio, in mercati importanti. Di certo i brand che non hanno forza sul mercato hanno sofferto di più”. “È un dato che, nel complesso, leggo molto positivamente - sottolinea Antonio Rallo, alla guida della griffe siciliana Donnafugata - fermo restando che le aziende che sono molto in on trade non hanno avuto queste performance. È un dato di sintesi, ma non è lo specchio di tutto il mondo del vino italiano, le medie e piccole aziende hanno sofferto di più. Certo vuol dire che l’Italia nel complesso ha fatto bene, che il vino italiano è molto amato ed è un punto di forza per ripartire, ma bisogna capire come sostenere i produttori medio piccoli che fanno grandissima qualità e sono quelli che tengono alto il valore e la reputazione del vino italiano”.
“È un dato abbastanza in linea con quanto vissuto in azienda - commenta Elvira Bortolomiol, alla guida della storica realtà di famiglia del Prosecco Docg - in effetti il mercato mondiale, anche se sembrava quello che avrebbe avuto più difficoltà, alla fine ha tenuto molto bene. Di certo è servito un grande lavoro, Paese per Paese, per affrontare le specifiche difficoltà. Adesso, però, è più difficile: a gennaio 2021 Paesi come Svizzera, Germania, Usa, Uk, hanno mostrato segnali di grossa sofferenza, perchè c’è un anno di grande difficoltà economica in più sulle spalle e non c’è neanche lo sprint dettato dalla paura dei dazi in Usa e della Brexit in Uk che ha accelerato le importazioni lo scorso anno nei primi mesi”.
“Per realtà come la nostra, che fanno vini di pregio, di qualità, che sono prettamente serviti non per l’asporto ma in ristorazione, bar e hotel, non è un dato che tiene conto della realtà - commenta secco Pio Boffa, alla guida della Pio Cesare, una delle più prestigiose realtà del Barolo - poi certo se si mette tutto insieme ci sta, ma si deve dire che per tanti è stato un anno difficilissimo. Speriamo nella ripartenza, nei vaccini, gli Usa pare che tra un paio di mesi possano pensare di ripartire. Altri mercati a monopolio hanno tenuto abbastanza, ma comunque è un quadro complicato. Le vendite del 2020, di questi tempi, filavano veloce, ora è tutto fermo, nel mondo ma anche in Italia. E la vendemmia 2021 non è così lontana, e c’è da fare spazio in cantina”.
Sulla stessa linea anche Gianmaria Cesari, alla guida della Umberto Cesari, cantina di riferimento dell’Emilia Romagna: “i macrodati valgono molto poco, se parliamo di sistema vino non li confuto, ma si passa dallo sfuso a 0,3 al litro a vini da 300 euro. Io sono convito che quei dati siano reali, ma se segmentiamo ci sono delle differenze importanti. Anche per noi il fatturato ha sostanzialmente tenuto, il problema grande è la marginalità: la fascia che ha tenuto maggiormente è quella dell’off-premise, e per lavorare nell’off-premise bisogna rivedere fortemente i margini. Ma a prescindere dai numeri che non sono positivi, perchè comunque un -2,2% è un dato negativo, la cosa che preoccupa di più è questo sentiment di sfiducia generalizzato, che spero si possa invertire in tempi brevi”. “Andrebbero letti i dati degli ultimi 12 mesi effettivi, per capire la portata reale della pandemia, perchè il primo trimestre del 2020 - aggiunge Michele Bernetti, alla guida di Umani Ronchi, tra le cantine di riferimento delle Marche - è stato quasi normale, ma in ogni caso è una statistica che lascia perplessi. I consumi procapite sono calati di poco, ma si sono spostati del tutto i canali, l’asporto ovunque ha tenuto, anche in Usa, ma la ristorazione ed il canale tradizionale hanno subito forti perdite, si sono abbassati i prezzi, e ora bisogna capire cosa succederà quando ripartirà la ristorazione. La speranza è che quando tutto ripartirà si possa vivere una situazione a come quella vista in Italia nella scorsa estate, con la gente che ha voglia di tornare a vivere”.
“Prendo atto che i dati siano questi, raccontano l’andamento del settore, ma poi ogni azienda ha la sua storia”, commenta Pierangelo Tommasi, alla guida di Tommasi Family Estates, realtà con il cuore e le radici nella Valpolicella, ma con cantine in tanti territori d’Italia, dalla Toscana alla Basilicata e non solo. “Noi per esempio, rispetto ai dati siamo in netta controtendenza in Uk, dove siamo cresciuti tanto grazie ad accordi andati in porto con retailer importanti come Waitrose e Majestic, ma abbiamo frenato un po’ in Canada. Comunque il dato positivo è importante, anche se bisogna capire bene se i vini sono in circolo o nei magazzini, perchè, per esempio, gennaio e febbraio 2021 sono molto calmi rispetto alla norma”.
“Al di là dei dati, le aspettative un anno fa erano di superare questa situazione in modo più rapido, mentre le cose stanno andando a rilento. Il quadro è negativo - sottolinea Enrico Viglierchio, ad Castello Banfi, tra le realtà leader di Montalcino e del vino italiano - ma la prospettiva è nettamente migliore. Ci sono vaccini che funzionano, cure in arrivo, l’orizzonte è molto meno buio. Poi è chiaro che l’horeca ha pagato e sta pagando un prezzo altissimo, e tutti dovremo fare la nostra parte per far ripartire un settore strategico. Si deve guardare alla prospettiva, non ai numeri di oggi. C’è voglia di far ripartire le cose, magari con regole diverse, con maggiore sicurezza, ma insomma si vuole ripartire, e non farsi perdere dalla rassegnazione alla negatività”. A sottolineare un aspetto ancora diverso è Maurizio Zanella, alla guida della griffe del Franciacorta Cà del Bosco: “come case history sull’export la nostra va presa per quella che è, visto che per noi l’estero vale il 20% del fatturato, che è comunque il doppio della quota del Franciacorta che all’estero ancora fa fatica, anche perchè i nostri prezzi sono ormai simili o superiori a quelli dello Champagne, che ha subito un forte calo. Detto questo, i dati aggregati fanno sempre venire in mente una cosa, ovvero che non considera mai il valore unitario. E se guardiamo a quello, continuiamo ad avere un valore medio che è cinque volte inferiore a quello francese. Certo è positivo che le ingenti scorte che l’Italia ha in cantina si riesca a spedirle all’estero, ma non si tratta di costruzione di valore e di mercato, si tratta di gestire l’emergenza. Non possiamo cantare vittoria, il nostro comparto è ancora fatto di grandi volumi e valori bassi: quello che si può sperare è che ci sia un aumento di valore che possa ridare dignità soprattutto agli agricoltori, a coloro che producono l’uva, la materia prima, che, in troppi casi, è pagata davvero troppo poco”.

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